In missione tra le reducciones
Tra il primo e il secondo anno di teologia è proposto un tempo dedicato alla missione, per gli studenti del Centro Interprovincial de Formação (CIF) de Belo Horizonte, Brasile. Un’occasione per conoscere alcune opere della Compagnia in territorio brasiliano e mettere in pratica quanto appreso durante il tempo dello studio.
Per Andrea e Romel, scolastico colombiano, la pausa di dicembre è stata l’occasione per visitare la regione delle Missioni, nello stato di Rio Grande do Sul, all’estremo sud del Brasile.
La repubblica dei gesuiti
La terra attraversata dai fiumi Uruguay e Paranà, abbraccia tre Paesi – Brasile, Argentina e Paraguay – e tre Province dei gesuiti ed è strettamente legata alla storia della Compagnia. Questo infatti è stato il teatro della cosiddetta “repubblica guaranitica” o “repubblica dei gesuiti”, un fenomeno durato circa 150 anni in cui i religiosi e gli indigeni guaranì collaborarono per costruire un tipo diverso di società in quelle che vennero chiamate “riduzioni” (reducciones o reduções), la cui fine tragica diede inizio alle espulsioni dei gesuiti e alla soppressione della Compagnia nel secolo XVIII.
La presenza attuale
“Era questo il sottofondo all’inizio del nostro viaggio” scrive Andrea Marelli. “Il 6 dicembre, grazie a due voli e diverse ore di pullman, abbiamo percorso i quasi 1500 km che separano Belo Horizonte dalle Missioni e siamo giunti al Santuario do Caaró, la cui gestione è stata ripresa da alcuni mesi dalla Compagnia. Il santuario è stato costruito nel 1929 nel luogo in cui i gesuiti Rocco Gonzales, Alfonso Rodriguez e Giovanni Castillo furono martirizzati per mano dei guaranì.
Attualmente, due gesuiti, padre Dionisio e fratel Celso, vivono qui e si prendono cura di questo luogo, tentando di riscattare il santuario che per molto tempo era rimasto trascurato, mentre altri due padri si occupano della parrocchia nella vicina città di São Miguel, la principale delle antiche riduzioni”.
Luoghi che interrogano
Tre momenti descrivono questa esperienza. “Dopo nemmeno un giorno dal nostro arrivo, io e Romel ci siamo subito buttati nell’organizzazione del pellegrinaggio che sta per svolgersi al santuario. È una tradizione che prosegue da 90 anni, trasmessa di padre in figlio, che coinvolge più di cento persone dai paesi prossimi. Camminano fino al Caaró e si accampano per tre giorni nel bosco vicino, dove alternano momenti di preghiera, devozione e riposo. La prima impressione è estraniante: quasi tutti sono biondi, con gli occhi azzurri e parlano una specie di tedesco imbastito con alcune parole portoghesi. Sono tutti discendenti di immigrati dalla Germania che nel secolo XIX si sono stabiliti lì e guidati da alcuni gesuiti hanno fondato colonie agricole in cui si è mantenuta una forte identità culturale. Già da subito capisco di essere in un Brasile differente. Molti di loro stanno partecipando per l’ennesima volta e sono motivati da voti e promesse per grazie ricevute. Dopo questo gruppo, sono diversi a visitare il santuario: alcuni provengono da differenti parti del Brasile e, andando a trovare i familiari, passano al santuario per lasciare un’intenzione. Altri sono ragazzi in gita scolastica, altri vengono da fuori, dall’Argentina, dal Paraguay, e si sentono legati a questo luogo, alla devozione per questi missionari martiri. Mi rendo conto di stare in un luogo significativo e che le vite di questi gesuiti che si sono dedicati alla missione fino a dare il sangue interroga ancora molti. È innanzitutto una sfida, per me, per la mia vocazione: come viverla così in profondità e con questa dedizione?”.
Quell’Eucarestia dono raro e prezioso
Una seconda esperienza, è stata visitare le comunità che compongono la parrocchia di São Miguel. “Ce ne sono circa una ventina, non è una parrocchia molto grande, ma per raggiungerne alcune è necessario viaggiare quasi un’ora buona di macchina su strade di campagna. Arrivati sul posto, raramente c’è una chiesa, molto più spesso si trova una scuola in disuso o la casa di un membro della comunità. I partecipanti alla funzione sono poche famiglie, tra le 10 e le 15 persone. Non è raro che alcuni siano passati a una delle altre Chiese riformate che stanno a ogni angolo o che alla celebrazione partecipi un parente in visita di un’altra confessione cristiana. Salutati i presenti, ci prepariamo per la Messa senza molte solennità. Questa è l’unica celebrazione che la comunità vivrà questo mese, a meno che alcuni di loro non vadano in città per Natale. La celebrazione eucaristica e la presenza del prete si trasformano nell’occasione per una catechesi o per una riflessione sui testi biblici. Se non fosse così, non ci sarebbero altri momenti per coltivare una fede che si alimenta soprattutto di rosari, di devozioni e dei discorsi dei vari guru nelle reti sociali. Rimango sorpreso della fede semplice di queste persone, che desiderano abbeverarsi alla fonte dello Spirito, ma che di fatto sono quasi abbandonati per la mancanza di preti. Durante la Messa, pochi sanno le risposte. Mentre risaliamo in macchina per accompagnare il padre alla prossima messa in un’altra comunità, ripenso ai volti delle persone incontrate e all’espressione di gratitudine perché qualcuno aveva portato loro la presenza di Gesù nella Parola e nell’Eucaristia, perché qualcuno si stava prendendo cura di loro”.
Ieri come oggi, portare Cristo a tutti
Infine, l’ultima esperienza, un po’ più turistica, in realtà tradotta in un viaggio spirituale. “Nei giorni in cui il flusso di visitatori al santuario era minore, abbiamo approfittato per visitare i resti delle riduzioni, che oggi sono parchi archeologici e patrimonio dell’umanità per l’UNESCO. In Brasile, la più conservata è la riduzione di São Miguel, che era anche la capitale della regione al tempo della repubblica dei guaranì. Entrando nel grande parco, ciò che subito attira l’attenzione sono i resti della chiesa, che si staglia nel
mezzo. Il tetto è caduto e alcuni alberi sono cresciuti all’interno, ma si percepisce ancora l’imponenza che doveva suscitare questa chiesa barocca progettata su modello del Gesù e più o meno con le stesse dimensioni, che fu costruita quasi 300 anni fa da indigeni nel mezzo della foresta. Attorno alla chiesa ci sono i resti degli edifici comuni, dove i guaranì lavoravano, studiavano e conservavano provviste e utensili. C’è anche la residenza dei gesuiti, che insieme ai cachiquis, i capi guaranì, governavano la vita della città e ne curavano la vita spirituale. Guardando a questi resti imponenti, non posso non pensare ai
padri e fratelli che, dall’Italia, dalla Spagna, dalla Germania, si avventurarono in queste terre lontanissime e remote, con una cultura diversissima e non cristiana, e crearono un tipo diverso di colonizzazione, basato sull’incontro, sull’inculturazione e sulla condivisione, piuttosto che sullo sfruttamento e sulla schiavizzazione. Continuando a osservare, mi accorgo che forse la situazione oggi non è così diversa: le distanze non sono geografiche e piuttosto culturali e valoriali. Ma la missione di portare Cristo a tutti e tutti a Cristo è sempre la stessa. E vedere quello che i nostri antenati gesuiti insieme agli indigeni hanno costruito nei secoli passati diventa un segno visibile di ispirazione”.