Bologna. Una comunità per imparare a crescere
Sono diverse le comunità che sono nate da un’ispirazione ignaziana. Comunità di vita, di accoglienza, familiari. Una delle prime è stata Maranathà, a Bologna, inserita nella rete del JSN. Con Mario Beghelli, uno dei fondatori, cerchiamo cerchiamo di capire lo spirito e la proposta che accompagna questa esperienza.
Da un punta di vista spirituale l’idea di mettere su una comunità familiare a quale domanda risponde?
“Nei primi anni ‘80, avevamo 25 anni, frequentavamo un gruppo di giovani, l’attuale Associazione Servire la Buona Notizia. Siamo stati accompagnati da un padre gesuita a prendere consapevolezza del percorso sacramentale facendo un’autentica esperienza del mistero pasquale. A quel punto non potevamo rimanere indifferenti, ciascuno fece un proprio percorso di discernimento sul suo stato di vita. Chi, come me, camminava in coppia si pose interrogativi che ben presto sfociarono nell’esigenza di realizzare un contesto nel quale vivere la coppia, la famiglia, nella ricerca di una vita cristiana quotidiana autentica. Affascinati e attratti dalla vita delle prime comunità così come sono descritte negli Atti degli Apostoli, ben consapevoli che l’unico presupposto richiesto era ed è riconoscersi veri peccatori bisognosi dell’amore misericordioso del Signore”.
Quale il ruolo del gesuita e quale quello dei laici nella vostra comunità?
“A 28 anni dalla fondazione della comunità il gesuita è “colui che ci accompagna nel cammino”; non ha mai abitato e non abita con noi; è periodicamente informato sullo stato e sul clima delle relazioni attraverso un rapporto privilegiato con il responsabile della comunità. Nel tempo della fondazione era molto più presente, all’epoca risiedeva a Bologna, e il suo apporto si esprimeva anche su questioni non meramente spirituali, del tipo: la sala da pranzo comune quanto la facciamo grande? è indispensabile che ci sia una cappella e che sia al centro della casa? come destinare i vari spazi (alloggi e ospitalità)?.
Siamo una comunità di famiglie, quindi laici che approfondiamo e realizziamo in questa forma di vita la nostra vocazione di persone, coniugi e genitori, così come è espressa nel Principio e Fondamento degli Esercizi Spirituali. In Comunità ciascuno ha dei compiti specifici (ministeri) che è chiamato a interpretare con spirito di servizio generando e ricevendo fiducia dagli altri. Lavoriamo all’esterno, come dipendenti, con professionalità diverse (docente universitaria, impiegato in un istituto religioso, infermieri, elettrotecnico, pubblicista e formatore ecc). Gli stipendi vengono accreditati in un unico conto corrente al quale ciascuno ha accesso e liberamente preleva a seconda delle necessità”.
Come è cambiata negli anni la storia e la vita della comunità, quali le tappe più significative.
“Sino a oggi posso distinguere tre fasi.
La prima, 1985- 1999, è la fondazione. C’è stato un vero e proprio percorso parallelo tra la ristrutturazione della casa, sede della comunità, e la messa in discussione delle varie idealità che ciascuno dei comunitari dell’epoca portava con sé. Tanto lavoro fisico e tanta generosità che ha contagiato e coinvolto. Al termine di questa fase la comunità ha specificato la propria fisionomia, e preso consapevolezza della missio specifica: condividere e servire, intesi non come obiettivi raggiunti nella linea del già e non ancora. Al termine di questa prima fase è stata redatta la “Carta dell’Alleanza per vivere a Maranà-tha” tutt’ora punto di riferimento per i comunitari e occasione di confronto per chi si affaccia e chiede di vivere a Maranà-tha.
La seconda fase si apre con l’ingresso in comunità di tre coppie che in comunità diventeranno famiglie accoglienti. Vengono ultimati i lavori ampliando gli spazi e rendendo gli stabili sempre più idonei e accoglienti. Si approfondisce la dimensione socio-assistenziale della comunità, riconosciuta dal territorio come risorsa. Da un punto di vista spirituale prosegue il cammino nella fede da adulti proponendo e promuovendo percorsi di avvicinamento alla fede anche attraverso l’organizzazione di campi di lavoro e servizio.
L’inizio della terza fase è storia recente. E’ stata realizzata una fondazione che ha la proprietà delle strutture e la titolarità delle attività di accoglienza. Da un punto di vista ecclesiale ci sentiamo parte della famiglia Ignaziana grazie anche alla partecipazione al Jesuit Social Network. Alcune famiglie, grazie al percorso in comunità, hanno consolidato l’alleanza tra i coniugi e chiarito la propria vocazione, riconoscendosi la necessità di uscire dalla comunità per salvaguardare le dinamiche tipicamente familiari. Gli affetti sono autentici, le uscite lasciano un vuoto e procurano delle sofferenze. Questo è quello che ci interroga e che stiamo vivendo in questo periodo”.
Rispetto ai temi della Nuova evangelizzazione cosa testimonia la vostra comunità agli altri all’esterno?
“E’ possibile (non a caso la fondazione si chiama E’ Possibile!) vivere insieme pur essendo diversi. Il denaro, la casa, i beni, sono un mezzo: il fine è collaborare alla realizzazione del Regno di Dio. L’episodio dei cinque pani e due pesci narrato nei vangeli è vero: noi l’abbiamo vissuto e continuiamo a sperimentarlo. Come dice un proverbio: se vuoi andare veloce vai solo, se vuoi essere certo di arrivare allora vai insieme ad altri”.
Quali dinamiche di comunità più interessanti sono invece sviluppate all’interno?
“Dopo un po’ che si vive insieme si è più disillusi, cadono le maschere, svaniscono le idealità sull’altro. Il pregiudizio, frutto della presunta conoscenza, strizza l’occhio. Questi fondamentalmente sono i temi rispetto ai quali la spiritualità ignaziana ci offre occasioni per vedere il Signore presente e operante proprio nei lati oscuri delle nostre esistenze”.
Quanti siete?
“Attualmente la comunità stabile è composta da tre famiglie e Claudio Imprudente (diversabile ultracinquantenne) e la sua compagna. 14 sono i figli, naturali, adottati e in affidamento dai 28 anni ai 2. Alcuni dei figli grandi vivono già una propria autonomia anche abitativa.
Sono ospiti in comunità
· un papà, rimasto vedovo da un anno, con i suoi 4 figli. Insieme alla moglie gestivano una casafamiglia poco distante da noi
· una famiglia di origine marocchina (papà, mamma in attesa con gravidanza a rischio e due figli adolescenti). A causa della crisi il padre ha perso il lavoro, non sono più stati in grado di pagare l’affitto e sono stati sfrattati. L’assistente sociale del comune di Crevalcore (comune terremotato) si è rivolta a noi poiché gli appartamenti che solitamente vengono utilizzati per le emergenze sono inagibili a causa del terremoto.
– Due giovani che, in collaborazione con il Seminario Campano e il Noviziato dei Gesuiti, hanno chiesto di fare un periodo “alla pari” funzionale al proprio percorso di vita
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