I cento anni di padre Stefanizzi: «Che emozione trasmettere il primo Angelus di Pio XII»
Su Avvenire un articolo dedicato al gesuita leccese, classe 1917, che è stato decisivo nel successo mondiale di Radio Vaticana, lavorando al fianco dei Papi del 900
Sa di rappresentare, a modo suo, un pezzo novecentesco di storia della Città del Vaticano, vissuto frequentemente in modo defilato, quasi in punta di piedi come quando doveva, alcune volte, regolare il microfono ai Pontefici – tra cui l’amatissimo Pio XII – prima dei radiomessaggi a cui sovrintendeva, con l’approccio tipico di chi si avverte soprattutto «un fisico e un matematico» che in quanto «gesuita» si sente «al servizio della Santa Sede e del Vicario di Cristo»; ma soprattutto percepisce se stesso comel’ultimo testimone, quasi un solitario epigono, di quella generazione di gesuiti «penso in particolare in questo momento – è la confidenza – ai padri fondatori, assieme a Guglielmo Marconi, Giuseppe Gianfranceschi e Filippo Soccorsi» che rese grande e universale, in senso propriamente cattolico, – attraverso la trasmissione delle onde medie e corte – la Radio Vaticana. Un’emittente quella dei Papi nella memoria collettiva di molti ancora oggi per l’incipit con cui iniziavano molti dei suoi servizi attraverso le sue antenne: qui Radio Vaticana. Laudetur Jesus Christus…
È la storia e l’avventura umana del gesuita, originario di Lecce, Antonio Stefanizzi, classe 1917, terzo direttore generale dell’emittente radiofonica della Santa Sede dal 1953 al 1967 – che proprio questo lunedì (18 settembre) varcherà il traguardo dei 100 anni di vita. Un secolo il suo cadenzato da tante soddisfazioni e attestati di stima – come quello che campeggia nella sua stanza una «benedizione apostolica di Giovanni Paolo II del 1997», e custodita come una «reliquia del cuore» nella sua stanza della residenza San Pietro Canisio, attigua alla Curia generale della Compagnia di Gesù a Roma – o una bella foto, tratta da un ritaglio deL’Osservatore Romano che lo ritrae giovane e sorridente accanto al “suo” papa Eugenio Pacelli. Un Novecento quello di padre Stefanizzi costellato da importanti tappe accademiche come il corso di perfezionamento in fisica nell’ateneo dei gesuiti, la Fordham University di New York «dove sotto la direzione del premio Nobel Victor Franz Hess, lo scopritore dei raggi cosmici – racconta divertito seduto sulla sua carrozzina – collaborai a un importante esperimento sull’acqua piovana e la relativa scoperta di alcune particelle. Raccolsi personalmente con un imbuto per le vie di New York vari campioni d’acqua. Mi colpì che i risultati di quella ricerca a cui collaborai finirono, a mia firma e non di Hess, su un’importante rivista scientifica internazionale…».
Era il 29 marzo del 1953 quando a 35 anni il giovane padre Antonio viene nominato alla guida dell’emittente radiofonica vaticana. «Rammento ancora la sorpresa di quella designazione anche per me, fortemente sostenuta, tra l’altro dall’allora cardinale del Governatorato della Santa Sede Nicola Canali – rievoca con una punta d’ironia –. Ricordo che per superare le iniziali diffidenze e “resistenze” della gendarmeria vaticana dovetti mostrare una copia de L’Osservatore in cui era scritto, in forma ufficiale, che il nuovo direttore della Radio del Papa ero io!». Anni che permisero al giovane religioso di lavorare “fianco a fianco” di Pio XII – (con cui inaugurerà nel 1957 il nuovo centro di trasmissione di Santa Maria di Galeria, alle porte di Roma), – il Pastor Angelicus: toccò proprio a padre Stefanizzi sovrintendere anche tecnicamente il 15 agosto del 1954 alla prima trasmissione radiofonica della preghiera dell’Angelus da parte di un Papa. «Fu un’emozione fortissima. E ricordo con quale certosina attenzione Pacelli curava i testi dei radiomessaggi, suffragato in questo sforzo da un uomo eccezionale come il mio confratello Francesco Pellegrino, lo stesso gesuita che annunciò da Castel Gandolfo attraverso la lettura dei bollettini medici lo stato di salute di Pio XII fino alla sua morte nel 1958…».
E rivela un particolare del tutto inedito: «Eugenio Pacelli era un uomo che incuteva rispetto e timore: quante telefonate, a ore impreviste, arrivano da Castel Gandolfo e prima di raggiungere la cornetta mi veniva annunciato che era “La Persona”: cioè il Papa. Per una parola sbagliata o male interpretata in un testo pontificio era pronto a registrare di nuovo tutto un radiomessaggio. Ironicamente era la sua replica: “Padre Stefanizzi lo dobbiamo fare non per noi, ma per la storia”. Ma era un uomo capace anche di grandi gesti di paternità spirituale. Mi torna in mente l’arguzia ma anche la sua ironia per il fatto che non conoscessi le canzoni napoletane o di come colse di sorpresa anche l’allora dirigente di Azione Cattolica Luigi Gedda, quando annunciò all’insaputa di tutti, tra cui il sottoscritto, che da oggi, era il 1° maggio del 1955, san Giuseppe era il nuovo patrono dei lavoratori cattolici».
Una vita al fianco dei Romani Pontefici che proseguì anche con Giovanni XXIII. «Con lui cambiò – è la confidenza arguta di Stefanizzi – lo stile dei radiomessaggi. Me ne accorsi da subito dalle correzioni che faceva ai testi a cominciare da quello per i 30 anni della Radio Vaticana (1931-1961) o ancora quello con cui scongiurò il conflitto dei missili a Cuba nel 1962. Era un uomo che guardava oltre le differenze di religione e di credenza: voleva parlare a tutti gli uomini di buona volontà, a quelli che vivevano oltre la Cortina di ferro e ai fratelli separati delle Chiese cristiane».
Scocca l’ora del Concilio Vaticano II e padre Stefanizzi è chiamato in veste di tecnico a partecipare alla Commissione preparatoria e a gestire proprio lui il rinnovamento dell’impianto elettroacustico della Basilica di San Pietro. «Mi vengono in mente i tanti problemi per le registrazioni, la scelta del latino come lingua ufficiale della Chiesa nonostante le resistenze dei vescovi Usa che volevano l’inglese in particolare l’arcivescovo di Boston Richard James Cushing. Tra i padri conciliari mi impressionò l’autorevolezza degli interventi del cardinale di Colonia Joseph Frings».
E annota un particolare: «Paolo VI era al corrente di tutte le discussioni conciliari perché attraverso un trasmettitore e un cavo messi a disposizione da noi della Radio Vaticana che arrivava nella sua abitazione poteva seguire i lavori dell’assise». Altra grande missione compiuta – a nome della Santa Sede e della sua amata Radio (di cui dal 1967 al 1973 è direttore della parte tecnica) – («avevo il placet completo nella mia azione dell’allora sotto segretario alla Segreteria di Stato monsignor Giovanni Benelli…e trovai il pieno appoggio di tutto l’episcopato delle Filippine») sarà per padre Stefanizzi, negli anni del post-Concilio, la nascita di Radio Veritas, una grande emittente situata a Manila per la diffusione di programmi in varie lingue per tutto il Continente asiatico.
I 44 anni (1953-1997) a servizio della Santa Sede e vissuti sempre dentro le “mura leonine” del Vaticano continuano per padre Stefanizzi come consulente del Pontificio Consiglio per la comunicazioni sociali: sarà tra l’altro uno dei padri nobili (assieme ad Emilio Rossi) del Centro televisivo vaticano (Ctv). «Ricordo che su mia intuizione, caduto il regime comunista in Albania – è la rievocazione commossa – inviai una troupe televisiva per documentare le torture subite dai cattolici. Solo allora, vedendo quelle istantanee, compresi nel profondo il martirio subito dal mio antico professore di filosofia e oggi beato Giovanni Fausti grande pioniere del dialogo interreligioso di cui ero stato allievo negli anni 30 all’istituto Aloisianum di Gallarate». Al compimento degli 80 anni nel 1997 arriva per padre Antonio una nuova destinazione nel collegio degli scrittori de La Civiltà Cattolica, per la prima volta fuori dal Vaticano e nel cuore di Roma. «Lì ho cominciato una nuova vita e mi sono messo al servizio di tutta la comunità ritrovando, tra l’altro, amici di vecchia conoscenza della “mia” Radio come il cardinale Tucci e coltivando un bel rapporto di amicizia e di reciproca guida spirituale con l’allora direttore della rivista padre GianPaolo Salvini. Tra le sorprese di quegli anni è stato l’incontro con papa Francesco, il 14 giugno del 2013, che dopo la presentazione fatta da padre Spadaro come “decano della Civiltà Cattolica” sorpreso dalla mia lucidità e arguzia nel rispondergli mi ha chiesto dove avevo nascosto i miei allora quasi 96 anni…».
Una missione quella di padre Antonio che continua ora nella memoria viva e nella preghiera per coloro che non ci sono più come gli indimenticati confratelli e compagni di una vita: Pasquale Borgomeo, Francesco Farusi o ancora lo scrittore Giovanni Rulli o «mio fratello Angelo, missionario in Sri Lanka e gesuita come me». «La mia missione oggi? – è la riflessione finale – È quella di pregare per la Chiesa e la Compagnia di Gesù ma anche di sentirmi pronto all’incontro ultimo e festivo con il Signore.Ho accettato come norma di vita una frase che avevo letto in un libro spirituale: “Servire Cristo nel Vicario di Cristo”. Credo di aver adempiuto, per quanto potevo, a questo impegno».
Filippo Rizzi