Padre Nicolás.Ancora sull’Europa
Ancora sull’Europa. In questa intervista, rilasciata al bollettino internazioanle dei Gesuiti, il padre Generale ritorna sull’Europa e sui diversi stili di comunicazione tra Oriente e Occidente.
I suoi commenti sull’Europa dopo alcune visite ai gesuiti di questo continente hanno suscitato interesse ma anche meraviglia. Essi sono stati fatti subito dopo le visite in Belgio e Svizzera: sono allora il frutto di queste ultime due visite ai gesuiti europei?
No, assolutamente. Di fatto io avevo risposto alle domande “prima” di quelle visite. E non si riferiscono nemmeno a ciò che ho visto nei miei incontri con i gesuiti. Le mie osservazioni sono di carattere più generale e sono l’espressione di quanto io avverto nel modo di parlare degli europei riguardo a temi, problemi e persone, dopo essere stato per ben 48 anni nell’Asia Orientale, dove certamente c’è una tradizione diversa a questo proposito.
E’ preoccupato per il fatto che alcuni possano considerare le sue parole troppo dure e perfino ingiuste per molti europei, che non sono certamente superbi e arroganti, ma sono semplicemente abituati a un linguaggio diretto e immediato?
Io penso che questo è il rischio di tutte le affermazioni che riguardano gruppi di persone. Sarei certamente preoccupato se le mie parole fossero prese come un giudizio negativo sugli europei, cosa che di certo non volevano essere. Insisto nel dire che questo è ciò che mi ha fatto impressione in un modo di parlare che era mio un tempo, e forse lo è ancora. Sono anche ben cosciente che le lingue sono costruite e strutturate in modo diverso. Le lingue europee sono centrate fondamentalmente sull’argomento in questione. Asseriscono o negano, spiegano o rifiutano, chiariscono o sviluppano un’idea, un’opinione, una convinzione. Le lingue dell’Asia Orientale fanno maggiore attenzione alle persone che dialogano. Tu allora non rispondi subito all’argomento in questione, ma alla persona che ti rivolge una domanda, e ci sono molte sfumature alla fine di un’affermazione che rendono quest’ultima più gentile, meno perentoria, aperta alla discussione e ad altre interpretazioni. Il fatto è che l’argomento in questione normalmente non è definito o negato in ogni momento, ma rimane aperto ad altre opinioni anche contrarie, a ulteriori ricerche di sfumature o semplicemente di errore. E’ chiaro che ciò aiuta tutti a sentirsi a proprio agio senza avere l’impressione di essere ignorati, esclusi o lasciati in disparte dalla conversazione.
Si può fare qualcosa riguardo a queste impressioni?
E’ sempre molto difficile dire agli altri ciò che devono fare, quando uno non è sicuro (e io non lo sono) di avere operato i dovuti cambiamenti. Posso solo parlare partendo dalla mia esperienza e sul come ho dovuto apprendere un nuovo modo di parlare che è anteriore e va oltre il semplice apprendimento di un’altra lingua. In altre parole, ho dovuto imparare a parlare sempre con grande rispetto per “l’altro” con cui sto parlando, sia che si tratti di persone o di gruppi. Questo non è qualcosa che ho appreso dalla sera alla mattina; ci vogliono anni per cambiare quelle abitudini che abbiamo assimilato fin dalla nostra prima infanzia. Devo dire che la maggior parte delle volte non è questione di sforzo personale o dell’acquisizione di una qualche abilità diplomatica; il modo migliore di apprendimento è prendere coscienza di quanto sia piacevole quando le persone dialogano tra loro in questo modo rispettoso, quando le persone sono più importanti di qualsiasi idea che noi possiamo avere riguardo alle cose. La seconda cosa che ho dovuto imparare nel corso degli anni vissuti in Asia, è stata quella di essere più onesto con i miei dubbi e insicurezze. E’ più reale, e di conseguenza più utile nell’interazione umana, lasciare che si manifesti la nostra ignoranza e incertezza. Sono veramente poche le cose circa le quali abbiamo una certa conoscenza. Parlare avendo presente questa consapevolezza apre la possibilità agli altri di aiutarci, di insegnarci, di contribuire con la loro esperienza e conoscenza là dove la nostra è insufficiente. Questo semplice fatto opera meraviglie nella comunicazione personale e facilita l’interazione. Se questa la chiamiamo “umiltà”, allora devo dire che l’umiltà è molto utile per la comunicazione interculturale.
In questo modo lei fa apparire chiaro che la comunicazione umana può essere aiutata da una certa dose di spiritualità.
Grazie per aver compreso le mie parole su questa linea. Questo è esattamente ciò che penso che può aiutarci nel nostro mondo complesso e difficile. C’è stato un tempo in cui ero convinto che conoscere le lingue fosse sufficiente. Poi ho appreso che era ancora più importante la chiarezza e l’accuratezza su ciò di cui si parla. In seguito ho scoperto che era della massima importanza per una reale comunicazione conoscere il bagaglio culturale delle persone che incontriamo. E’ stato in Asia dove mi sono convinto che la comunicazione comincia e si approfondisce quando ci rendiamo capaci di accogliere gli altri dal profondo del cuore, così come sono, forti o deboli, ben determinati o vulnerabili; e che se non c’è amore è molto difficile comunicare. In altre parole, l’abilità della comunicazione si può acquisire e coltivare, ma l’evento in se stesso è più un’arte nella quale si cresce in umiltà e amore, che una tecnica di cui uno può diventare padrone ed esserne fiero. Le somiglianze con il progresso spirituale sono molte e profonde. Ed io sono profondamente riconoscente all’Asia per avermi fatto fare questa scoperta.