Ricostituzione. Padre Pecori: “Un’occasione per rileggere i conflitti, interni ed esterni”
In occasione dei 200 anni dalla Ricostituzione, su Gesuitinews inauguriamo uno spazio-intervista che parte dalle domande che il Papa ha fatto ai religiosi nell’incontro con l’Unione dei Superiori Generali. Domande che interpellano la vita religiosa e della Compagnia oggi, anche a partire da una riflessione sul senso di un anniversario che interroga i Gesuiti in tutto il mondo.
Il primo a rispondere è padre Francesco Pecori, della comunità di Genova, impegnato nell’apostolato giovanile e sociale.
Come tenere insieme gli impegni della missione e quelli della vita comunitaria?
“Bisogna coltivare la consapevolezza che la vita comunitaria nei suoi vari momenti (riunioni, momenti di comunicazione interpersonale, tempi di preghiera) ha come obiettivo di meglio assimilare, comprendere e precisare la missione. C’è comunità religiosa perché c’è una missione, sarebbe negativo se fossero percepiti come due ambiti separati.
Oggi è particolarmente utile che nelle comunità ci siano anche momenti di comunicazione dei vissuti personali di ciascuno, come pure momenti di svago insieme, però deve essere chiaro che l’obiettivo globale è di permettere ai componenti della comunità di sentire i ministeri di tutti il più possibile dentro un progetto condiviso.
Questo obiettivo è inevitabilmente più difficile quando i religiosi di una stessa comunità sono coinvolti in diversi ambiti. La diversità degli ambiti però è anche un fattore di arricchimento per il procedere di ciascuno”.
Come lottare contro la tendenza all’individualismo?
“C’è individualismo e c’è una certa tendenza a occuparsi più volentieri di esterni piuttosto che delle persone con le quali si vive. Le relazioni con i vicini sono meno curate perché rese ruvide e dunque meno gratificanti dalle tensioni della vita quotidiana, peraltro del tutto fisiologiche.
In questo contesto:
in primo luogo è importante il ruolo del/la responsabile della comunità in quanto animatore della comunità. E’ essenziale che questa persona senta l’importanza e il gusto di animare confratelli e consorelle, nel senso favorire le condizioni perché vivano bene, nella contentezza e che abbiano luoghi dove ri-animarsi.
I momenti di preghiera, almeno alcuni, dovrebbero agevolare l’espressione di vissuti personali invece di fissarsi in modalità stereotipate (ufficio delle ore, Eucaristia, rosario). Le modalità tradizionali rischiano di escludere la condivisione e il racconto della vita. Senza questo la comunione tra le persone si svuota di fatto”.
Come comportarsi con i fratelli in difficoltà o che vivono o creano conflitti?
“Tutti vivono conflitti, non solo i casi difficili. La sfida per tutti è la maturità relazionale.
Dato che diversi fattori rendono oggi più difficile la gestione dei conflitti (aggressività dilagante nei media, la mancanza di tempo), la formazione dei religiosi dovrebbe dare maggiori strumenti in questo campo. Ne indico due.
Inserire negli iter formativi iniziali corsi di formazione sulla mediazione dei conflitti. Nella società civile pullulano i corsi di mediazione interculturale, familiare, comunitaria. I religiosi, fanno otto anni di studi, corsi sulla teologia specifica del tal profeta dell’Antico Testamento, ma non si trova un corso specifico sulla mediazione dei conflitti. Ciò è paradossale, soprattutto alla luce dei silenzi imbronciati che inquinano la vita di molte comunità.
Assicurare la presenza di un accompagnamento spirituale personale, strumento fondamentale di crescita nella maturità relazionale. Lavorare perché un accompagnamento spirituale serio sia considerato necessario anche alla fine della prima formazione come indispensabile strumento di formazione permanente.
In attesa di un miglioramento della formazione per tutti, continuare a curare la formazione in questo campo dei responsabili delle comunità e degli accompagnatori spirituali”.
Come coniugare giusta risposta e misericordia davanti a casi difficili?
“Ovviamente non c’è una risposta generale. Vale la risposta alla domanda precedente.
Le attuali condizioni di vita rendono più difficile vivere in modo equilibrato nella vita religiosa. La maggiore esposizione di piccole comunità, le tentazioni relative a un eccessivo investimento nel lavoro apostolico, il sovradosaggio di comunicazione (cellulare, internet…) espongono a un maggiore rischio di dispersione e di perdita di vista della qualità della vita umano-spirituale.
In questo contesto conviene essere più selettivi all’entrata. Ci vuole a priori una pasta umana equilibrata per vivere bene la vita religiosa. Prima si poteva sperare nell’effetto protettivo di grandi strutture e di una vita più semplice”.
Come annunciare Cristo ai giovani, a una generazione che cambia?
“Chi lavora con i giovani deve avere a disposizione un po’ di anni per essere riconosciuto come disponibile in un certo luogo. Quanto al luogo è importante che sia un luogo di incontro anche dal punto di vista proprio della visibilità nel tessuto urbanistico.
E’ importante fare proposte a diversi livelli e tra queste fare anche alcune proposte esigenti, che chiedono investimento nella preghiera personale e nell’accompagnamento spirituale. Il rischio altrimenti è di autolimitarsi in anticipo dicendo che non si possono proporre cose impegnative, ma così si lascia a bocca asciutta i pochi che sarebbero disponibili.
Ogni proposta spirituale deve assolutamente mettere al centro la dimensione dialettica di attrazioni-repulsioni che caratterizzano ogni cammino spirituale perché questa dialettica è particolarmente intensa e faticosa nell’età giovanile.
In un contesto sociale-economico e dunque culturale dove il giovane deve attendere molto per muoversi e operare, per agire, gli itinerari spirituali devono essere situazioni dove si agisce, si prende posizione. Per uno stile di azione si devono avere due attenzioni:
Nelle riunioni usare modalità interattive dove i ragazzi siano sollecitati a prendere posizione e agire con parole e gesti.
Proporre esperienze di servizio. Le migliori sono quelle che accompagnano la vita quotidiana e che sono accompagnate da momenti di rilettura delle stesse”.
Cosa ti suggerisce l’anniversario della Ricostituzione della Compagnia?
“Tutti gli anniversari, quello relativo alla vita di un santo come quello relativo alla vita di un ordine, sono occasioni per quel processo di continuo rinnovamento che passa per il concentrare l’attenzione su qualche punto particolare.
Questo anniversario significa cose diverse a seconda dei diversi luoghi. Per la Provincia d’Italia è un’occasione per guardare con più libertà le sfide in cui siamo immersi per ri-renderci liberi di fare le stesse cose in modi diversi o di fare anche altre cose.
Se dovessi indicare un punto di lavoro preciso inviterei le comunità dei Gesuiti a riflettere e rileggere l’esperienza proprio dei conflitti sia interni, sia con l’esterno”.