Hummes: “Chiesa unita nell’accoglienza della diversità”
Nel percorso verso il Sinodo per l’Amazzonia (6 – 27 ottobre prossimo), la visione di una “Chiesa indigena” sta generando “resistenze e malintesi. Alcuni se ne sentono in qualche modo minacciati perché ritengono che non verranno rispettati i loro progetti” di colonizzazione della regione “animati a tutt’oggi da spirito di dominio e di rapina”. A sostenerlo è il card. Cláudio Hummes, arcivescovo emerito di San Paolo, nominato dal Papa relatore generale del Sinodo, in un’intervista rilasciata a p. Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, e pubblicata sul sito della rivista.
(Sir) All’Angelus del 15 ottobre 2017 papa Francesco ha convocato a Roma un Sinodo speciale per l’Amazzonia. A pochi mesi dall’evento, in programma dal 6 al 27 ottobre prossimo, padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, ha intervistato il card. Cláudio Hummes, arcivescovo emerito di San Paolo, nominato dal Pontefice relatore generale del Sinodo. Nell’ampia intervista, pubblicata sul sito della rivista, il porporato premette che l’unità della Chiesa “è fondamentale, importantissima”, però “deve intendersi come unità che accoglie la diversità”. “La diversità è la ricchezza dell’unità, la preserva dal farsi uniformità, da fornire giustificazioni al controllo”. In questa prospettiva, il Sinodo per l’Amazzonia” è un riconoscimento della nostra peculiarità”. “Per ‘vedere’ davvero – avverte Hummes -, bisogna ascoltare: non bastano le analisi”. Il Sinodo “non è un’astrazione sinodale, un’idea generica. Per noi è necessario ascoltare in primo luogo proprio i popoli dell’Amazzonia, la realtà, le loro grida”. Per quanto riguarda le indicazioni ricevute dal Papa, il relatore generale riferisce che il Pontefice ha invitato a “non annacquare l’obiettivo specifico” dell’assise il cui processo avrà certamente “anche ripercussione universale” ma “non deve diventare occasione per discutere di tutto”. “’Nuovi cammini per la Chiesa’ significa nuovi cammini per la Chiesa in Amazzonia e nuovi cammini per un’ecologia integrale in Amazzonia”. “Non andremo certo al Sinodo per ripetere quello che è stato già detto”, assicura. “L’affermazione del Pontefice è molto forte: dobbiamo camminare e andare avanti, senza opporre resistenza”. Hummes sottolinea che Dio “è sempre stato presente anche nei popoli indigeni”. La loro evangelizzazione deve pertanto mirare a “suscitare una Chiesa indigena per le comunità indigene: nella misura in cui accolgono Gesù Cristo, esse devono poter esprimere quella loro fede tramite la loro cultura, identità, storia e spiritualità”.
“Gli interessi economici e il paradigma tecnocratico – spiega il porporato – avversano qualsiasi tentativo di cambiamento e sono pronti a imporsi con la forza, violando i diritti fondamentali delle popolazioni nel territorio e le norme per la sostenibilità e la tutela dell’Amazzonia. Ma noi non dobbiamo arrenderci. Sarà necessario indignarsi. Non in modo violento, ma certamente in maniera decisa e profetica”. La Chiesa in Amazzonia, prosegue, “sa bene di dover essere profetica, non accomodante, perché la situazione è clamorosa e mostra una costante e persistente violazione dei diritti umani e una degradazione della casa comune. E, peggio ancora, questi crimini per lo più restano impuniti. La Chiesa dev’essere profetica”. Hummes invita quindi a coniugare inculturazione e interculturalità e a passare da una “Chiesa indigenista” a una “Chiesa indigena”. Sul profilo dei sacerdoti, per il cardinale non si potrà difendere “una sorta di figura storica” cui attenersi”, ma prevedere “ministeri differenziati”. “La Chiesa indigena – afferma – non si fa per decreto”. Con riferimento alla Laudato si’, Hummes respinge il “paradigma tecnocratico” della modernità e rilancia la necessità della “ecologia integrale” la cui dimensione più importante è il fatto che “Dio si è messo in relazione definitiva con questa terra in Gesù Cristo”. E conclude: “Bisogna pensare a un piano pastorale specifico per tutta la Panamazzonia”.