A San Luigi la teologia meticcia che parte dalla vita
“Etnografi spirituali” dice il Papa, delineando le caratteristiche di una riflessione sulla fede a partire dalla vita. Francesco conclude una due giorni, il 20 e il 21 giugno, che ha voluto guardare al contesto, lanciare alcune proposte, rileggere la situazione del dialogo nel Mediterraneo, alla luce della dichiarazione sulla fratellanza universale di Abu Dhabi.
È bella San Luigi che accoglie il Papa per la sua visita privata a Napoli. Sono più di mille gli studenti, i docenti gli amici e gli ex allievi che accolgono Francesco, che ha accettato l’invito del decano, padre Pino Di Luccio, a chiudere la due giorni di riflessione su “La teologia dopo Veritatis Gaudium nel contesto del Mediterraneo”. Il logo del convegno, un abbraccio tra due persone che costituisce un ponte, si staglia sui manifesti che accolgono papa Francesco in una giornata di piena estate, con il golfo che raggiunge idealmente l’altra sponda del Mediterraneo. Fino a Istanbul, da dove arriva il messaggio di saluto del Patriarca Bartolomeo.
A San Luigi l’evento arriva come tappa di un cammino avviato già da tre anni, con un biennio di specializzazione di “Teologia dell’esperienza religiosa nel contesto del Mediterraneo”, dove si guarda al mare nostrum come luogo teologico, insieme, cristiani, musulmani ed ebrei, «una sorta di laboratorio teologico impegnato nella costruzione di una cultura dell’incontro, attraverso una ricerca multidisciplinare, l’esperienze di pratica sul campo, l’incontro con testimoni e con storie e luoghi significativi, itinerari attraverso l’arte e un respiro internazionale», dice la teologa Giuseppina De Simone, tra i coordinatori del corso. E a Francesco vengono donati i primi otto volumi della Collana “Sponde”, nata proprio per ripensare la categorie del Mediterraneo e le sue opportunità.
In questa antica istituzione, appena restaurata, che ha avuto inizio nel 1552 con il “Collegio Napoletano” e che dal 1969, insieme alla sezione san Tommaso della diocesi di Napoli costituisce la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, teologi e teologhe «continuano con impegno e con generosità il lavoro di Maestri illustri i quali nel corso di oltre quattro secoli hanno formato generazioni di teologi: sacerdoti, religiosi e religiose, laiche e laici», dice Di Luccio nel suo saluto. «Tante volte nelle visite in Vaticano dei nostri Padri Lei ha ricordato di aver studiato la teologia di Karl Rahner con le traduzioni di padre Alfredo Marranzini, il quale fu docente di teologia dogmatica e sacramentaria per tanti anni in questa Sezione», accenna rivolto a Francesco.
La presenza del Papa, che interviene alla fine della mattinata dopo un attento ascolto degli otto relatori che lo precedono, per Di Luccio diventa «un riferimento importante per l’approfondimento del Proemio di Veritatis Gaudium e per l’attualizzazione della teologia: a Napoli, nel Mediterraneo, e nelle diverse aree e nei vari contesti in cui operano le facoltà di teologia». Napoli, avamposto del Mediterraneo, «è culturalmente caratterizzata dal dialogo e da un dialogo che esprime l’accoglienza che è risultato dell’inculturazione del vangelo, ed è perciò un laboratorio ideale per una teologia che nel contesto del Mediterraneo si rinnova a partire dall’approfondimento spirituale, intellettuale ed esperienziale del kerygma attraverso il dialogo, il lavoro inter e trans-disciplinare e il lavoro in rete».
Dalla splendida cornice di San Luigi, che abbraccia il golfo dalla collina di Posillipo, la teologia che viene delineata parla di migranti e di guerre, di uomini e donne, di lavoro e di vita, invita a uscire dalla aule e a camminare per le strade, sulle due sponde del Mediterraneo per incontrare la gente «la dove si formano i paradigmi, i modi di sentire, i simboli, le rappresentazioni delle persone e dei popoli». «Etnografi spirituali» dice il Papa, delineando le caratteristiche di questa riflessione sulla fede a partire dalla vita. Francesco conclude una due giorni che ha voluto guardare al contesto, rileggere la situazione del dialogo nel Mediterraneo, alla luce della dichiarazione sulla fratellanza universale di Abu Dhabi e quindi lanciare alcune proposte.
Una teologia dunque «contestuale e interculturale per rispondere con fedeltà ai segni dei tempi. Prendere sul serio la visione dell’altro» chiarisce aprendo la prima giornata di lavori il professor Ambrogio Bongiovanni «non ha nulla a che fare con il relativismo religioso». Il contesto del Mediterraneo, «Mare Nostrum perché mare di tutti e non degli uni contro gli altri», non è oggi il luogo «di quell’esodo biblico» che viene additato all’opinione pubblica da alcuni politici e da alcuni media», afferma Valerio Petrarca, etnologo, docente alla Federico II. «I migranti», aggiunge, «sono la pietra di inciampo, fanno emergere le grandi contraddizioni della nostra storia e della nostra vita». E, secondo il professor Carmelo Torcivia, costituiscono «un segno dei tempi», cioè «un evento che segna in positivo l’autosviluppo della coscienza dell’umanità. Si migra per vivere, per sfuggire dalle condizione di schiavitù e arrivare a una terra promessa». «Le migrazioni fanno parte di tutta una serie di fenomeni geopolitici che la Chiesa, la teologia, deve prendere sul serio. Per troppo tempo abbiamo rischiato di fare una teologia o avulsa dalla storia o mangiante la storia con gabbia ideologiche», dice il teologo Fabrizio Mandreoli.
Il dialogo tra le sponde del Mediterraneo nasce dalla condivisione di una storia e uno scambio comune che si rivela anche nell’arte: «I principali archetipi usati dai popoli per esprimere l’alleanza con la natura, ritornano nelle tre religioni che nascono intorno al Mediterraneo», spiega nella sua relazione padre Jean Paul Hernandez, gesuita, fondatore dell’associazione Pietre Vive. Il bosco sacro che rinasce nelle colonne del tempio, la montagna sacra che torna nello ziqqurat e negli altari, il ventre della terra simboleggiato nel battistero, che come l’utero materno fa rinascere alla vita, sono il rimando di simboli e significati, vitali e religiosi, che nei secoli hanno parlato ai diversi popoli e fatto alzare gli occhi verso la volta stellata.
Arte che unisce, dunque, come «il senso dell’ospitalità e l’accoglienza dello straniero, che è proprio delle tre grandi religioni che si affacciano sul Mediterraneo», aggiunge la professoressa De Simone. Anche se occorre essere consapevoli, avverte Sihem Djebbi, musulmana laica, docente a Parigi e a San Luigi, che da parte degli Stati, dietro iniziative come quella di Abu Dhabi, in questo caso gli Emirati, c’è anche una public diplomacy, posta in atto per «dare un’immagine positiva a livello globale». Il che, avverte la studiosa, non sminuisce l’importanza del messaggio sulla fratellanza universale lanciato da Abu Dhabi, che «ha un effetto di dinamizzazione del dialogo interreligioso e della promozione dell’Islam moderato», ma chiede che «vengano moltiplicate le iniziative, le vie e gli interlocutori, senza privilegiare una sull’altra, perché questo potrebbe favorire delle resistenze interne in settori delle società musulmane che si sentono esclusi.
La teologia da costruire deve essere «declericatizzata», dice la professoressa Anna Carfora, intendendo la necessità di un protagonismo di laici e laiche in un campo organizzato sui tempi dei “presbiteri”, dove risulta ancora difficile professionalizzarsi e trovare di che vivere. Occorre «un’operazione di bonifica», dice Carfora, che, nello specifico, riguardo alle teologhe, parla del contributo di pensiero e riflessione che arriva da donne concrete, che vogliono essere considerate nelle loro individualità e non imprigionate nelle categorie dell’eterno feminino.
«Ripartire dalle fonti per creare un’ecclesiologia alternativa a quel regime di cristianità che è arrivato alla giustificazione della violenza e della guerra, talvolta con pretesti religiosi», è ancora l’indicazione del professor Sergio Tanzarella. Il vero compito degli insegnanti «non è solo quello di aiutare a superare l’ignoranza, ve ne è uno più impegnativo che è quello di vincere il pregiudizio e la mistificazione». Una riflessione, dice Tanzarella citando grandi profeti spesso ignorati o messi all’angolo,che deve recuperare la teologia della pace e della non violenza, guardando fuori alla porta del tempio per capire, come dice Francesco, che il «Vangelo va preso senza calmanti».
Nelle sue conclusioni il Papa riassume l’articolato contributo che ha lasciato al convegno: «I criteri del Proemio della Costituzione Apostolica Veritatis gaudium sono criteri evangelici. Il kerigma, il dialogo, il discernere, la collaborazione, la rete sono tutti elementi e criteri che traducono il modo con cui il Vangelo è stato vissuto e annunciato da Gesù e con cui può essere anche oggi trasmesso dai suoi discepoli». La teologia dopo Veritatis gaudium, dice, «è una teologia kerygmatica, una teologia del discernimento, della misericordia e dell’accoglienza, che si pone in dialogo con la società, le culture e le religioni per la costruzione della convivenza pacifica di persone e popoli. Il Mediterraneo è matrice storica, geografica e culturale dell’accoglienza kerygmatica praticata con il dialogo e con la misericordia. Di questa ricerca teologica Napoli è esempio e laboratorio speciale. Buon lavoro!».
Intervento introduttivo Padre Giuseppe Di Luccio, S.I.
A San Luigi papa Francesco ha re-incontrato padre Antuan Ilgit, turco, che gli aveva fatto da interprete nell’incontro in Vaticano con il presidente Erdogan.