Fondazione Gallarate, il dialogo tra Chiesa e democrazia
Numerosi e qualificati interventi al 74° convegno della fondazione Centro Studi Filosofici di Gallarate che si è tenuto a Roma, dal 26 al 28 settembre, sul tema “Democrazia e verità. Tra degenerazione e rigenerazione”.
Il binomio Chiesa-democrazia è possibile e può essere «profondo e proficuo» solamente se la Chiesa «avvia un dialogo con l’uomo moderno, esattamente come intende fare papa Francesco. Un dialogo basato su un reale scambio e che non pretenda di convertire l’uomo a precostituite idee politiche ma intenda offrirgli il messaggio del Vangelo». Ne è convinto Daniele Menozzi, storico del cristianesimo e della Chiesa, professore emerito della classe di Lettere e filosofia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, intervenuto giovedì 26 settembre, al 74° convegno della fondazione Centro Studi Filosofici di Gallarate sul tema “Democrazia e verità. Tra degenerazione e rigenerazione” apertosi nell’auditorium San Domenico a Roma.
I lavori, che sono andati avanti fino a sabato mattina, hanno visto la partecipazione di qualificati professori con competenze filosofiche, storiche e giuridiche. Durante la relazione su “Chiesa e ‘autentica’ democrazia: da Leone XIII ai giorni nostri” il docente ha sinteticamente ricordato l’atteggiamento tenuto nei secoli dal magistero papale: se Leone XIII «legittima il ricorso all’espressione “democrazia cristiana”» Pio X «la condanna». La situazione cambia con Giovanni XXIII nell’enciclica “Pacem in terris”, pubblicata nell’aprile del 1963, ha determinato «un forte spostamento nell’orientamento dell’autorità ecclesiastica nei confronti della democrazia». Dal documento emerge che cessa un atteggiamento «di diffidenza per aprirsi invece all’incoraggiamento e al riconoscimento della democrazia». Nella sua analisi, Menozzi ha ricordato che Giovanni Paolo II, dopo il crollo del comunismo, «insiste sul possesso da parte della Chiesa di quella “verità oggettiva” in materia politica e sociale cui ogni consorzio civile, sempre, dovunque e comunque, è tenuto ad assoggettarsi se vuole risultare come autentica democrazia». Benedetto XVI riprende questo pensiero e «assimila la democrazia alla tirannide e al totalitarismo per la violazione dei diritti naturali fissati dalla chiesa». Papa Francesco, infine, ha riproposto il tema in termini «del tutto nuovi perché dall’ottica eurocentrica che aveva caratterizzato la vicenda precedente – ha concluso Menozzi – ha allargato a un’ottica globale e ad una forte considerazione delle dinamiche del cattolicesimo latino americane».
La prima giornata del convegno, al quale ha partecipato anche la vice presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia, che si è soffermata su “Le forme della democrazia nello Stato costituzionale”, è stata aperta da Francesco Totaro, presidente del Comitato scientifico del Centro Studi Filosofici di Gallarate. Nella sua introduzione ha evidenziato che «coltivare molteplici prospettive della verità, e verso la verità, è interesse della democrazia, più di quanto non possa essere l’affermazione di relativismo».
Può esserci “amicizia” tra democrazia e verità? È la domanda che si è posta Carla Danani, docente di Filosofia morale all’università di Macerata intervenuta alla seconda giornata del convegno. I lavori sono stati introdotti dal professor Louis Caruana, decano della Facoltà di filosofia dell’ateneo e da Francesco Totaro, presidente del comitato scientifico del Centro Studi Filosofici di Gallarate, il quale ha colto l’occasione per ricordare il gesuita padre Gian Luigi Brena, morto il 26 luglio, per anni segretario della Fondazione.
Nella seconda giornata i partecipanti sono stati suddivisi in cinque gruppi e si sono confrontati su varie tematiche: democrazia e teorie della verità, democrazia e questioni etico-pratiche, democrazia e comunicazione, figure storiche del pensiero democratico e democrazia e persona, libertà, diritti e doveri.
“Verità della democrazia?” il tema della relazione della professoressa Danani la quale ha da subito evidenziato che la democrazia «si fonda sulla libertà di parola». La docente ha quindi spiegato che democrazia e verità non sono due concetti «immediatamente sovrapponibili» ma al tempo stesso non sono «così in opposizione come oggi tentano di farci credere». Per Danani c’è quindi chi sostiene da un lato che «la democrazia si basa sulla regola della maggioranza indipendentemente se le scelte vengano fatte a partire da premesse vere» e dall’altro chi ritiene che «se la verità pretende di imporsi all’interno di un contesto democratico diventa tirannica e dispotica». Ne conseguono due strategie, una di «banalizzazione e l’altra di drammatizzazione che comportano – ha aggiunto Danani – una contrapposizione tra i due termini. Ma non è così perché un’amicizia tra verità e democrazia può esserci. Un’amicizia non di convenienza ma che aiuti l’una a realizzare quello che è la promessa contenuta nell’atra e viceversa. Se oggi si registra un’accresciuta sensibilità è anche in virtù delle conquiste che le democrazie sono riuscite a fare».
“Democrazia e verità nell’epoca della comunicazione digitale” è stato quindi il tema della seconda parte della sessione pomeridiana del convegno, che si è svolto nell’aula Carlo Morelli della Pontificia Università Gregoriana. Ad argomentare Julian Nida-Rümelin, professore di Filosofia e teoria politica presso la Ludwig-Maximilian- Universität di Monaco di Baviera, professore onorario all’Istituto di Filosofia della Humboldt- Universität di Berlino e membro del centro di neuroscienze di Monaco.
Il filosofo ha posto l’accento sul fatto che «la democrazia non è un mero gioco di interesse o di identità culturale» ribadendo più volte che senza la verità la democrazia «non funziona». Ai numerosi professori con competenze filosofiche, storiche e giuridiche che affollavano l’aula, Nida-Rümelin ha spiegato che nella democrazia «c’è posto per la verità» sottolineando che quest’ultima «non legittima mai la violenza» così come «l’avere un conflitto di opinione non legittima l’abuso di potere».
Per il filosofo l’opinione pubblica ha abbracciato «per anni la teoria secondo la quale le pretese di verità in democrazia non funzionano. Oggi è chiaro il contrario». Ne consegue che per avere reale democrazia «occorre avere un’immagine coerente della realtà che ci circonda». L’era digitale e l’avvento dei social media come Facebook e Twitter hanno da un lato «incentivato la partecipazione politica ma dall’altro hanno portato a una sfera pubblica compartimentata. Oggi – ha concluso Nida-Rümelin – abbiamo una commercializzazione della comunicazione su internet e su piattaforme come Facebook, il cui obiettivo è quello di vendere e ha quindi sviluppato algoritmi su ciò che si preferisce. Questa è una sfida per la democrazia».
L’etica del discorso nella democrazia il fulcro della relazione di Stefano Petrucciani, professore ordinario di Filosofia politica all’università La Sapienza di Roma e direttore del dipartimento di Filosofia, intervenuto sabato 28 settembre, all’ultima delle tre giornate di lavoro.
La sessione, moderata da Marianna Gensabella dell’università di Messina, ha avuto come tema “Il fondamento dialogico della democrazia e il relativismo”. Petrucciani si è soffermato sull’importanza dell’etica del dialogo e del discorso che costituiscono «la base di un’etica della democrazia» ecco perché nella società odierna emerge l’esigenza «di istituzionalizzare il metodo del discorso attraverso appropriate norme giuridico-politiche, cioè attraverso le modalità del confronto democratico».
Per il docente, autore di numerosi articoli di filosofia politica pubblicati in varie lingue, profondo conoscitore del pensiero del filosofo italiano Guido Calogero (teorico della filosofia del dialogo) e del tedesco Karl-Otto Apel, una volta accolti i principi dell’etica del dialogo esistono «buoni motivi per sostenere la tesi che, in una società che deve necessariamente darsi regole coercitive, ognuno ha diritto a partecipare alla definizione delle norme comuni attraverso una procedura di pubblica argomentazione e deliberazione».
Soffermandosi sulle riflessioni di Calogero e di Apel e sulle rispettive filosofie del dialogo Petrucciani ha spiegato che «esse offrono degli argomenti più solidi e diversi da quelli tradizionali per difendere l’idea di una organizzazione democratica della convivenza civile». Inoltre esse non solo danno «una peculiare giustificazione della democrazia, ma anche un modo particolare di intenderla. Quella che da queste riflessioni deve scaturire non è solo una democrazia costituzionale, liberale e sociale, ma anche una democrazia deliberativa, cioè una democrazia che deve essere particolarmente attenta a una dimensione che oggi è tanto centrale quanto esposta a ogni tipo di degenerazioni, e cioè alla qualità e alla inclusività della discussione pubblica».
Popolo, Stato, democrazia, personalismo, sovranità sono i cinque concetti chiave analizzati invece dal filosofo Vittorio Possenti, pensatore cattolico e professore all’università “Ca’ Foscari” di Venezia. «Il concetto personalista di popolo – ha affermato Possenti nell’auditorium San Domenico davanti ad una nutrita platea di docenti – si oppone alla “mitologia dell’individuo. Il centraggio sull’individuo ostacola il cammino verso un approfondimento della nozione di popolo».
“Il popolo”, ha detto il filosofo che ha attinto ad autori come don Romano Guardini, don Luigi Sturzo e Jacques Maritain è «depositario per diritto naturale dell’autogoverno; esso, soggetto di diritti e doveri, è una persona collettiva, mentre lo Stato non è persona, ma organizzazione in vista del bene comune. Lo Stato democratico si fonda perlopiù su un’antropologia personalistica e relazionale, e così il suo modello di socialità, che è down-top».
Soffermandosi sul tema della democrazia Possenti, riprendendo anche le parole di Sturzo per il quale una democrazia «è autentica solo quando è solidale», ha spiegato che questa necessita di «una verità pratica in qualche modo condivisa. La democrazia non è l’ambito della ragion pura, ma della ragion pratica che tanto spesso è una “ragione impura”, non perché sporca ma perché capace di vedere la complessità dell’azione e la difficoltà di comporre visioni differenti».
Analizzando il concetto di sovranità nell’epoca moderna Possenti ha affermato con decisione che «come potere assoluto ha fatto fallimento, si è concretato in una concezione centralistica all’interno e bellicistica nello spazio internazionale, e va sostituito con il concetto di autonomia e di autogoverno. Il concetto stesso di sovranità dovrebbe essere espunto dal linguaggio politico, che ne è stato infettato, e sostituito da quelli di autonomia e di indipendenza nel cammino verso unioni più alte».
Infine il filosofo ha evidenziato che tutt’oggi è valida «l’idea politica del “personalismo comunitario” solidale e federalista» che ha comunque bisogno di «aggiornamenti. Ma le grandi idee camminano sulle e con le gambe di popoli autentici – ha concluso – che abbiano la benedizione di avere capi politici e statisti all’altezza di questo nome, che oggi sono sempre più rari».
Grande soddisfazione sull’esito dei lavori è stata espressa dal presidente del comitato scientifico del centro studi filosofici di Gallarate Francesco Totaro. Al termine del 74° convegno promosso dalla fondazione il professore si è detto compiaciuto per la tre giorni perché i relatori 《sono riusciti a toccare temi di grande interesse e attualità. Non sono mancati spunti di riflessione sui quali continuare a ragionare》. Totaro ha dato appuntamento al 75° convegno che si terrà nel settembre 2020.
La Fondazione Centro Studi Filosofici di Gallarate prosegue sotto altra veste giuridica l’attività del “Centro di studi filosofici di Gallarate”, che ha dato origine ad essa insieme alla Provincia d’Italia della Compagnia di Gesù e l’ha costituita come Fondazione il 13 settembre 1998.
Qui l’intervista di Avvenire al filosofo Nida-Rümelin che ha partecipato al convegno.