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“Dilexi te”: commenti “ignaziani” all’esortazione dedicata ai poveri

È la prima esortazione apostolica di Papa Leone XIV, pubblicata il 9 ottobre 2025. Il documento, firmato il 4 ottobre, giorno della festa di San Francesco d’Assisi, si concentra sull’amore per i poveri, esortando i cristiani a riconoscere in loro la presenza di Cristo. “Dilexi te” (“Ti ho amato”) richiama il legame tra l’amore di Cristo e la chiamata ad agire in favore dei più bisognosi. Riportiamo le reazioni e i commenti di

Centro Astalli, Jesuit Social Network e Fondazione MAGIS ETS. E gli approfondimenti di Aggiornamenti sociali.

Aggiornamenti Sociali, Dilexi te: un discorso che continua

Fin dalle prime pagine, la lettura della prima esortazione apostolica di papa Leone XIV, Dilexi te (DT), firmata il 4 ottobre 2025, giorno in cui la Chiesa tutta commemora san Francesco di Assisi, e resa nota il successivo 9 ottobre, restituisce una impressione di familiarità. Il lessico, l’articolazione delle frasi, la struttura del testo mostrano grande vicinanza con i documenti del magistero di papa Francesco, in particolare con l’enciclica Dilexit nos (24 ottobre 2024), tanto che i due testi costituiscono per molti versi un dittico e vanno letti insieme! La ragione è molto semplice. Come spiega il documento stesso, DT è stata scritta a quattro mani: «in continuità con l’Enciclica Dilexit nos, Papa Francesco stava preparando, negli ultimi mesi della sua vita, un’Esortazione apostolica sulla cura della Chiesa per i poveri e con i poveri, intitolata Dilexi te […]. Avendo ricevuto come in eredità questo progetto, sono felice di farlo mio – aggiungendo alcune riflessioni – e di proporlo ancora all’inizio del mio pontificato» (DT, n. 3).

La storia della redazione della prima esortazione apostolica di Leone XIV ci svela così qualcosa di significativo. Fin dalla sua elezione, parole e gesti di papa Prevost sono stati vagliati con attenzione alla ricerca di segnali di continuità con papa Francesco, e soprattutto di discontinuità, in particolare da parte dei critici del Pontefice argentino. In questo scenario, DT mette subito in chiaro che, almeno per quanto riguarda l’opzione preferenziale per i poveri – punto che è stato spesso indicato come una fissazione di papa Bergoglio – Leone XIV la pensa esattamente allo stesso modo. Condivide tanto «il desiderio dell’amato Predecessore che tutti i cristiani possano percepire il forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri» quanto la necessità di «insistere su questo cammino di santificazione» (ivi).

Il vincolo inseparabile tra la fede e i poveri

Il senso di continuità che DT trasmette non riguarda soltanto il rapporto tra Leone XIV e il suo predecessore. Il testo accompagna il lettore lungo un dettagliato excursus sul posto dei poveri nella rivelazione biblica, oggetto di «un’opzione preferenziale da parte di Dio» (DT, n. 16), che prende corpo in numerose pagine dell’Antico Testamento, così come nei gesti e nelle parole di Gesù e infine nella vita della comunità primitiva (cap. II). Il cap. III passa quindi in rassegna il modo con cui la storia della Chiesa attesta «che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri» (DT, n. 351). Numerose sono le forme con cui questo vincolo prende carne nella vita della Chiesa: dalla cura dei malati all’impegno per liberare i prigionieri, dalle iniziative educative all’accoglienza dei migranti e alla condivisone della vita dei più svantaggiati. In ogni epoca, l’amore per i poveri è criterio di santità. Lo testimoniano innanzi tutto la vita di innumerevoli santi di ogni tempo, compreso il nostro, e poi l’insegnamento e l’esempio dei Padri della Chiesa, le regole della vita monastica, il carisma degli ordini mendicanti e tante forme di impegno laicale, tra cui i movimenti popolari (DT, nn. 80-81).

Nel nostro tempo, questa storia continua in modo particolare attraverso la dottrina sociale della Chiesa (cap. IV). Colpisce l’affermazione che la questione della “Chiesa dei poveri” costituisce – si citano qui le parole pronunciate dal card. Lercaro il 6 dicembre 1962 – «l’unico tema di tutto il Vaticano II» (DT, n. 84). E per una ragione dottrinale e non solo sociale; come affermò ancora Lercaro, «il mistero di Cristo nella Chiesa è sempre stato ed è, ma oggi lo è particolarmente, il mistero di Cristo nei poveri» (ivi). La riforma della Chiesa ne è la conseguenza: «Si prospettava così la necessità di una nuova forma ecclesiale, più semplice e sobria, coinvolgente l’intero popolo di Dio e la sua figura storica. Una Chiesa più simile al suo Signore che alle potenze mondane, tesa a stimolare in tutta l’umanità un impegno concreto per la soluzione del grande problema della povertà nel mondo» (ivi). A poche settimane dalla celebrazione del sessantesimo anniversario della conclusione del Vaticano II (8 dicembre 1965), il Magistero offre un criterio autorevole per l’ermeneutica dell’evento conciliare, in particolare su un tema spesso oggetto di aspre controversie.

Ma perché tanta insistenza su un punto che – l’esortazione stessa sta a dimostrarlo – per i cristiani dovrebbe essere considerato indubitabile? «Tante volte – scrive Leone XIV – mi domando perché, pur essendoci tale chiarezza nelle Sacre Scritture a proposito dei poveri, molti continuano a pensare di poter escludere i poveri dalle loro attenzioni» (DT, n. 26).

A più riprese l’esortazione evidenzia come le nostre società siano abitate non solo da comportamenti, ma anche da visioni che legittimano la chiusura nei confronti dei poveri: «La cultura dominante dell’inizio di questo millennio spinge ad abbandonare i poveri al loro destino, a non considerarli degni di attenzione e tanto meno di apprezzamento» (DT, n. 105). Ne è un esempio «quella falsa visione della meritocrazia dove sembra che abbiano meriti solo quelli che hanno avuto successo nella vita» (DT, n. 14). Anche i cristiani, «in tante occasioni, si lasciano contagiare da atteggiamenti segnati da ideologie mondane o da orientamenti politici ed economici che portano a ingiuste generalizzazioni e a conclusioni fuorvianti» (DT, n. 15). Le ricadute sulla concezione della missione della Chiesa sono immediate e comportano l’abbandono dell’attenzione spirituale ai poveri. «C’è chi continua a dire: “Il nostro compito è di pregare e di insegnare la vera dottrina”. Ma, svincolando questo aspetto religioso dalla promozione integrale, aggiungono che solo il governo dovrebbe prendersi cura di loro, oppure che sarebbe meglio lasciarli nella miseria, insegnando loro piuttosto a lavorare. A volte, invece, si assumono criteri pseudoscientifici per dire che la libertà del mercato porterà spontaneamente alla soluzione del problema della povertà. Oppure, persino, si opta per una pastorale delle cosiddette élite, sostenendo che, al posto di perdere tempo con i poveri, è meglio prendersi cura dei ricchi, dei potenti e dei professionisti, cosicché, attraverso di loro, si potranno raggiungere soluzioni più efficaci. È facile cogliere la mondanità che si cela dietro queste opinioni: esse ci portano a guardare la realtà con criteri superficiali e privi di qualsiasi luce soprannaturale» (DT, n. 114).

Leone XIV e papa Francesco riconoscono in queste visioni una grave minaccia. Lasciare i poveri ai margini ci priva di un contributo fondamentale, giacché «la realtà si vede meglio dai margini e […] i poveri sono soggetti di una specifica intelligenza, indispensabile alla Chiesa e all’umanità» (DT, n. 82). In particolare, per coloro che si professano discepoli di un Signore che ha scelto di identificarsi con i poveri si tratta di un pericolo che non è esagerato definire mortale: «l’amore a coloro che sono poveri – in qualunque forma si manifesti tale povertà – è la garanzia evangelica di una Chiesa fedele al cuore di Dio» (DT, n. 103), mentre dimenticare i poveri significa «uscire dalla corrente viva della Chiesa che sgorga dal Vangelo e feconda ogni momento storico» (DT, n. 15). La ragione è squisitamente teologica e riguarda quella possibilità di incontro con il Signore che è vitale per ogni credente: «Non siamo nell’orizzonte della beneficenza, ma della Rivelazione: il contatto con chi non ha potere e grandezza è un modo fondamentale di incontro con il Signore della storia. Nei poveri Egli ha ancora qualcosa da dirci» (DT, n. 5).

Tre direttrici di impegno

Un segnale del distacco dalla sorgente del Vangelo è «la carenza o addirittura l’assenza dell’impegno per il bene comune della società e, in particolare, per la difesa e la promozione dei più deboli e svantaggiati» che «talvolta si riscontra in alcuni movimenti o gruppi cristiani» (DT, n. 112). Per questo, il cap. V di DT, l’ultimo, è un invito ad accogliere la sfida permanente dell’attenzione preferenziale ai poveri, che nella storia è segno distintivo di ogni rinnovamento ecclesiale (cfr DT, n. 103), e a farlo in modo appropriato al nostro tempo.

L’ultimo paragrafo dell’esortazione indica tre direttrici per far sì che anche oggi la Chiesa possa testimoniare l’amore di Dio a chiunque viva nella povertà. Sono la prossimità accogliente del «gesto di aiuto semplice, molto personale e molto ravvicinato» (DT, n. 121), l’impegno «per cambiare le strutture sociali ingiuste» (ivi) e il lavoro. Anzi, quest’ultimo è il primo a essere menzionato, e possiamo scorgere qui una traccia del legame che ha condotto il Papa a scegliere per sé il nome del suo predecessore che nella Rerum novarum «affrontò la questione del lavoro» (DT, n. 83). Per la dottrina sociale della Chiesa, infatti, il lavoro non è soltanto il mezzo per ottenere quel salario che, secondo giustizia, permette di condurre una vita dignitosa (cfr DT, n. 115). È anche il principale mezzo attraverso cui ciascuno può «dare un contributo attivo al bene comune dell’umanità»2. La possibilità di dare questo contributo da una parte è una esigenza insopprimibile della dignità di ogni persona, dall’altra concorre concretamente a costruire una società più umana e più accogliente, innanzi tutto nei confronti di poveri ed emarginati.

DT termina ripetendo le parole «Io ti ho amato» (Apocalisse 3,9) che le danno il titolo, lasciando sorpreso il lettore, perché sembra mancare una conclusione nella forma a cui siamo abituati. È forse il segnale che il discorso sull’amore per i poveri non può mai dirsi concluso, ma è chiamato a proseguire nelle scelte e nelle azioni della Chiesa tutta e di ogni credente nella concretezza del nostro tempo. La prossima parola di quel discorso è dunque affidata a ciascuno di noi.

Paolo Foglizzo

1. DT cita qui FRANCESCO, esortazione apostolica Evangelii gaudium, 2013, n. 48

2. GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica Centesimus annus, 1991, n. 34

Centro Astalli, “La proposta del Vangelo ha conseguenze sociali”

Il Centro Astalli è grato a papa Leone per aver scelto di dedicare ai poveri il suo primo documento magisteriale, perché dice, con un gesto, un’attenzione che raccoglie anche l’invito che era stato rivolto a papa Francesco «Non dimenticarti dei poveri». Crediamo poi che due punti in particolare siano importanti per le comunità cristiane: i poveri «non sono una categoria sociologica, ma la stessa carne di Cristo» e «la proposta del Vangelo non è soltanto quella di un rapporto individuale e intimo con il Signore» ma è più ampia, «è il Regno di Dio»[…] «e l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali».  

Jesuit Sociale Network, “Dall’ assistenza  all’amore incondizionato”

L’Esortazione Apostolica “Dilexi te” di Papa Leone XIV si pone nel solco del magistero precedente, in particolare di Papa Francesco, sul tema della povertà e riconduce tutti i cristiani all’essenziale della propria fede, enunciando con forza e chiarezza che i poveri non sono una categoria sociologica ma la stessa “carne di Cristo”.

Ma per tutti coloro che operano nel sociale ha un significato ulteriore, non è solo un documento di fede, ma una potente riaffermazione etica, che risuona profondamente nella missione quotidiana.

Ci ricorda innanzitutto che il povero è soggetto di amore, non solo di aiuto: il cuore del messaggio “Ti ho amato” sposta la prospettiva dall’assistenza  all’amore incondizionato. Questo ci incoraggia a vedere nella persona fragile non solo un “caso” da gestire o un “utente” con un bisogno specifico, ma una persona di dignità inestimabile che merita affetto, rispetto e una vera relazione che tanto ci può dare, consentendo anche di mantenere l’umanità del servizio. Dobbiamo quindi entrare in una relazione di reciprocità e di riconoscimento della dignità intrinseca:lasciarsi evangelizzare dai poveri”.

 Per noi che portiamo l’impronta della pedagogia ignaziana e ne promuoviamo lo spirito, vuol dire costruire percorsi per il miglioramento della qualità della vita delle persone accolte, in modo tale che ognuno possa sentirsi accettato e riconosciuto non tanto per i bisogni che presenta, ma per le qualità che esprime, fino a rendere la diversità una risorsa. Questo obiettivo si fonda sulla certezza che ogni uomo ha dentro di sé quanto gli serve per potere condurre una vita piena di significato e di realizzazioni, aiutato ed accompagnato, quando occorre, in un processo formativo di scoperta e riconoscimento.

La “Dilexi Te” non si ferma alla carità individuale, ma spinge la Chiesa tutta (e, di conseguenza, chi vi opera) a denunciare con forza le strutture di ingiustizia che generano povertà, come l’indifferenza e la “dittatura di un’economia che uccide”.

Per chi opera nel sociale, questo si traduce nel non limitarsi alla gestione dell’emergenza, ma nell’impegnarsi per il cambiamento culturale e politico, diventandone agente attivo. Significa portare la voce dei “senza voce” insieme con lapropria esperienza sul campo (“toccare la carne sofferente“) nei contesti decisionali e lavorare con una azione di advocacy affinché le politiche pubbliche siano più eque edefficaci, di modo che distruggano le radici dell’ingiustizia e non si limitino a gestirne gli effetti. L’indifferenza, ribadisce il Papa, è un “peccato”, e noi che operiamo nel sociale siamo chiamati ad essere voce chedenuncia e sveglia.

Mi sembra poi che L’Esortazione riconosca la complessità delle nuove povertà, materiali, morali, spirituali, culturali, di diritti e di libertà.  Questo è un invito diretto alle nostre Opere affinché non si irrigidiscano su categorie magari divenute obsolete, ma si impegnino ad affinare gli strumenti di ascolto e di intervento per cogliere “il grido”, spesso sommesso, di chi è emarginato socialmente o non ha gli strumenti per esprimere la propria dignità.

Guido Bava, presidente JSN

Fondazione Magis, “Camminare con i poveri, lavorare per la giustizia”

“L’Esortazione apostolica Dilexi te di Papa Leone rafforza e conferma l’impegno di camminare con i poveri e di lavorare per la giustizia, al cuore degli obiettivi della Fondazione MAGIS”. E’ quanto afferma sul primo documento del pontificato di Leone XIV Ambrogio Bongiovanni, presidente della Fondazione MAGIS Ets, Opera missionaria della Provincia Euro-mediterranea dei Gesuiti con progetti di promozione umana e sociale in numerosi Paesi del mondo.

“È un’esortazione che viene promulgata coraggiosamente in un periodo in cui gli Stati rischiano con le loro scelte politiche egemoniche e con il crescente sostegno ad un’economia di guerra di aggravare la situazione precaria di centinaia di milioni di persone nel mondo e della salute del nostro pianeta – sottolinea Bongiovanni -. Essa ripropone chiaramente e consolida l’opzione preferenziale per i poveri della Chiesa non solo nella sua gerarchia ma attraverso le comunità e l’impegno dei singoli cristiani”.

“Papa Leone raccoglie dunque decisamente l’eredità del suo predecessore Papa Francesco di mettere al centro del Magistero l’attenzione e l’amore ai poveri, l’ascolto del loro ‘grido’ che si fa ancora più intenso quando questo è determinato dalle guerre e dalle stragi indiscriminate e senza alcuna pietà, come quelle alle quali stiamo assistendo in questi ultimi anni”, prosegue il presidente del MAGIS.

“Il cristiano non può ridurre i poveri solo come un problema sociale: essi sono una ‘questione familiare’, sono dei nostri”, avverte il documento pubblicato ieri che, secondo Bongiovanni, “ha lo scopo di esortare e di far riflettere affinché ‘tutti i cristiani possano percepire il forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la Sua chiamata a farci vicini ai poveri’ e cioè a riconoscere Gesù Cristo proprio nei poveri e nei sofferenti. L’amore per Cristo non va disgiunto da quello verso i poveri. Questa riflessione non è meramente una questione di dottrina sociale ma è inquadrata profondamente in una prospettiva teologica e missionaria perché ‘non siamo nell’orizzonte della beneficenza ma della Rivelazione’. Cosa ci insegna la Rivelazione cristiana?”.

“E ancora un monito – rileva ancora il presidente del MAGIS -: non ascoltare il grido dei poveri o disprezzare il povero ‘ci allontana dal cuore di Dio stesso’. Un monito forte per tutti, per i singoli credenti, per le comunità, in particolar modo per chi ricopre ruoli di potere economico e politico.

Raccogliere questa esortazione vuole dire attivare processi di cambiamento anche delle strutture attuale di ingiustizia che continuano a perpetrare lo sfruttamento e la cultura dello scarto, il rifiuto e il disprezzo del povero, del migrante, del perseguitato… insomma tutti quelle categorie che sono state anche al centro della missione di Gesù stesso”.

“La Chiesa si presenta così ‘come la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri’ – conclude Bongiovanni – ma anche come realtà nel mondo che denuncia le strutture di peccato e si propone come realtà che invita alla conversione. Ciò che la Fondazione MAGIS intende perseguire con tutte le sue energie disponibili per aiutare a risvegliare la coscienza e a testimoniare l’amore nel mondo”.

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