Finanza pubblica e promesse elettorali: un’analisi
Secondo uno studio in uscita sul numero di marzo di Aggiornamenti Sociali, «le attuali proposte sulla flat tax produrrebbero un aumento della disuguaglianza»; e quanto all’abolizione della riforma pensionistica «nessuno spiega a quale assetto si ritornerebbe, né dettaglia i tratti del nuovo sistema»
La XVII legislatura termina nel segno di una ripresa, per quanto debole, della crescita economica e di una evoluzione positiva dei conti pubblici. Qual è l’impatto complessivo della politica di bilancio seguita dai tre Governi che si sono succeduti dal 2013 a oggi? È possibile valutarne le strategie complessive di finanza pubblica? E quale eredità consegnano al Parlamento che uscirà dalle urne? Nel numero di marzo di Aggiornamenti Sociali rispondono a queste domande Maria Flavia Ambrosanio, professore di Scienza delle Finanzenell’Università Cattolica di Milano, e Paolo Balduzzi, ricercatore nella stessa Università. Nella loro analisi i due docenti offrono anche una valutazione delle promesse della campagna elettorale.
«Al di là dei contenuti specifici – scrivono i due autori – le proposte dei partitiin tema di spesa pubblica e tassazione condividono tutte un tratto comune: combinano un aumento di spesa pubblica, in particolare quella rivolta alle fasce di popolazione più deboli, e una diminuzione delle imposte. Si tratta di un mix esplosivo, davvero poco credibile, anche alla luce dei vincoli al ricorso al deficit di bilancio introdotti dalla riforma costituzionale del 2012».
Focalizzando l’attenzione sulle due proposte che genererebbero i maggiori oneri a carico del bilancio pubblico, ovvero la flat tax e l’abolizione della riforma Fornero delle pensioni, la premessa necessaria è che l’obiettivo inaggirabile del contenimento del disavanzo «offre margini di manovra limitati (pochi miliardi all’anno), che richiedono di essere negoziati in sede europea sulla base di fondate ragioni».
Per quanto riguarda la flat tax, proposta in particolare (seppure in forme diverse) da Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, «le proposte attualmente sul tappeto produrrebbero soprattutto un abbassamento dell’onere tributario sui redditi più elevati, e quindi un aumento della disuguaglianza. (…) In comune hanno un elemento inquietante: nessuna precisa con chiarezza la soglia di esenzione e la struttura di detrazioni e deduzioni, ovvero gli elementi che rendono l’imposta progressiva. (…) In ogni caso, essendo molto basse le aliquote proposte, l’obiettivo è quello di abbattere l’IRPEF sui redditi più alti».
Si pone poi, spiegano Ambrosanio e Balduzzi, «il problema della copertura: se la riduzione di entrate è bilanciata da un equivalente taglio della spesa o dall’aumento di altri introiti, si tratta di un gioco a somma zero in cui la riduzione dell’imposta sul reddito gioca il ruolo di specchietto per le allodole. (…) Nella maggior parte dei casi, le coperture proposte in questa campagna elettorale appaiono, a essere generosi, irrealistiche».
Passando ad analizzare le proposte di intervento sul sistema pensionistico, Aggiornamenti Sociali evidenzia come nessuna proposta di abolizione della riforma Fornero «spiega a quale assetto passato si ritornerebbe, né dettaglia i tratti del nuovo sistema (metodo di calcolo, età al pensionamento, possibilità di anticipo pensionistico, ecc.). (…) Data la vaghezza delle proposte, è impossibile una stima sensata dei loro costi e questo spiega il “balletto” delle cifre a cui stiamo assistendo».
Con riferimento all’eredità lasciata dal governo Gentiloni, i due autori affermano che, dal punto di vista delle finanze pubbliche, «il Governo uscente non lascia un’eredità negativa. L’economia è in ripresa, i conti pubblici sono migliorati, la pressione fiscale si è leggermente ridotta, è diminuito il rapporto tra spesa pubblica e PIL, la spesa per interessi è scesa al 3,8% del PIL, il livello più basso dagli anni ’80. Certo, restano in sospeso molte questioni importanti, se davvero si vuole uscire dalla “transizione infinita”. Innanzitutto, il miglioramento dei conti pubblici non può far dimenticare che il debito e il suo rapporto col PIL restano a livelli molto elevati, alimentando preoccupazioni in sede europea sulla sostenibilità nel medio periodo. L’opera di risanamento dovrà quindi continuare, anche se le premesse – e le promesse – della campagna elettorale vanno in direzione opposta».
«Il Parlamento che uscirà dalle urne del 4 marzo – concludono Ambrosanio e Balduzzi – erediterà la gestione di un Paese uscito dalla crisi, ma caratterizzato ancora da forti disuguaglianze di genere, di generazione, territoriali e anche di reddito e ricchezza. I candidati di oggi, legislatori di domani, dovranno essere giudicati in base alle loro competenze, ai risultati raggiunti in passato e al senso di responsabilità e consapevolezza che dimostrano nei confronti del Paese».