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Curia Generale. Il 2014, un anno di riflessione e di studio

Dopo l’incontro dei Gesuiti di Roma con Papa Francesco, il 3 gennaio 2014, il Padre Generale ha affidato le sue impressioni in un’intervista al bollettino della Curia generalizia. Ecco le sue risposte.

 

Alcuni giorni fa si è tenuta nella Chiesa del Gesù una messa di ringraziamento per la canonizzazione di Pietro Fabro, uno dei primi compagni di Ignazio e co-fondatore della Compagnia di Gesù.  Questo vuol dire che la Compagnia continua a promuovere la canonizzazione di gesuiti per aumentare la già lunga lista dei suoi santi?

 

La domanda sembra non considerare che praticamente in tutti gli ordini religiosi ci sono una o due persone qualificate che si occupano di vigilare affinché siano soddisfatti i requisiti necessari per la canonizzazione di coloro che possono contribuire con il loro esempio di vita e la loro ispirazione alla vita della Chiesa. Questi religiosi, chiamati “Postulatori” studiano e preparano il processo, non solo di religiosi dello stesso Ordine, ma a volte si prendono cura anche di altre cause di laici, o religiosi o ecclesiastici, che chiedono la loro collaborazione. Naturalmente i Postulatori lavorano seguendo i principi e le politiche dell’Ordine.  Noi pensiamo che il bene fondamentale sia quello della Chiesa e teniamo molto in considerazione il fatto che ci sia devozione popolare per il candidato della cui canonizzazione ci occupiamo. Se c’è “devozione popolare” collaboriamo nella preparazione affinché sia seria e ben fondata. Per cui possiamo dire che non intendiamo affatto aumentare le nostre liste per accrescere il nostro prestigio; ciò sarebbe contrario al bene della Chiesa e quindi indegno della nostra vocazione.

 

Lei ha scritto una breve lettera alla Compagnia dopo la messa del giorno di Sant’Ignazio il 31 luglio 2013con le impressioni relative alla presenza e partecipazione di Papa Francesco. Che cosa sottolineerebbe della partecipazione del Papa in questa occasione?

 

Confesso che mi è piaciuta molto un’osservazione fatta dal Cardinale Vallini in sacrestia prima della celebrazione della messa del 3 gennaio. Disse che questa celebrazione stava procedendo sulla strada della “estrema semplificazione”.  Papa Francesco è entrato in Chiesa camminando come fanno solitamente i sacerdoti. Non aveva con sé il pastorale, simbolo di autorità e di ministero pastorale, ecc. Lo stesso è successo a luglio nel giorno di Sant’Ignazio. La mia interpretazione è che il Papa voleva dire che tra gesuiti la direzione la dà Sant’Ignazio e lui veniva come ‘fratello tra fratelli” ad ascoltare la Parola di Dio e a lasciarsi guidare da lei.  Infatti la maggior parte dei gesuiti presenti (346) si sono riconosciuti nelle parole dell’omelia e si sono sentiti interpellati da Papa Francesco nel profondo dei loro cuori.

 

Quali sono stati per voi gesuiti i punti centrali dell’omelia?

 

Non posso pretendere di parlare a nome di tutti.  Per me sono quattro i punti che il Papa ha toccato e che ci invitano a pregare e ad approfondire.  (1) In primo luogo la necessità di concentrarsi su Cristo, così essenziale per Sant’Ignazio e che spiega perché portiamo il nome di Gesù. Focalizzarsi su Gesù per avere i suoi sentimenti, il suo cuore, per svuotare se stesso. (2) Il Papa ha definito il gesuita una persona “inquieta”, difficile da accontentare; anzi, mai soddisfatta, mai convinta che sia stato fatto tutto e che non ci sia più spazio per procedere oltre. Il Papa ha definito i gesuiti persone dal “pensiero incompleto”, “sempre aperto”, in modo che solo nella coscienza dell’incompletezza riescono a trovare la pace. (3) Il terzo punto è un’estensione del secondo in termini di essere “uomini di grandi desideri”, qualcosa che tocca profondamente sia Sant’Ignazio che San Pietro Fabro. Dai grandi desideri dipende l’audacia, il coraggio, la capacità di assumersi grandi rischi per il bene delle persone e della Chiesa. Non sempre ne usciremo bene ma senza rischio non c’è vita, e, come dice il Papa, senza desideri non si va da nessuna parte. (4) Il quarto punto è già un tema di Papa Francesco, ma prende rilievo nel contesto di questa messa con noi.  Si tratta di evangelizzare con dolcezza, fraternità e amore.

Come si può vedere, siamo di fronte a sfide importanti, nelle quali armonizzare la tensione con la pace interiore, grandi desideri con uno stile fraterno e dolce nel presentare il Vangelo. Il gesuita, secondo Papa Francesco, è un uomo in tensione, consapevole di essere incompleto di fronte a Gesù e a Dio e dunque ansioso di “qualcosa in più”, ma questa tensione  è interiore e lo rende sempre “pellegrino alla ricerca di altro”, un uomo dai desideri difficili da accontentare; e allo stesso tempo cosciente delle sue lacune interiori, della sua imperfezione e del suo peccato, incapace di considerarsi meglio di chiunque altro, e quindi che non vede mai se stesso come l’amante perfetto e esigente, ma piuttosto come l’essere amato e perdonato “con l’altro”.

 

Ci può dire qualcosa su come tutto questo può influire sulla celebrazione del secondo centenario della ricostituzione della Compagnia?

 

Posso dire in tutta sincerità che questo è lo stile della celebrazione del bicentenario.  Desideriamo che sia un anno di studio e di riflessione. Tutte le crisi della storia racchiudono una saggezza nascosta che è necessario dipanare. Per noi gesuiti questa è la commemorazione della nostra crisi più grande. È quindi importante che oltre agli eventi che conosciamo scopriamo il bene e il male delle nostre azioni, per ravvivare quei grandi desideri di cui parlava il Papa e proseguire l’opera di evangelizzazione perfezionando la nostra fratellanza e intensificando l’amore.

 

Alcuni giorni fa si è tenuta nella Chiesa del Gesù una messa di ringraziamento per la canonizzazione di Pietro Fabro, uno dei primi compagni di Ignazio e co-fondatore della Compagnia di Gesù.  Questo vuol dire che la Compagnia continua a promuovere la canonizzazione di gesuiti per aumentare la già lunga lista dei suoi santi?

 

La domanda sembra non considerare che praticamente in tutti gli ordini religiosi ci sono una o due persone qualificate che si occupano di vigilare affinché siano soddisfatti i requisiti necessari per la canonizzazione di coloro che possono contribuire con il loro esempio di vita e la loro ispirazione alla vita della Chiesa. Questi religiosi, chiamati “Postulatori” studiano e preparano il processo, non solo di religiosi dello stesso Ordine, ma a volte si prendono cura anche di altre cause di laici, o religiosi o ecclesiastici, che chiedono la loro collaborazione. Naturalmente i Postulatori lavorano seguendo i principi e le politiche dell’Ordine.  Noi pensiamo che il bene fondamentale sia quello della Chiesa e teniamo molto in considerazione il fatto che ci sia devozione popolare per il candidato della cui canonizzazione ci occupiamo. Se c’è “devozione popolare” collaboriamo nella preparazione affinché sia seria e ben fondata. Per cui possiamo dire che non intendiamo affatto aumentare le nostre liste per accrescere il nostro prestigio; ciò sarebbe contrario al bene della Chiesa e quindi indegno della nostra vocazione.

 

Lei ha scritto una breve lettera alla Compagnia dopo la messa del giorno di Sant’Ignazio il 31 luglio 2013con le impressioni relative alla presenza e partecipazione di Papa Francesco. Che cosa sottolineerebbe della partecipazione del Papa in questa occasione?

 

Confesso che mi è piaciuta molto un’osservazione fatta dal Cardinale Vallini in sacrestia prima della celebrazione della messa del 3 gennaio. Disse che questa celebrazione stava procedendo sulla strada della “estrema semplificazione”.  Papa Francesco è entrato in Chiesa camminando come fanno solitamente i sacerdoti. Non aveva con sé il pastorale, simbolo di autorità e di ministero pastorale, ecc. Lo stesso è successo a luglio nel giorno di Sant’Ignazio. La mia interpretazione è che il Papa voleva dire che tra gesuiti la direzione la dà Sant’Ignazio e lui veniva come ‘fratello tra fratelli” ad ascoltare la Parola di Dio e a lasciarsi guidare da lei.  Infatti la maggior parte dei gesuiti presenti (346) si sono riconosciuti nelle parole dell’omelia e si sono sentiti interpellati da Papa Francesco nel profondo dei loro cuori.

 

Quali sono stati per voi gesuiti i punti centrali dell’omelia?

 

Non posso pretendere di parlare a nome di tutti.  Per me sono quattro i punti che il Papa ha toccato e che ci invitano a pregare e ad approfondire.  (1) In primo luogo la necessità di concentrarsi su Cristo, così essenziale per Sant’Ignazio e che spiega perché portiamo il nome di Gesù. Focalizzarsi su Gesù per avere i suoi sentimenti, il suo cuore, per svuotare se stesso. (2) Il Papa ha definito il gesuita una persona “inquieta”, difficile da accontentare; anzi, mai soddisfatta, mai convinta che sia stato fatto tutto e che non ci sia più spazio per procedere oltre. Il Papa ha definito i gesuiti persone dal “pensiero incompleto”, “sempre aperto”, in modo che solo nella coscienza dell’incompletezza riescono a trovare la pace. (3) Il terzo punto è un’estensione del secondo in termini di essere “uomini di grandi desideri”, qualcosa che tocca profondamente sia Sant’Ignazio che San Pietro Fabro. Dai grandi desideri dipende l’audacia, il coraggio, la capacità di assumersi grandi rischi per il bene delle persone e della Chiesa. Non sempre ne usciremo bene ma senza rischio non c’è vita, e, come dice il Papa, senza desideri non si va da nessuna parte. (4) Il quarto punto è già un tema di Papa Francesco, ma prende rilievo nel contesto di questa messa con noi.  Si tratta di evangelizzare con dolcezza, fraternità e amore.

Come si può vedere, siamo di fronte a sfide importanti, nelle quali armonizzare la tensione con la pace interiore, grandi desideri con uno stile fraterno e dolce nel presentare il Vangelo. Il gesuita, secondo Papa Francesco, è un uomo in tensione, consapevole di essere incompleto di fronte a Gesù e a Dio e dunque ansioso di “qualcosa in più”, ma questa tensione  è interiore e lo rende sempre “pellegrino alla ricerca di altro”, un uomo dai desideri difficili da accontentare; e allo stesso tempo cosciente delle sue lacune interiori, della sua imperfezione e del suo peccato, incapace di considerarsi meglio di chiunque altro, e quindi che non vede mai se stesso come l’amante perfetto e esigente, ma piuttosto come l’essere amato e perdonato “con l’altro”.

 

Ci può dire qualcosa su come tutto questo può influire sulla celebrazione del secondo centenario della ricostituzione della Compagnia?

 

Posso dire in tutta sincerità che questo è lo stile della celebrazione del bicentenario.  Desideriamo che sia un anno di studio e di riflessione. Tutte le crisi della storia racchiudono una saggezza nascosta che è necessario dipanare. Per noi gesuiti questa è la commemorazione della nostra crisi più grande. È quindi importante che oltre agli eventi che conosciamo scopriamo il bene e il male delle nostre azioni, per ravvivare quei grandi desideri di cui parlava il Papa e proseguire l’opera di evangelizzazione perfezionando la nostra fratellanza e intensificando l’amore.

 

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