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Gesuiti
Gesuiti in Italia, Albania, Malta e Romania
Letture consigliate

Un fuoco che accende altri fuochi

Congregazione Generale 35 - Decreto 2

Riscoprire il nostro carisma

1. Molte scintille, un solo fuoco: molte storie, una sola storia

1. Per quasi cinquecento anni la Compagnia di Gesù ha portato una fiamma luminosa in innumerevoli contesti sociali e culturali, che l’hanno sfidata a tenerla viva e accesa. Oggi le cose non stanno diversamente. In un mondo in cui la gente è sommersa da sensazioni, idee e immagini, la Compagnia cerca di mantenere vivo il fuoco della propria ispirazione originaria in modo tale da offrire calore e luce ai nostri contemporanei. Lo fa raccontando una storia che è passata al vaglio del tempo, malgrado le imperfezioni dei suoi membri e persino del corpo nel suo insieme, grazie alla perdurante bontà di Dio che non ha mai permesso che questo fuoco si spegnesse. Desideriamo qui cercare di presentarla di nuovo come un racconto vivo, che, quando entra in contatto con le storie di vita della gente di oggi, è capace di dar loro senso e di offrire una prospettiva in un mondo frantumato.

2. Questo continuo narrarsi da parte della Compagnia ha fornito lungo i secoli la base di numerose esperienze di unità nella molteplicità. Noi gesuiti spesso ci sorprendiamo di scoprirci straordinariamente uniti, a dispetto delle nostre differenze culturali e di condizioni di vita. Grazie al discernimento nella preghiera, al dialogo franco e alla conversazione spirituale, abbiamo la fortuna di poterci sempre riconoscere come uno nel Signore: un corpo apostolico unito che cerca il modo migliore per servire Dio nella Chiesa e il mondo.Una tale esperienza di grazia ci ricorda quella raccontata nella Deliberazione dei primi Padri. I nostri primi compagni, pur considerandosi deboli e fragili e provenendo da molti luoghi diversi, trovarono insieme la volontà di Dio in mezzo a una grande varietà di opinioni.Ciò che li rese capaci di trovare la volontà di Dio fu il fatto di essere insieme «solleciti e attenti a scoprire e aprire una via da percorrere per offrirci tutti e interamente al nostro Dio, intendendo che tutto di noi riuscisse a lode, onore e gloria del Signore». In questo modo diedero inizio a un racconto; accesero un fuoco che venne poi trasmesso di generazione in generazione ogniqualvolta qualcuno entrava in contatto con la Compagnia, facendo sì che le storie personali di molte generazioni venissero incorporate nell’unica storia della Compagnia. Su questa storia collettiva, al cui centro stava Gesù Cristo, si fondava la loro unità. Nonostante le differenze, ciò che ci unisce come gesuiti è Cristo, e il desiderio di servirlo, cioè di non essere sordi alla chiamata del Signore, ma pronti e diligenti nel compiere la sua santissima volontà. Egli è l’immagine unica del Dio invisibile, capace di rivelarsi ovunque; e in una cultura che moltiplica le immagini all’infinito, Egli è la sola immagine che ci unisce. I gesuiti sanno chi sono guardando Lui.

3. Noi gesuiti, dunque, troviamo la nostra identità non da soli ma nell’esperienza di essere compagni: compagni del Signore che ci chiama, compagni di altri che condividono questa chiamata. L’esperienza di Ignazio alla Storta ne è la radice. Là, «messo» con il Figlio di Dio che porta la croce e chiamato a servirlo, Ignazio e i primi compagni rispondono con l’offerta di se stessi al Papa, vicario di Cristo in terra, per il servizio della fede. Il Figlio, unica immagine di Dio, Cristo Gesù, li unisce e li invia nel mondo intero. Egli è l’immagine che resta anche oggi nel cuore dell’esistenza del gesuita; ed è la sua immagine che vogliamo comunicare agli altri nel modo migliore possibile.

2. Guardare e amare il mondo come ha fatto Gesù

4. Per la vita e la missione di ogni gesuita è fondamentale una esperienza che lo pone, molto semplicemente, con Cristo nel cuore del mondo.Tale esperienza non è soltanto un fondamento posto nel passato e progressivamente dimenticato col passare del tempo; è un’esperienza viva, permanentemente in crescita, che viene alimentata e approfondita dal dinamismo della vita del gesuita, in comunità e nella missione.Tale esperienza comporta sia una conversione da, sia una conversione per. Sant’Ignazio, convalescente a Loyola, si inoltrò in un profondo viaggio interiore. Pian piano si rese conto che le cose per cui provava diletto non avevano valore duraturo, mentre rispondere alla chiamata di Cristo dava pace alla sua anima e gli lasciava il desiderio di conoscere sempre meglio il suo Signore. Ma – come venne a scoprire più tardi – questa conoscenza poteva essere ottenuta solo contrastando i falsi desideri che lo avevano guidato fino a quel momento. Fu a Manresa che questo scontro ebbe luogo. Là il Signore, che lo istruiva come uno scolaro, lo preparò delicatamente a ricevere l’intuizione che il mondo poteva essere visto in modo diverso: un modo liberato dagli affetti disordinati e aperto a un amore ordinato per Dio e per tutte le cose in Dio. Questa esperienza fa parte del percorso di ciascun gesuita.

5. Mentre si trovava a Manresa, presso il fiume Cardoner Ignazio ebbe un’esperienza che gli aprì gli occhi in modo tale che «tutte le cose gli apparivano come nuove » , perché cominciò a vederle con occhi nuovi. La realtà gli si fece trasparente, permettendogli di vedere che Dio è al lavoro nel profondo di ogni cosa e lo invitava ad «aiutare le anime». Questa nuova visione della realtà condusse Ignazio a cercare e trovare Dio in tutte le cose.

6. La comprensione che Ignazio ricevette gli insegnò una maniera contemplativa di stare nel mondo, di contemplare Dio al lavoro nella profondità delle cose, di gustare «l’infinita soavità e dolcezza della divinità, dell’anima e delle sue virtù e di tutto».A partire dalla contemplazione dell’Incarnazione , è evidente che Ignazio non addolcisce né falsifica le realtà dolorose. Piuttosto, egli inizia proprio da esse, esattamente come sono nella realtà – povertà, esilio, violenze, abbandono, ingiustizia strutturale, peccato – per poi mostrare come il Figlio di Dio sia nato in mezzo a queste realtà; ed è qui che si trova la dolcezza. Gustare e vedere Dio nella realtà è un processo. Ignazio dovette apprenderlo passando in prima persona attraverso molte esperienze di dolore. Alla Storta ricevette la grazia di essere messo con il Figlio che porta la Croce, e così lui e i suoi compagni furono introdotti nello stile di vita del Figlio, con le sue gioie e le sue sofferenze.

7. Allo stesso modo oggi la Compagnia, nel portare avanti la propria missione, sperimenta la compagnia del Signore e la sfida della Croce. L’impegno per il «servizio della fede e la promozione della giustizia» , e per il dialogo con le culture e le religioni porta i gesuiti a situazioni limite dove essi trovano energia e nuova vita, come pure angoscia e morte – dove «la divinità si nasconde». L’esperienza di un Dio che si cela non può essere sempre evitata, eppure anche nelle profondità dell’oscurità, quando Dio sembra nascosto, la sua luce trasformante è capace di brillare. Dio lavora intensamente nel nascondimento. Risorgendo dalle tombe delle vite personali e della storia, il Signore appare quando meno ce lo aspettiamo, con la sua personale consolazione di amico e come centro di una comunità di fraternità e di servizio. Da questa esperienza di un Dio al lavoro nel cuore della vita sorge, sempre nuova, la nostra identità di «servitori della missione di Cristo»

3. Il nostro «modo di procedere»

8.Trovare la vita divina nelle profondità della realtà è una missione di speranza data a noi gesuiti. Noi ripercorriamo il cammino seguito da Ignazio. Come nella sua esperienza così nella nostra, poiché si apre uno spazio di interiorità dove Dio lavora in noi, siamo in grado di vedere il mondo come un luogo in cui Dio è al lavoro, un luogo pieno delle sue chiamate e della sua presenza. Così entriamo – insieme a Cristo che dona acqua viva – nelle zone aride e senza vita di questo mondo. Il nostro modo di procedere è di scoprire le orme di Dio ovunque, consapevoli che lo Spirito di Cristo è all’opera in ogni luogo e situazione, e in tutte le attività e mediazioni che cercano di renderlo più presente nel mondo. La missione di cercare di «sentire e gustare» (sentir y gustar) la presenza e l’attività di Dio in tutte le persone e circostanze del mondo pone noi gesuiti al centro di una tensione che ci attira contemporaneamente verso Dio e verso il mondo. In tal modo nasce, per i gesuiti in missione, un insieme di polarità di carattere specificamente ignaziano che coniuga il nostro essere fermamente radicati in Dio in ogni momento e contemporaneamente il nostro essere immersi nel cuore del mondo.

9. Essere e fare; contemplazione e azione; preghiera e vita profetica; essere completamente uniti a Cristo e completamente inseriti nel mondo con Lui come corpo apostolico: tutte queste polarità segnano profondamente la vita di un gesuita ed esprimono al contempo la sua essenza e le sue possibilità. I Vangeli mostrano Gesù in una profonda relazione d’amore con il Padre e, allo stesso tempo, totalmente donato alla sua missione tra gli uomini. Egli è sempre in movimento: da Dio, per gli altri.Questa è anche la matrice della vita del gesuita: con Cristo in missione, sempre contemplativo, sempre attivo. Questa è la grazia e anche la sfida creativa della nostra vita religiosa apostolica, che deve vivere questa tensione tra preghiera e azione, tra misticismo e servizio.

10. Dobbiamo esaminarci criticamente per rimanere sempre vigili sulla necessità di vivere fedelmente questa polarità tra preghiera e servizio. In ogni caso non possiamo abbandonare questa polarità creativa dal momento che essa segna l’essenza della nostra di vita di persone contemplative nell’azione, di compagni di Cristo inviati nel mondo. In tutto ciò che facciamo nel mondo deve sempre esserci un rimando trasparente a Dio. Le nostre vite devono provocare la domanda: «Chi siete voi, che fate queste cose … e che le fate in questo modo?». I gesuiti devono mostrare – specialmente nel mondo contemporaneo fatto di rumore e stimoli senza sosta – un forte senso del sacro inseparabilmente unito al coinvolgimento nel mondo. Il nostro profondo amore di Dio e la nostra passione per il suo mondo dovrebbero letteralmente infiammarci di un fuoco che accende altri fuochi! E in fondo non c’è realtà che sia propriamente profana per chi sa come guardare. Dobbiamo comunicare questo modo di guardare e offrire una pedagogia, ispirata dagli Esercizi Spirituali, capace di introdurvi le persone – specialmente i giovani. Così essi saranno a loro volta in grado di vedere il mondo come lo vedeva Ignazio mentre la sua vita progrediva da ciò che aveva capito al Cardoner fino alla fondazione della Compagnia, con la sua missione di portare il messaggio di Cristo fino agli estremi confini della terra. Questa missione, con le sue radici in questa esperienza, continua ancora oggi.

4. Una vita informata dalla visione della Storta

11. Ignazio ebbe l’esperienza più significativa in vista della fondazione della Compagnia nella piccola cappella della Storta, lungo la strada per Roma. Durante questo momento di grazia mistica egli vide chiaramente «che Dio Padre lo metteva con Cristo suo Figlio» , secondo quanto lo stesso Ignazio aveva insistentemente chiesto a Maria. Alla Storta, il Padre lo pose con il Figlio che portava la Croce, e Gesù lo accettò dicendo: «Voglio che tu ci serva». Ignazio sentì questa come una conferma per sé personalmente e per il gruppo nel progetto che muoveva i loro cuori a mettersi al servizio del Vicario di Cristo in terra. «Ego ero vobis Romae propitius». Eppure tale affermazione non spinse Ignazio a sognare cammini agevoli; infatti egli disse ai suoi compagni che a Roma avrebbero trovato «molte contrarietà» , e forse sarebbero stati persino crocifissi. Dall’incontro di Ignazio con il Signore alla Storta emerge dunque la futura vita di servizio e di missione dei compagni, con i suoi tratti caratteristici: sequela di Cristo che porta la Croce; fedeltà alla Chiesa e al Vicario di Cristo in terra; vita da amici del – e di conseguenza nel – Signore in un unico corpo apostolico.

5. Alla sequela di Cristo…

12. Seguire Cristo che porta la Croce significa aprirci con Lui a ogni genere di sete che affligge l’umanità oggi. Cristo è Lui stesso il nutrimento, la risposta a ogni tipo di fame e sete. Egli è il pane di vita che, nel nutrire gli affamati, li raduna e li unisce. Egli è l’acqua della vita , l’acqua viva di cui parlò alla samaritana in quel dialogo che sorprese i discepoli perché – come acqua che scorre liberamente – condusse Gesù al di là degli argini di ciò che era culturalmente e religiosamente familiare, in una conversazione con una persona a cui le consuetudini vietavano tassativamente di parlare. In quell’incontro Gesù giunse ad abbracciare differenze e orizzonti nuovi. Il suo ministero trascese tutti i confini. Egli invitò i suoi discepoli a essere consapevoli dell’azione di Dio in luoghi e persone che essi tendevano a evitare: Zaccheo , la donna siro-fenicia , i centurioni romani , il ladrone pentito. Come acqua che porta vita a tutti coloro che hanno sete, egli si mostrava interessato a ogni zona arida del mondo; e in ogni zona arida del mondo può di conseguenza essere il benvenuto, perché tutti quelli che hanno sete sanno che cosa significa «acqua viva». L’immagine dell’acqua viva è in grado di dare vita a tutti i gesuiti in quanto servitori di Cristo nella sua missione perché, dopo averla assaggiata personalmente, saranno impazienti di offrirla a chiunque abbia sete e di raggiungere persone al di là delle frontiere – dove l’acqua potrebbe non essere ancora sgorgata – per portare una nuova cultura di dialogo a un mondo ricco, vario e dai molti volti.

13. Seguire Cristo che porta la Croce significa annunciare il suo Vangelo di speranza ai molti poveri che oggi vivono nel mondo. Le molte «povertà» del mondo rappresentano forme di sete che, in fondo, solo colui che è acqua viva può placare. Lavorare per il suo regno significherà spesso andare incontro ai bisogni materiali delle persone, ma vorrà sempre dire molto di più, perché esse hanno sete a vari livelli; e la missione di Cristo è diretta alle persone. La fede e la giustizia: non c’è mai l’una senza l’altra. Gli uomini hanno bisogno di cibo, casa, amore, relazioni, verità, senso, futuro, speranza. Gli uomini hanno bisogno di un futuro in cui godere della loro piena dignità, e certo hanno bisogno di un futuro assoluto, di una «grande speranza » che ecceda ogni speranza particolare.Tutto questo è già presente nel cuore della missione di Cristo che – come era particolarmente evidente nel suo ministero di guarigione – era sempre più che semplicemente materiale. Nel guarire il lebbroso Gesù lo reintegrò nella comunità, restituendogli un senso di appartenenza. La nostra missione si ispira a questo ministero di Gesù. Seguendo Gesù, ci sentiamo chiamati non solo a portare aiuto diretto a persone in situazioni di disagio, ma anche a ricostituire la loro piena integrità, reintegrandole nella comunità e riconciliandole con Dio. Spesso questo richiede un impegno di lungo termine, sia esso nell’educazione dei giovani, nell’accompagnamento spirituale attraverso gli Esercizi, nella ricerca intellettuale o nel servizio ai rifugiati. Ma è qui che, aiutati dalla grazia e sulla base di tutte le competenze professionali di cui disponiamo, cerchiamo di offrirci pienamente a Dio, per il suo servizio.

14. Il modo di agire del Figlio ci offre il modello di come dobbiamo agire anche noi al servizio della sua missione. Gesù predicava il Regno di Dio; in verità, esso si realizzava con la sua stessa presenza. Inoltre, Gesù mostrava di essere venuto in questo mondo non per fare il suo volere, ma quello del Padre suo che è nei cieli. L’intera vita di Gesù fu una kenosis ed egli era solito accostarsi ad ogni situazione dimentico di se stesso, non cercando di essere servito, ma di servire e dare la propria vita in riscatto per molti. Così l’Incarnazione e il mistero pasquale si dispiegano nel suo stesso modo di vivere; e quest’ultimo sarà anche il nostro quando ci uniamo a lui. In quanto compagni di Gesù nella sua missione, la sua strada è anche la nostra strada.

15. Nel seguire questa strada i gesuiti oggi confermano tutto quanto è già stato specificato, a riguardo della missione della Compagnia, nelle ultime tre Congregazio- ni Generali. Il servizio della fede e la promozione della giustizia, indissolubilmente uniti, restano al centro della nostra missione. Questa opzione ha cambiato il volto della Compagnia. Noi la abbracciamo di nuovo e ricordiamo con gratitudine i nostri martiri e i poveri che ci hanno nutrito evangelicamente nella nostra stessa identità di seguaci di Gesù: «Il nostro servizio, specialmente tra i poveri, ha reso più profonda la nostra vita di fede, sia come individui che come corpo». Come seguaci di Cristo oggi ci dirigiamo anche verso persone diverse da noi per cultura e religione, consapevoli che il dialogo con loro è anche parte integrante del nostro servizio alla missione di Cristo. In ogni missione che portiamo avanti cerchiamo solo di essere laddove Lui ci manda. La grazia che riceviamo come gesuiti è di essere e di camminare con Lui, guardando al mondo con i suoi occhi, amandolo con il suo cuore ed entrando nelle sue profondità con la sua infinita compassione.

6. Nella Chiesa e per il mondo…

16. Riconoscendoci inviati con Gesù come suoi compagni consacrati a lui in povertà, castità e obbedienza, benché peccatori, ascoltiamo con attenzione i bisogni delle persone che cerchiamo di servire. Siamo stati scelti per vivere come suoi compagni in un unico corpo governato per mezzo del rendiconto di coscienza e tenuto insieme dall’obbedienza: uomini della e per la Chiesa sotto l’obbedienza al Sommo Pontefice e al nostro Padre Generale nonché ai legittimi Superiori. In tutto ciò, il nostro scopo è di essere sempre disponibili per il bene più universale – desiderando sempre il magis, ciò che è realmente meglio per la maggior gloria di Dio. Questa disponibilità al servizio della missione universale della Chiesa caratterizza in modo particolare la nostra Compagnia, dà ragione del nostro voto di speciale obbedienza al Papa e ci rende un unico corpo apostolico dedito a servire, nella Chiesa, uomini e donne di ogni parte del mondo.

17. È soprattutto per l’obbedienza che la Compagnia dovrebbe distinguersi dalle altre famiglie religiose. Basti solo ricordare quella lettera dove Ignazio scrive: «Possiamo tollerare che in altri Istituti religiosi ci si superi in digiuni, veglie e altre austerità che ognuno santamente osserva secondo la sua Regola; ma nella purezza e perfezione dell’obbedienza con la vera rinuncia della nostra volontà e l’abnegazione del nostro giudizio, desidero tanto, fratelli carissimi, che si segnalino coloro che servono Dio nostro Signore in questa Compagnia». Ed è all’ob- bedienza del Suscipe che Ignazio guardava quando voleva sottolineare ciò che caratterizzava in modo distintivo la Compagnia.

7. Come una comunità religiosa apostolica…

18. Insieme all’obbedienza, i nostri voti di povertà e castità nella Compagnia ci permettono di configurarci nella Chiesa a immagine di Gesù stesso. Essi rendono inoltre chiara e visibile la nostra disponibilità a rispondere alla chiamata di Dio.Tale disponibilità si esprime in molti modi, secondo la vocazione propria di ciascuno. Così la Compagnia viene arricchita e benedetta dalla presenza di Fratelli, Coadiutori spirituali e Padri professi che insieme, come compagni in un’unica famiglia – resa viva in particolare dalla presenza di coloro che sono in formazione – servono la missione di Cristo secondo la grazia data a ciascuno. In tal modo noi viviamo la nostra vita consacrata di gesuiti in risposta a carismi differenti.Agiamo sacramentalmente come ministri al cuore della Chiesa, celebrando l’Eucaristia e gli altri sacramenti e predicando fedelmente la parola di Dio. Portiamo questa parola fino agli estremi confini della terra, cercando di condividerne ovunque la ricchezza con la gente.

19. La differenziazione di ruoli e ministeri dei gesuiti trova il proprio necessario complemento in una vita da compagni, vissuta in comunità. La nostra vita insieme testimonia la nostra amicizia nel Signore – una condivisione di fede e di vita allo stesso tempo – soprattutto nella celebrazione della Messa. Seguire Gesù insieme è riferimento per i discepoli nel cammino con il loro Signore. L’identità e la missione dei gesuiti sono tenute insieme dalla comunità; anzi, identità, comunità e missione sono una sorta di trittico alla luce del quale trovare il modo migliore di comprendere il nostro essere compagni. La nostra vita di compagni mostra come persone di varie provenienze e differenti talenti possano vivere insieme come veri «amici nel Signore». L’identità del gesuita è relazionale; essa cresce nelle e attraverso le nostre diversità culturali, nazionali e linguistiche, arricchendoci e costituendo per noi una continua sfida. Si tratta di un processo nel quale siamo immessi dal momento in cui entriamo in Compagnia, e in esso cresciamo di giorno in giorno. In tutto ciò, la nostra vita comunitaria può diventare attraente per altre persone, invitandole – specialmente i giovani – a «venire e vedere» , a unirsi a noi nella nostra vocazione e a mettersi con noi a servizio della missione di Cristo. Nulla potrebbe essere maggiormente desiderabile e urgente oggi, perché il cuore di Cristo brucia di amore per questo mondo con tutti i suoi problemi, e cerca compagni che possano servirlo insieme a Lui.

8. Un nuovo contesto – verso nuove frontiere

20. Servire la missione di Cristo oggi significa prestare particolare attenzione al suo contesto globale. Questo contesto richiede che noi agiamo come corpo universale con una missione universale, ma allo stesso tempo rendendoci conto della radicale diversità delle nostre situazioni. È come comunità mondiale – e, simultaneamente, come rete di comunità locali – che cerchiamo di servire gli altri in tutto il mondo. La nostra missione di fede e giustizia e di dialogo tra le religioni e le culture ha raggiunto dimensioni che non ci permettono più di concepire il mondo come se fosse composto di entità separate; dobbiamo vederlo come un tutto unificato nel quale ciascuno dipende dall’altro. Globalizzazione, tecnologia e preoccupazioni per l’ambiente hanno lanciato una sfida che va oltre i confini tradizionali e hanno aumentato la nostra consapevolezza di una comune responsabilità per il benessere del mondo intero e per il suo sviluppo in una modalità sostenibile e generatrice di vita.

21. Le attuali culture consumistiche non promuovono passione e zelo, ma al contrario dipendenza e compulsività. A questo occorre resistere. Se vogliamo condividere la vita dei nostri contemporanei, sarà necessaria e inevitabile una risposta di compassione a tali malesseri culturali. In questo quadro di continui mutamenti, risulta urgente che ci assumiamo la nostra responsabilità di gesuiti nel collaborare a vari livelli. Così le nostre Provincie devono lavorare sempre di più insieme e, parimenti, noi tutti dobbiamo lavorare insieme ad altri: religiosi e religiose di altre comunità, laici, membri di movimenti ecclesiali, persone che condividono i nostri valori ma non le nostre convinzioni religiose; in breve, ogni persona di buona volontà.

22. Dio ha creato un mondo abitato da popoli differenti, e questo è buono. La creazione esprime la intensa bellezza di questo mondo affascinante: persone che lavorano, ridono e vivono felicemente insieme sono segni che Dio vive in mezzo a noi.Tuttavia, la diversità diventa un problema quando le differenze tra gli uomini sono vissute in modo tale che alcuni prosperano a spese di altri che sono esclusi, e le persone si combattono, uccidendosi a vicenda e tramando la distruzione l’uno dell’altro.Allora Dio, in Cristo, soffre per e con il mondo, che desidera rinnovare. La nostra missione si colloca precisamente in questo punto. È qui che dobbiamo discernere la nostra missione secondo i criteri del magis e del bene più universale. Dio è presente nell’oscurità della vita, intento a fare nuove tutte le cose. Dio ha bisogno di collaboratori in questa impresa: persone che per grazia sono accolte sotto il vessillo del suo Figlio. Al di là della loro definizione geografica ci aspettano le «genti», fra le quali oggi vanno annoverati anche coloro che sono poveri e sfollati, coloro che sono profondamente soli, coloro che ignorano l’esistenza di Dio e coloro che strumentalizzano Dio a fini politici. Ci sono «genti» nuove, e noi siamo stati inviati ad esse.

23. Ricordando le parole di Padre Girolamo Nadal, possiamo dire con lui: «Il mondo è la nostra casa».Come ha affermato Padre Peter-Hans Kolvenbach, «un monastero stabile non ci è utile, perché abbiamo ricevuto il mondo intero cui annunciare la buona notizia […], non ci rinchiudiamo nel chiostro ma restiamo nel mondo in mezzo alla moltitudine di donne e uomini che il Signore ama, poiché sono nel mondo». Ogni uomo e donna ci sta a cuore, rispetto al dialogo e all’annuncio, perché la nostra è la missione della Chiesa: scoprire Gesù Cristo là dove non lo avevamo scorto in precedenza e rivelarlo là dove non era stato visto prima. In altre parole, cerchiamo di «trovare Dio in tutte le cose», seguendo ciò che Ignazio ci propone nella «Contemplatio ad amorem».Tutto il mondo diviene oggetto del nostro interesse e delle nostre preoccupazioni.

24. Come questo mondo cambia, così cambia anche il contesto della nostra missione; e nuove frontiere ci stanno mandando segnali che richiedono la nostra risposta. E così ci immergiamo sempre più profondamente in quel dialogo con le religioni che ci può mostrare come lo Spirito Santo sia all’opera in tutto il mondo che Dio ama. Ci rivolgiamo altresì alla «frontiera» della terra, sempre più degradata e saccheggiata. Qui, con passione per la giustizia verso l’ambiente, incontreremo di nuovo lo Spirito di Dio che cerca di liberare una creazione che soffre, una creazione che ci chiede spazio per vivere e respirare.

9. Ite inflammate omnia

25. La leggenda vuole che Ignazio, nell’inviare Francesco Saverio in Oriente, gli abbia detto: «Va’ e incendia il mondo». Con la nascita della Compagnia di Gesù fu acceso un fuoco nuovo in un mondo che stava cambiando. Non per via di sforzi umani, ma per iniziativa divina, incominciò una nuova forma di vita religiosa. Il fuoco acceso allora continua ad ardere oggi nella nostra vita di gesuiti, come è stato detto a proposito di Alberto Hurtado: «Un fuoco che accende altri fuochi». Così, siamo chiamati a infiammare tutto con l’amore di Dio.

26. Oggi alla nostra vocazione si pongono nuove sfide. Viviamo la nostra identità di compagni di Gesù in un contesto dove molteplici immagini – le innumerevoli facce di una cultura frammentata – competono per attrarre la nostra attenzione. Esse penetrano dentro di noi, mettono radici nel terreno fertile dei nostri desideri istintivi e ci riempiono di sensazioni che ci attraversano e prendono il controllo dei nostri sentimenti e delle nostre decisioni senza che ce ne rendiamo conto.Tuttavia noi conosciamo e proclamiamo una sola immagine, Gesù Cristo, la vera immagine di Dio e la vera immagine dell’umanità. Egli, quando lo contempliamo, diventa carne in noi, guarisce le nostre divisioni interiori e ci unifica come persone,comunità e corpo apostolico consacrato alla missione di Cristo.

27. Per vivere questa missione nel nostro mondo frantumato abbiamo bisogno di comunità fraterne e gioiose nelle quali nutrirci ed esprimere con grande intensità la sola passione che è in grado di dare unità alle nostre differenze e nutrire la nostra creatività. Questa passione si alimenta con il continuo rinnovamento della nostra esperienza del Signore, i cui progetti di amore per il no- stro mondo sono inesauribili. Questo amore ci invita alla «partecipazione alla missione di Colui che fu mandato dal Padre, nello Spirito, in un sempre maggiore servizio, nell’amore, con tutte le varianti della croce, in un’imitazione e sequela di quel Gesù che vuole condurre tutte le genti e tutta la creazione alla gloria del Padre».

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