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Le Montagne Rocciose e le popolazioni autoctone

Famiglia di nativi americani - Documento conservato presso l'Archivio Storico della Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù a Roma

La documentazione della Provincia Torinese restituisce memoria e volti a un popolo oggi costretto nelle riserve naturali e decimato dalla colonizzazione delle terre dell’America del Nord. Pellerossa, indiani d’America, talvolta nelle carte “pagani”: sono diversi gli appellativi con cui sono state denominate le popolazioni autoctone delle Montagne Rocciose.

In quelle terre la Compagnia di Gesù aprì diverse missioni, come nel resto delle Americhe. Le missioni religiose pur portando avanti l’evangelizzazione di interi gruppi etnici, assicurarono anche assistenza materiale.

Dalla corrispondenza di p. Giuseppe Cataldo, destinato alla missione e in rapporto epistolare con il Provinciale della Provincia Torinese, sappiamo che uno dei passatempi più diffusi nel campo era il gioco delle carte e che molti membri delle tribù erano vittime di alcolismo, un fenomeno che anche i gesuiti riconoscono nella contaminazione tra la cultura occidentale e quella dei nativi americani che in precedenza non conoscevano l’alcool.

Immagine di nativo americano - Documento conservato presso l'Archivio Storico della Provincia Euro-Mediterranea della Compagnia di Gesù a Roma

La quotidianità dei nativi non solo è raccontata dai gesuiti in lettere, relazioni e memorie ma anche da diverse fotografie che spedivano alla Provincia. Queste sono state raccolte in un album denominato “Missioni”, la copertina è stata riprodotta per la foto di oggi.

In questa fonte si alternano fotografie dei paesaggi dell’America, dell’Alaska a quelli della Cina e del Giappone. Sono stati fotografati i caratteristici tepee, donne e uomini intenti in diverse attività.

Nella missione erano presenti scuole per i ragazzi, mentre i padri visitavano periodicamente i campi dove vivevano i nativi, spesso su richiesta di questi ultimi, forse incuriositi dagli stessi gesuiti con cui si era stabilito un dialogo.

Il p. Cataldo, ad esempio, era denominato “il veste-nera” come riferisce lo stesso religioso nelle sue lettere, un nome parlante secondo la tradizione linguistica dei nativi che associava una caratteristica fisica agli individui.

Le sue lettere raccontano del rapporto con il capo tribù, ma anche del sincretismo religioso instaurato dai nativi nel tentativo di integrare quanto vedevano fare dal gesuita, con la propria spiritualità.

Non tutti volevano essere battezzati, sia per la poca confidenza con questo sacramento, sia per la volontà di conservare i propri riti e la propria fede.

Forse è proprio questo quotidiano confronto con le altre culture e la volontà di mantenere i tratti caratteristici della propria che potrebbe essere approfondito attraverso una ricerca storica nel nostro archivio.

Maria Macchi