40 anni di Astalli: una storia di servizio e di amore
Si avvicinano lentamente. Depongono un cartoncino nel cesto ai piedi dell’altare e un grano di incenso nel piccolo braciere. Portano nella preghiera i nomi di famiglie, giovani, bambini, uomini e donne che sono state accolti nei loro istituti. Hanno risposto all’appello che il Papa lanciò nel settembre 2013, visitando il Centro Astalli di Roma: «Vorrei invitare anche gli Istituti religiosi a leggere seriamente e con responsabilità questo segno dei tempi. Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti. Carissimi religiosi e religiose, i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi. I conventi vuoti non sono vostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati. Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti». In questi anni sono state 36 le istituzioni maschili e femminili che hanno accolto più di 400 persone, di 31 nazionalità diverse. E che con il Centro Astalli hanno costruito un progetto di ripartenza e inserimento. Il 14 novembre molti di loro erano a sant’Andrea al Quirinale, per celebrare i 40 anni del Centro Astalli.
Conventi aperti ai rifugiati
«Sappiamo che i numeri ci servono solo per avere la dimensione di quanto abbiamo fatto. Ma in ognuno di noi rimane il ricordo di un incontro che è stato, come avviene nella vita fatto di momenti lieti e momenti tristi», ha detto padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli. «In entrambi i casi si è trattato di un cammino di condivisione, che ci fa percepire di essere tutti fratelli e sorelle sulle vie della storia».
Tanti i concelebranti alla liturgia presieduta da padre Federico Lombardi, che quest’anno celebra 50 anni di ordinazione presbiterale e che 40 anni fa era Provinciale dei gesuiti e fu lui a assegnare i primi locali perché il Centro Astalli nascesse, rispondendo all’intuizione profetica del padre Arrupe, che due anni prima aveva fondato il Jesuit refugee service.
La chiesa di sant’Andrea
Lombardi ha fatto memoria di volti, eventi, luoghi. Parlando anche della chiesa di sant’Andrea al Quirinale, dove risiede una comunità di gesuiti e dove si celebrava la liturgia. «Chiunque conosca un poco la storia della Compagnia di Gesù non può non sentirsi molto emozionato quando torna in questo luogo e in questa chiesa, per cercare ispirazione di grandi impegni, di ideali di servizio e santità. Qui sono passati e si sono formati numerosi santi, missionari e martiri. Oltre a Santo Stanislao, San Luigi Gonzaga, San Robert Southwell e altri martiri inglesi, il Beato Rodolfo Acquaviva martire in India, Matteo Ricci, Alessandro Valignano apostoli della Cina e dell’Oriente».
Pedro Arrupe, efficace amico, fonte di ispirazione
Padre Lombardi ha quindi ricordato che proprio il 14 novembre ricorre l’anniversario della nascita del P. Pedro Arrupe, avvenuta nel 1907. «Arrupe è per tutti noi qui presenti il fondatore del servizio dei gesuiti per i rifugiati, 42 anni fa, ed è una sorgente viva di orientamento e di ispirazione per il nostro e vostro impegno. Era una persona che suscitava entusiasmo e fervore, indimenticabile per tutti quelli che lo hanno conosciuto. Quanto sia viva la presenza spirituale di Arrupe, per tutti i gesuiti e più largamente nella vita religiosa e nella Chiesa è del tutto evidente. Non per nulla oggi è in corso la cosiddetta “causa di beatificazione”, cioè l’impegno perché la sua virtù e la sua santità siano ufficialmente riconosciute dalla Chiesa, ed egli sia sempre più sentito come valido ed efficace amico e anche come intercessore presso Dio per tutti coloro che seguono le tracce di vita e di servizio indicate da lui. Fra questi siete tutti voi qui presenti, impegnati in vario modo nel servizio per i rifugiati e nel Centro Astalli come operatori, volontari, amici, sostenitori, e così via».
Il rifugiato san Giuseppe Pignatelli
Quindi ha ricordato che nello stesso giorno si celebra la memoria liturgica di un altro santo gesuita, San Giuseppe Pignatelli, morto appunto fra il 14 e il 15 novembre (1811) e lui stesso esule e rifugiato, perché visse in prima persona le vicende drammatiche della soppressione e della cacciata della Compagnia di Gesù. «Nel 1767 migliaia di gesuiti furono incarcerati, caricati su navi in condizioni drammatiche e cacciati dai paesi dove operavano. Pignatelli, giovane di trent’anni, era uno dei 570 gesuiti cacciati dalla Spagna su 13 navi, che dovevano scaricarli a Civitavecchia negli Stati pontifici, senza alcun accordo previo da parte del governo spagnolo. Ma lo sbarco proprio per questo viene rifiutato, allora le navi vanno in Corsica, ma anche qui viene rifiutato lo sbarco e i gesuiti rimangono nelle navi, alcuni per più di un mese, altri per cinque mesi prima di poter sbarcare e trovare alloggio in stalle, vecchie cappelle, povere case…. A questi se ne aggiungono nei mesi successivi altri 1800 cacciati dalle Americhe. Un anno dopo i francesi li espellono dalla Corsica, sbarcandoli in Liguria. Da qui raggiungeranno gli Stati pontifici dove cercheranno una sistemazione. Sono storie di 250 anni fa, ma non sembrano molto diverse da storie che avvengono ai nostri giorni. Per questo Pignatelli è molto attuale».
Pignatelli si dà da fare ed è il punto di riferimento, di conforto, di organizzazione per quelli che non vogliono disperdersi, ma perseverare e infine ricostruire. È un rifugiato che riesce a ricominciare e a ricostruire alla fine la dignità e la vita della sua comunità.
Un servizio in una grande storia spirituale
«Quello che mi sembra giusto, qui e ora, è sentire questo servizio inserito in una grande storia spirituale guidata e segnata dai santi e dalla loro fede e dalla loro speranza. Ignazio e i suoi compagni che organizzano l’accoglienza e la cura della persone ferite dalla carestia nel centro di Roma, a poche decine di metri da Via degli Astalli; Pignatelli e i gesuiti del suo tempo, che percorrono la via dell’esilio e della distruzione delle loro attività senza perdere la speranza, fino a ricostruire un futuro per le loro comunità; Arrupe, che a Hiroshima si vede cadere sulla testa la prima bomba atomica della storia con tutto il suo potere di distruzione e che si mette a servirne le vittime in tutti i modi, e poi, negli ultimi anni della sua attività, sente l’urgenza di riorientare il servizio dei suoi confratelli verso i rifugiati del mondo intero, per camminare con loro, riconoscendone pienamente la dignità umana e spirituale. Sentiamoli vicini a noi e cerchiamo di attingere insieme, come loro, da questa Eucarestia lo Spirito per il nostro impegno in questo mondo che continua a produrre guerra, ingiustizia e fame».
Alla fine della celebrazione momento di festa e saluti, preceduto dall’inaugurazione della suggestiva nuova illuminazione della chiesa e della cupola del Bernini.