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Roma. Civiltà cattolica: “Il Papa ai gesuiti: la Chiesa abbia audacia e profezia”

Il 24 ottobre scorso la visita di papa Francesco alla 36ma Congregazione generale. Il testo del discorso pubblicato da La Civiltà Cattolica

La Civiltà Cattolica ha pubblicato il dialogo spontaneo avuto da papa Francesco con i Gesuiti durante la 36.ma Congregazione Generale. Tanti i temi affrontati: dal coraggio profetico al clericalismo, dalla politica al discernimento delle situazioni morali, dalla pace alla crisi delle vocazioni. Radiovaticana ne ha proposto una sintesi a cura di Sergio Centofanti

Una “parresia aggiornata”

“Oggi più che mai – afferma Papa Francesco – è necessario avere coraggio e audacia profetica”, una “parresia aggiornata”. Un esempio forte – osserva – è “attaccare la corruzione, molto diffusa in alcuni Paesi” per cui “quando si esauriscono i periodi costituzionali di mandato, subito si cerca di riformare la Costituzione per restare ancora”.

Piccola politica

Sulla politica in generale, dice di ritenere che “la grande politica, si sia sempre più degradata nella piccola politica”. “Mancano quei grandi politici che erano capaci di mettersi sul serio in gioco per i loro ideali e non temevano né il dialogo né la lotta, ma andavano avanti, con intelligenza e con il carisma proprio della politica. La politica è una delle forme più alte della carità. La grande politica. E su questo credo che le polarizzazioni non aiutino: invece ciò che aiuta, nella politica, è il dialogo”.

Lo sfruttamento delle nazioni causa guerre

“Lavorare per la pace è urgente” – ribadisce – perché “ci troviamo nella terza guerra mondiale, a pezzetti. Adesso i pezzetti vanno riunendosi sempre di più. Siamo in guerra. Non bisogna essere ingenui. Il mondo è in guerra, e ne pagano lo scotto alcuni Paesi. Pensiamo al Medio Oriente, all’Africa: là c’è una situazione di guerra continua. Guerre che derivano da tutta una storia di colonizzazione e di sfruttamento. Certo, ci sono Paesi che possiedono l’indipendenza, ma a volte il Paese che ha dato loro l’indipendenza si è riservato il sottosuolo per sé. L’Africa resta un bersaglio dello sfruttamento per le ricchezze che possiede. Perfino da parte di Paesi che fino a tempo fa nemmeno pensavano a questo continente. L’Africa viene sempre guardata nell’ottica dello sfruttamento. E chiaramente questo provoca guerre”. Occorre lavorare per la pace, attraverso la convivenza: “con gli atteggiamenti cristiani che il Signore ci indica nel Vangelo, si può fare molto e si fa molto, e si va avanti. A volte lo si paga a carissimo prezzo, in prima persona. Ebbene, si va avanti comunque. Il martirio fa parte della nostra vocazione”.

Laudato si’ non è enciclica verde ma sociale

Riguardo all’enciclica «Laudato si’» precisa che non è un’«enciclica verde», ma un’enciclica sociale, perché è evidente che a soffrire le conseguenze della crisi ecologica “sono i più poveri, quelli che vengono scartati”.

Il mondo liquido crea disoccupazione

Il Papa dei problemi legati al mondo digitale: “La liquidità dell’economia, la liquidità del lavoro: tutto questo provoca disoccupazione. È il mondo liquido … C’è il desiderio di recuperare la dimensione concreta del lavoro. In Italia il 40% dei giovani dai venticinque anni in giù è disoccupato; in Spagna il 50%; in Croazia il 47%. È un segnale di allarme che mostra questa liquidità che crea disoccupazione”.

Il clericalismo, uno dei mali più seri della Chiesa

Torna poi a parlare della Chiesa povera per i poveri. Sant’Ignazio diceva che “la povertà è madre e muro. La povertà genera, è madre, genera vita spirituale, vita di santità, vita apostolica. Ed è muro, difende. Quanti disastri ecclesiali sono cominciati – ha detto – per mancanza di povertà”, “quanti scandali, di cui purtroppo devo essere informato, dato il luogo in cui mi trovo, nascono dal denaro”. “Il clericalismo, che è uno dei mali più seri nella Chiesa, si discosta dalla povertà. Il clericalismo è ricco. E se non è ricco di denaro, lo è di superbia”. “Il clericalismo è una delle forme di ricchezza più gravi di cui al giorno d’oggi si soffre nella Chiesa”.

Pietà popolare

In America Latina – sottolinea – l’unica cosa che si è più o meno salvata dal clericalismo è la pietà popolare. “Infatti, siccome la pietà popolare è una di quelle cose della gente in cui i preti non credevano, i laici sono stati creativi. Magari è stato necessario correggere alcune cose, ma la pietà popolare si è salvata perché i preti non ci hanno avuto a che fare. Il clericalismo non lascia crescere, non lascia crescere la forza del battesimo. È la grazia del battesimo a possedere la forza e la grazia evangelizzatrice dell’espressione missionaria. E il clericalismo disciplina male questa grazia e induce dipendenze che a volte mantengono interi popoli in un forte stato di immaturità”.

Crisi delle vocazioni

E riguardo alla crisi delle vocazioni, di cui si parlerà nel prossimo Sinodo, afferma: “Credo che le vocazioni esistano, semplicemente bisogna sapere come vengono proposte e quale cura ricevono. Se il prete va sempre di fretta, se è immerso in mille questioni amministrative, se non ci convinciamo che la direzione spirituale è un carisma non clericale ma laicale (che può svolgere anche il prete), e se non mettiamo e convochiamo i laici nel discernimento vocazionale, è evidente che non avremo vocazioni”. E aggiunge: “Non promuovere vocazioni locali è un suicidio, significa né più né meno sterilizzare la Chiesa”, è “una legatura delle tube ecclesiali. È non lasciare che quella madre abbia figli suoi. E questo è grave”.

Approfondire l’Evangelii gaudium

Quindi esorta di nuovo ad approfondire l’Esortazione apostolica «Evangelii gaudium» “perché è l’aria evangelizzatrice che oggi la Chiesa vuole avere”, è “la cornice apostolica della Chiesa di oggi”.

Il discernimento delle situazioni morali

Il discernimento – sottolinea – “è l’elemento chiave” per vagliare le situazioni morali. Il Papa parla della “carenza del discernimento nella formazione dei sacerdoti. Rischiamo infatti di abituarci al «bianco o nero» e a ciò che è legale” e “oggi in una certa quantità di seminari è tornata a instaurarsi una rigidità che non è vicina a un discernimento delle situazioni. Ed è una cosa pericolosa, perché può condurci a una concezione della morale che ha un senso casuistico”. Francesco ricorda di essere stato educato “a una scolastica decadente”: “Tutto l’ambito morale veniva ristretto al «si può», «non si può», «fin qui sì e fin qui no»”. “Era una morale molto estranea al discernimento”. Ai nostri giorni – osserva – “la teologia morale ha fatto molti progressi nelle sue riflessioni e nella sua maturità; ormai non è più una «casuistica». In campo morale bisogna avanzare senza cadere nel situazionismo; ma, d’altra parte, va risvegliata quella grande ricchezza contenuta nella dimensione del discernimento; e ciò è proprio della grande scolastica”, di san Tommaso e san Bonaventura i quali affermano affermano che “il principio generale vale per tutti, ma — lo dicono esplicitamente — nella misura in cui si scende nei particolari, la questione si diversifica e assume sfumature senza che il principio debba cambiare. Questo metodo scolastico ha la sua validità. È il metodo morale che ha usato il Catechismo della Chiesa Cattolica. Ed è il metodo che si è utilizzato nell’ultima esortazione apostolica, Amoris laetitia, dopo il discernimento fatto da tutta la Chiesa attraverso i due Sinodi. La morale usata in Amoris laetitia è tomista”. Ma ci sono certi punti della morale – spiega – su cui soltanto nella preghiera si può avere una luce sufficiente. E’ quella che chiama «teologia in ginocchio»: “Non si può fare teologia senza preghiera”.

Globalizzazione distrugge popoli indigeni

Rispondendo ad una domanda sulla questione dei popoli indigeni, afferma che oggi la globalizzazione uniformante e distruttiva li vuole annullare. Invece, le loro culture “vanno recuperate”. L’ermeneutica dell’epoca coloniale “consisteva nel cercare la conversione dei popoli”: era “un’ermeneutica di tipo centralista, dove l’impero dominatore in qualche modo imponeva la sua fede e la sua cultura. È comprensibile che a quell’epoca si pensasse così, ma oggi è assolutamente necessaria un’ermeneutica radicalmente differente” che valorizzi “ogni popolo, la sua cultura, la sua lingua”. Il Papa si riferisce alla positiva esperienza di inculturazione tentata dai missionari gesuiti Matteo Ricci in Cina e Roberto de Nobili in India: “Essi furono pionieri, ma una concezione egemonica del centralismo romano frenò quell’esperienza, la interruppe. Impedì un dialogo in cui le culture si rispettassero”.

Non ci si salva da soli

Alla domanda sul rapporto tra salvezza comunitaria e salvezza personale, risponde: “Nessuno si salva da solo. Chi pretende di salvarsi da solo” finisce nell’ipocrisia: “Il Signore è venuto a salvare tutti”.

Teologia e vita reale

Il Papa parla poi della necessità di studiare teologia in un contesto di vita vissuta reale: devono esserci studio accademico, contatto con la realtà, preghiera e discernimento personale e comunitario. “Se una comunità di studenti fa tutto questo – dice – io resto tranquillo”.

Non chiudere le porte alle critiche

Riguardo alle critiche risponde: “Credo che a volte perfino il peggiore dei malintenzionati possa fare una critica che mi aiuta. Bisogna ascoltarle tutte e discernerle. E non bisogna chiudere la porta a nessuna critica, perché corriamo il rischio di abituarci a chiudere porte. E questo non va bene. Dopo un discernimento, si può dire: questa critica non ha alcun fondamento, e scartarla”.

Sono piuttosto pessimista, ma il Signore mi consola

Il Papa poi confessa: “Io sono piuttosto pessimista” perché “tendo sempre a guardare la parte che non ha funzionato”. Per questo il migliore anti-depressivo è la consolazione che trova quando si mette davanti al Signore e lascia che Lui manifesti ciò che ha fatto durante la giornata, nonostante le sue resistenze. “È come sentire: «Lui è qui». Riguardo al mio pontificato, mi consola sentire interiormente: «D’accordo, a farmi entrare in questo ballo non è stata una convergenza di voti, ma c’entra Lui». Questo mi consola molto”.

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