Roma. Astalli: il nuovo Centro di ascolto, dove l’attenzione alla persona si fa percorso
Sono stati inaugurati venerdì 27 maggio i locali del centro d’ascolto e orientamento socio-legale del Centro Astalli Roma, in via del Collegio romano. Philip, rifugiato siriano ha raccontato la sua storia. Presenti il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio per le migrazioni e Luigi Abete, presidente della BNL, la cui Fondazione ha contributo alla ristrutturazione.
“Centro di ascolto socio-legale forse è una formula che dice poco della vita che avviene qui, sotto il livello della strada, nelle fondamenta di una chiesa cara alla Compagnia, l’Oratorio del Caravita”: così padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli.
“Sono spazi dedicati all’orientamento al mondo del lavoro, alle attività culturali e di sensibilizzazione come i progetti “Finestre” e “Incontri” che si tengono nelle scuole; all’assistenza legale, alla redazione del CV, alla preparazione ai colloqui di lavoro e ai tirocini formativi. A questi, nel 2014 si è aggiunto il coordinamento del progetto delle semiautonomie nelle comunità di ospitalità. In un tempo in cui sembra si stia smarrendo il senso di umanità, in questo luogo l’attenzione alle varie dimensioni della vita di una persona non solo vengono prese in considerazione ma ritenute indispensabili per restituire dignità e facilitare il processo di integrazione della persona stessa. In questi locali avviene l’accompagnamento legale delle persone, che significa aiutare il richiedente asilo a ricostruire la propria storia di vita segnata da grandi drammi, viaggi estenuanti, durati mesi quando non anni, accompagnandoli anche attraverso il ricordo di violenze e torture subite.
Ma qui anche ci si fa carico della persona negli aspetti sociali che affronta: la casa, il lavoro, la salute, cercando di mettere a buon frutto la rete di relazioni Istituzionali e non del Centro Astalli, puntando anche a ricostituire la rete di relazioni di fiducia che per la persona rifugiata si sono bruscamente interrotte a causa della fuga dal proprio Paese. Via del Collegio Romano è anche il luogo della progettazione, dell’attenzione alla dimensione culturale e al rapporto con i mass media”.
Durante la cerimonia è intervenuto Philip, rifugiato siriano che ha voluto condividere con i presenti la sua storia.
“Mi chiamo Philip ed ho 37 anni. Sono di Aleppo, una grande città industriale nel nord della Siria. Sono venuto in Italia 7 anni fa per studiare psicologia all’università salesiana dove tutt’ora continuo i miei studi. Il mio primo anno è stato molto difficile perché dovevo studiare ed imparare l’italiano allo stesso tempo. Quando chiamavo la mia famiglia in Siria, loro mi dicevano di tenere duro perché in quel periodo la situazione ad Aleppo stava sempre più peggiorando. La mia vita è cambiata quando una telefonata mi ha informato di una malattia che aveva colpito mio padre; ho sentito subito l’esigenza di tornare. Era la fine del 2008 e ho passato in Siria quello che io definisco 8 mesi di inferno. Sono arrivato a Beirut, in Libano, perché tutti gli aeroporti in Siria erano stati chiusi; da lì ho iniziato un lungo viaggio in autobus durante il quale ho potuto notare fin da subito come la mia terra era profondamente cambiata. Eravamo costretti a fermarci ad ogni check point, le strade erano sempre più difficili da percorrere. Ad Aleppo ho finalmente riabbracciato la mia famiglia che ho trovato profondamente cambiata nell’animo: alla preoccupazione per la salute di mio padre si aggiungeva la forte ansia per quello che stava accadendo fuori dalla finestra di casa nostra. In ospedale la situazione non era di certo migliore: i medicinali scarseggiavano ed anche la ricerca di uno dei farmaci più semplici era davvero difficile; le condizioni igieniche erano pessime perché l’acqua calda non c’era e l’elettricità era presente solo qualche ora al giorno. Mio padre non riusciva a camminare e i calmanti per il dolore erano finiti.
Il 9 marzo 2009 mio padre è morto. Mi ritrovavo ora davanti ad un bivio: il 24 marzo di quello stesso anno mi sarebbe scaduto il visto studentesco che avevo ottenuto per studiare in Italia ed io dovevo decidere se restare o tornare a Roma. Ho parlato con i miei amici e con la mia famiglia; tutti mi dicevano di ritornare in Italia per non perdere il visto che avrebbe rappresentato per me, mia madre e mia sorella un’opportunità per fuggire. Sono ripartito ma ogni giorno ero preoccupato per le condizioni in cui avevo lasciato la mia famiglia. La sentivo via skype e chiedevo sempre a mia madre se volevano raggiungermi a Roma dove avremmo vissuto serenamente e senza angosce. Mia madre era categorica: non voleva lasciare tutto, non voleva abbandonare la casa che aveva fatto costruire con mio padre e che con i loro sacrifici avevano ristrutturato recentemente. Mia sorella non voleva lasciare il suo lavoro nel complesso industriale di Aleppo per ricominciare in un posto per lei completamente nuovo. La situazione è radicalmente cambiata nel giorno di Pasqua del 2015: questo giorno è ancora ricordato come la Pasqua nera. Una pioggia di missili ha bombardato il mio quartiere radendo al suolo intere palazzine e uccidendo molte persone che in quel tempo si stavano dirigendo verso la chiesa. Dopo molte ore sono riuscito a raggiungere telefonicamente mia madre che senza alcuna esitazione ha espresso la sua volontà di fuggire dalla Siria e raggiungermi in Italia insieme a mia sorella. Mi sono subito attivato per trovare un modo sicuro per farle arrivare a Roma e solo con l’aiuto di un parroco sono riuscito ad ottenere un visto turistico per entrambe. Hanno affrontato un viaggio pericoloso fino a Beirut dove hanno raggiunto l’ambasciata italiana per ritirare il visto. Hanno preso il primo volo per l’Italia e ci siamo finalmente riabbracciati all’aeroporto di Fiumicino. Certo, le difficoltà che abbiamo trovato subito dopo il loro arrivo erano tante: mia sorella doveva imparare l’italiano ed ora lo sta facendo nella scuola del Centro Astalli e mia madre vive ogni giorno con la speranza di poter ritornare in Siria appena la situazione sarà migliore. Sin dall’inizio mi sono rivolto a questo centro d’ascolto, in via del Collegio Romano, ed è proprio da qui che ho potuto ricominciare a sperare nel futuro mio e della mia famiglia. Grazie all’appello che Papa Francesco ha rivolto a tutte le parrocchie d’Italia, il Centro Astalli e il servizio di comunità di accoglienza ci hanno aiutato a trovare un rifugio. Ora viviamo tutti e tre insieme ed in pace”.
Donatella Parisi, responsabile comunicazione Centro Astalli