Per un giusto atteggiamento nel servizio della Chiesa
Congregazione Generale 34 - Decreto 11
Introduzione
[298] 1. Quando la Congregazione Generale 33ª ha trattato della nostra “vita nella Chiesa”, ha nuovamente impegnato la Compagnia a “servire la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto”. Nel suo discorso conclusivo alla Congregazione dei Procuratori, il Padre Generale, Peter-Hans Kolvenbach, ha ribadito questo impegno. La Congregazione Generale 34ª riafferma questa lunga e stabile tradizione di servizio caratteristica della Compagnia; un servizio che ci è proprio non solo in quanto religiosi, ma anche e specialmente in virtù del nostro quarto voto di obbedienza al Papa per quanto riguarda le missioni.
[299] 2. Questo servizio è realizzato in una molteplicità di modi, umili e spesso nascosti, da Sacerdoti e Fratelli gesuiti, inviati a operare in parrocchie e stazioni missionarie, nella predicazione e nelle confessioni, nelle fabbriche e nell’editoria, nell’insegnamento e nei laboratori.
[300] 3. Altrettanto umile e nascosto è il servizio esercitato dai teologi gesuiti, dai consultori dei dicasteri vaticani, dai consiglieri e dai collaboratori delle Conferenze Episcopali e dei singoli vescovi diocesani. Questi servizi, così come quelli di carattere più pubblico quali la ricerca scientifica, l’insegnamento e la comunicazione orale e scritta, sono compiti intellettuali che postulano libertà, apertura e coraggio nel servizio obiettivo della verità.
[301] 4. Il nostro servizio di gesuiti può anche passare attraverso l’impegno pericoloso della testimonianza e della lotta contro le forze dell’ingiustizia e della persecuzione, sia sociali che religiose, una testimonianza ancora una volta sigillata dal sangue dei martiri. Nelle ultime decadi, come in tutta la nostra storia, l’eroismo di tanti nostri fratelli che hanno sofferto e sono morti per la loro fedeltà alla Chiesa, testimonia in modo chiaro e irrefutabile che l’impegno fondamentale della Compagnia è veramente quello di “servire soltanto il Signore e la Chiesa sua sposa, a disposizione del Romano Pontefice”.
Chiesa e mondo: il nuovo contesto
[302] 5. I gesuiti compiono oggi questo servizio in un mondo alle prese con grandi cambiamenti socio-politici e tecnologici, che sono spesso delle vere e proprie rivoluzioni, alimentate dalla battaglia per la giustizia, la modernizzazione e lo sviluppo. Questo processo dialettico di cambiamento produce non pochi problemi, dai quali la Compagnia non può essere immune.
[303] 6. A partire dal Concilio Vaticano II, la Chiesa si è anche trovata a far fronte alla propria dialettica interna fra traditio e progressio. Sono emersi tensioni e conflitti nuovi nel suo sforzo di rispondere alle esigenze di un’evangelizzazione che è, al tempo stesso, sempre antica e sempre nuova. Tali tensioni toccano diversi aspetti della vita ecclesiale e l’inculturazione di ciascuno di essi: dalla liturgia alla dottrina, dall’etica alla disciplina e al ministero pastorale.
[304] 7. Il Vaticano II è stato un evento profetico, che ha prodotto un importante rinnovamento nel cattolicesimo, quale non si era visto dal Concilio di Trento. Questa dinamica creatività ecclesiale rivela un popolo di Dio pellegrino, che lotta, sotto la guida dello Spirito, per vivere una rinnovata ecclesiologia fatta di corresponsabilità collegiale (o “sinodale”, per le Chiese orientali). Chi si sente disorientato dagli inevitabili conflitti che nascono da questo modo di vedere la Chiesa, che pure è fonte di nuovo vigore, dovrebbe ricordare che i più importanti Concili Ecumenici hanno messo in moto dei lunghi processi di riforma e rinnovamento che hanno impiegato secoli per arrivare a un consenso vissuto.
[305] 8. Il rinnovamento ecclesiologico del Vaticano II ci ha aiutato a riscoprire la Chiesa universale come una koinonia di Chiese locali sotto la guida del collegio dei vescovi, di cui il Vescovo di Roma è il capo. Ciò ha, a sua volta, riportato alla nostra coscienza il ruolo specifico e inalienabile del laicato nella vita della Chiesa. Come possiamo allora meravigliarci che questo più profondo senso della corresponsabilità di tutto il Popolo di Dio nell’intera vita della Chiesa, abbia indotto molte più voci a parlare e che esse non dicano tutte la stessa cosa? Questa è una fonte di vitalità oltre che una tensione creativa.
Sfide dei tempi
[306] 9. Attenta a questa chiamata a lavorare con il Popolo di Dio nello spirito del Vaticano II e delle Congregazioni Generali 32ª e 33ª, e invitata dal Papa a collaborare per l’attuazione del Concilio stesso, la Compagnia rinnova la sua fedeltà all’insegnamento della Chiesa nel momento in cui discerne e confronta i segni dei tempi. Perché tra questi segni vi sono degli sviluppi attuali che possono rappresentare delle sfide alla fedeltà dal punto di vista intellettuale, culturale e pastorale.
[307] 10. La fame, la persecuzione razziale e religiosa, il caotico sviluppo economico e culturale, la mancanza di libertà politica e di giustizia sociale, le diffusissime discriminazioni socio-economiche, lo sfruttamento e gli abusi sessuali, soprattutto su donne e bambini, la totale insensibilità per il dono prezioso della vita, le sfide pastorali della secolarizzazione, l’isolamento sociale e l’alienazione della moderna urbanizzazione, la dissoluzione della famiglia: tutto ciò interroga, in maniera spesso drammatica, la Chiesa e quindi anche noi, e richiede la nostra risposta.
[308] 11. Persino gli sviluppi più positivi non mancano di ambiguità: gli straordinari progressi nelle scienze della vita sono accompagnati dai nuovi problemi di bioetica; gli approfondimenti dell’ermeneutica e della storiografia contemporanee obbligano a sfumare certe ben consolidate teorie teologiche; la nuova cultura creata dall’esplosione dei mass media; i problemi interni relativi alla disciplina liturgica e alla vita sacramentale, provocati dalla modernizzazione e dalle esigenze di inculturazione. Queste sono alcune tra le “nuove situazioni” – menzionate dal Padre Generale nel già citato discorso in chiusura della Congregazione dei Procuratori – di fronte alle quali la Compagnia si trova, “le quali esigono da lei in assoluta fedeltà al Magistero della Chiesa valide risposte a tante giuste questioni ed interrogativi del popolo di Dio”. Una tale fedeltà si atterrà alle norme comuni sull’assenso, e all’insegnamento cattolico sulla gerarchia delle verità e sugli sviluppi della dottrina della Chiesa, esposta nei documenti ufficiali del magistero e nella dottrina comune dei teologi cattolici riconosciuti.
[309] 12. Un gesuita, e specialmente lo studioso o il teologo impegnato nella ricerca e chiamato a formare un’opinione pubblica preparata, saprà leggere queste sfide come occasioni di servizio. La sua missione è quella di assicurare che la tradizione cristiana mantenga la propria autorevolezza come visione del mondo coerente, valida in dialogo con il mondo della cultura e della scienza secolari. Solo un impegnativo lavoro di ricerca scientifica, condotto nella fede e in un’atmosfera di libertà e di mutua fiducia, può permettere alla Chiesa di essere ancora una forza attiva per il bene nell’attuale mondo del confronto intellettuale e culturale. La Congregazione Generale 34ª ha già espresso il suo vivo apprezzamento, la sua solidarietà e il suo sostegno per i gesuiti impegnati in questo servizio cruciale nella Chiesa odierna.
[310] 13. Una tale opera richiede coraggio e rettitudine e può anche comportare sofferenza. Come ha detto lo stesso Padre Generale, esistono “forti tensioni all’interno della Chiesa […] che non possono restare estranee alla Compagnia, se è vero che i gesuiti in forza della loro stessa responsabilità apostolica vengono coinvolti, volenti o nolenti, in situazioni ecclesiali conflittuali, talvolta esplosive”. La nostra risposta in situazioni di questo genere potrebbe anche causare delle tensioni con qualche autorità ecclesiastica. Malgrado il nostro sincero desiderio di vivere nella fedeltà al magistero e alla gerarchia – anzi, proprio a causa ditale desiderio – può avvenire che noi ci sentiamo giustificati, e talvolta obbligati, a parlar chiaro in modo tale da non poter sempre ottenere l’approvazione di tutti, e di dover addirittura essere colpiti da sanzioni penose per la Compagnia e tali da costituire un impedimento per il nostro lavoro.
[311] 14. Comportarsi in questo modo non pone i gesuiti in una situazione di disobbedienza o di rivolta: l’obbedienza ignaziana, secondo la tradizione della teologia cattolica, ha sempre affermato che la nostra prima fedeltà dev’essere a Dio, alla verità e a una coscienza ben formata. L’obbedienza pertanto non può escludere il nostro discernimento nella preghiera sulla linea d’azione da intraprendere, che potrebbe anche, in certi casi, differire da quanto ci è suggerito dai nostri superiori religiosi o ecclesiastici. Questo discernimento, presentato rispettosamente ai superiori, è un elemento autentico della nostra tradizione ignaziana, confermata dalla Congregazione Generale 31ª e chiarita dalla Congregazione Generale 32ª.
[312] 15. D’altra parte, l’obbedienza ignaziana è fatta di fedeltà concreta alla Chiesa reale, visibile, gerarchica e non a un qualche ideale astratto. Questa Chiesa non è qualcosa di distinto da noi: è la comunità dei credenti alla quale apparteniamo e della quale condividiamo virtù e difetti, trionfi e tragedie. Cosicché, una volta compiuto il discernimento e presentatolo rispettosamente ai superiori, l’atteggiamento di fondo del gesuita sarà quello tratteggiato da S. Ignazio nelle sue “Regole per il vero criterio che dobbiamo avere nella Chiesa militante”.
[313] 16. Facendo questa affermazione, noi siamo del tutto consapevoli che il contesto nel quale Ignazio scriveva quelle regole non è assolutamente quello di oggi. Ma il servizio ignaziano nella Chiesa non è una lezione di storia: è un profondo legame mistico che trascende le particolarità del suo originarsi storicamente nella Chiesa del sedicesimo secolo. Radicati nella certezza che è lo Spirito Santo che guida la Chiesa, sappiamo che lo stesso Spirito ci conduce nella ricerca del magis, con la serena fiducia che “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28).
[314] 17. Così, se c’è un tempo per parlare chiaro, c’è anche un tempo per il silenzio, scelto nel discernimento o anche imposto dall’obbedienza. Se c’è un tempo per la protesta, c’è anche un tempo per l’abnegazione dell’intelletto e della volontà, che diverrà per noi un modo nuovo di vedere attraverso l’oscurità della sofferenza e dell’incertezza, e giungere a una più alta verità e sapienza, quella della Croce.
La risposta della Compagnia: una prospettiva attuale
[315] 18. Una risposta ignaziana attuale a questi problemi è data nel discorso del Padre Generale alla Congregazione dei Procuratori che abbiamo già citato. Quell’intervento non pretende di dare una versione aggiornata delle “Regole per il vero criterio che dobbiamo avere nella Chiesa militante” , e tanto meno si propone di dare una spiegazione esaustiva dell’argomento, della sua storia e della sua interpretazione. Vi troviamo tuttavia una profonda riflessione sull’ispirazione iniziale che portò la Compagnia ad integrarsi più pienamente nell’esperienza viva del mistero della Chiesa, nello spirito del quarto voto per le missioni, che ci unisce al Santo Padre in maniera così specifica.
[316] 19. Questa Congregazione fa proprio l’insegnamento di quel discorso del Padre Generale e raccomanda a tutta la Compagnia di studiano attentamente in un’atmosfera di preghiera, di esame, e di riflessione e discernimento personali e comunitari. Sulla linea della Congregazione Generale 33ª, il Padre Generale afferma che la Compagnia deve cercare di “inserirsi sempre più nella vita della Chiesa con forza e creatività” e “imparare nella Chiesa, con la Chiesa e per la Chiesa in che modo vivere la fede, da adulti, nelle condizioni, culture e lingue di questo scorcio di secolo”.
[317] 20. Se il nostro amore per Cristo, inseparabile dal nostro amore per la Chiesa sua sposa, ci spinge a cercare la volontà di Dio in ogni situazione, esso può anche obbligarci ad esporci in una critica costruttiva, maturata nella preghiera di discernimento. Ma ciò non può giustificare la mancanza di solidarietà con la Chiesa, dalla quale in nessun caso siamo separati o distinti. Nell’elaborazione e nel modo di esprimere i nostri punti di vista teologici, e nelle nostre scelte pastorali, dobbiamo sempre attivamente cercare di capire lo spirito della Chiesa gerarchica, facendo nostro lo scopo della Compagnia che è quello di “servire le anime”. Al tempo stesso, dobbiamo anche approfondire il sensus fidelium e aiutare il Magistero a discernere in esso i movimento dello Spirito, secondo gli insegnamenti del Vaticano II. Formati nell’esperienza degli Esercizi Spirituali e desiderosi di essere fedeli all’ispirazione ignaziana, preghiamo il Signore che ci conceda il dono dello spirito che anima queste regole di S. Ignazio.
[318] 21. Anche quando non è possibile evitare ogni osservazione critica nella valutazione obiettiva di certe situazioni nella vita della Chiesa, o anche del comportamento di persone che hanno incarichi di responsabilità al suo servizio, bisognerà sempre cercare di farlo in tale spirito. Come persone integre, abbiamo naturalmente il dovere di essere coerenti con la nostra coscienza, ma dovremo parlare (o decidere di tacere) con prudenza, con umiltà e con senso di autentico rispetto e affetto per i pastori della Chiesa, sia locale che universale. Avremo l’onestà di riconoscere con animo grato che la loro guida è un dono per noi necessario, come correttivo per tutto ciò che in noi può essere segnato dalla ristrettezza di vedute o dalle nostre limitazioni personali e soggettive. Dovremo esser consci del fatto che, come membri della Compagnia, siamo legati a loro in modo particolare, e che il nostro primo obiettivo è quello di cooperare con loro per costruire e, se necessario, per risanare la Chiesa, sia locale che universale.
[319] 22. Avremo anche ben presente che non si può spiegare la Chiesa in un’ottica puramente socio-politica, perché la Chiesa è animata da uno Spirito trascendente che guida e conferma la comunità cristiana attraverso l’azione collegiale del Papa e dei vescovi, confermata dal sensus fidelium.
La risposta della Compagnia: modalità concrete
[320] 23. Dobbiamo riconoscere che, soprattutto in delicati problemi di dottrina e di morale, è spesso difficile per il Magistero esplicitare in modo esaustivo tutti gli aspetti della questione. Invece di lasciarsi andare a critiche partigiane e superficiali, è opportuno cercare di cogliere il messaggio centrale e, attraverso la riflessione teologica vissuta nel discernimento, tentare di comprenderlo in profondità e di spiegarlo in positivo, con chiarezza e con rispetto.
[321] 24. Considereremo le difficoltà nella giusta prospettiva, senza toglierle dal loro contesto. E non sottovaluteremo il rischio di dare scandalo, non dimenticando che fra i due estremi della critica pubblica, sconsiderata e prematura, e del silenzio servile si colloca l’alternativa dell’esprimere con moderazione e rispetto il nostro punto di vista. Dovremo evitare interessi di parte e avere ben presente il maggior bene della Chiesa universale. Ove possibile, cercheremo di far ricorso attraverso i canali ufficiali , di rimanere in una situazione di dialogo e di discernimento con i nostri superiori, e di consultarci e dialogare con le altre autorità ecclesiastiche competenti, in spirito di mutuo rispetto e di comprensione. A questo scopo, ovunque ciò sia fattibile, saremo pronti a favorire contatti personali informali, improntati a cordiale amicizia, con il vescovo del luogo dove esercitiamo la nostra missione, mirando a contenere e a smorzare le possibili fonti di conflitto prima che si sviluppino.
[322] 25. Se la Chiesa risulta attaccata o diffamata dai mass media, noi non possiamo limitarci a una passiva condanna di tali abusi, ma dobbiamo entrare nel mondo della comunicazione e difendere la verità, pur sapendo onestamente riconoscere i conflitti e le opposizioni all’interno della Chiesa. Ma anche se lo facciamo senza accentuare le tensioni o indebolire l’autorità, non potremo evitare certe tematiche che, in quanto fanno notizia, saranno comunque presentate dai mass media.
[323] 26. Dobbiamo collaborare con i media, cosicché appaia il vero volto della Chiesa e anche il vangelo sia incultura in questa nuova cultura di massa. Dobbiamo fare in modo che le tematiche che conducono al bene attirino di fatto l’attenzione dei media. Anche se il nostro primo dovere è quello della verità, la nostra sensibilità ignaziana del “sentire con la Chiesa”, dovrà indurci a sottolineare ciò che in essa “è degno di lode” , manifestando così i legami di affetto che ci fanno amare la Chiesa e ci legano ad essa come fonte di vita, di consolazione e di guarigione, come autorità interiore per un’esperienza religiosa autentica, e come nutrice dei nostri valori più profondi.
Conclusione: la fedeltà al carisma di servizio della Compagnia
[324] 27. Se nel mondo d’oggi la Compagnia deve impegnarsi “nei campi più difficili e di punta, nei crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali”, come ha detto il Santo Padre nel suo discorso in apertura di questa Congregazione , riprendendo quanto detto da Paolo VI all’inizio della Congregazione Generale 32ª , noi siamo presenti in quelle situazioni come “uomini che Cristo stesso invia in tutto il mondo a diffondere la sua santa dottrina, tra gli uomini in ogni stato e condizione”.
[325] 28. Con quello stesso spirito, alle soglie del terzo millennio, noi ci impegnammo ancora una volta nel servizio generoso di tutti i nostri fratelli e sorelle. Un tale servizio sarà cristiano solo se fondato sulla fedeltà a colui che rende nuove tutte le cose, e sarà un servizio da gesuiti solo se svolto in unione con il successore di Pietro, poiché questa unione ci ha sempre dato la sicurezza – e infatti ne è il segno visibile – della nostra “comunione con Cristo, Capo primo e supremo della Compagnia che per antonomasia è sua, di Gesù”