Intervista al nuovo Provinciale. Padre Matarazzo: “Sul territorio, da gesuiti e da cittadini”
Padre Gianfranco Matarazzo è stato scelto, l’8 febbraio, dal Padre Generale come nuovo Provinciale d’Italia. Prenderà il posto di P. Carlo Casalone SJ, che ha esaurito il suo mandato di sei anni.
50 anni, originario di Teano, una laurea in giurisprudenza, e una specializzazione in diritto amminstrativo e scienze dell’amministrazione, avvocato, P. Matarazzo attualmente dirige l’Istituto Arrupe di Palermo, è delegato per l’apostolato sociale e per la materia degli abusi.
Quali erano le caratteristiche del nuovo Provinciale che aveva in mente? E ora cosa chiede a se stesso?
“Le caratteristiche che mi aspettavo dal nuovo Provinciale corrispondono al ritratto condiviso che come Corpo, soprattutto nell’ultimo anno, siamo stati chiamati a elaborare. In particolare, è emerso il bisogno di un Superiore che sapesse far tesoro del cammino sin qui compiuto e che sapesse rilanciarlo. Mi riconosco in questa attesa e spero di saperla fare mia”.
Il Provinciale, così come è stato definito in questi anni, esercita una leadership partecipata. Per lei questo cosa significherà?
“Anche in questo caso, si tratta di proseguire su un cammino che, da un lato, è stato portato avanti con attenzione negli ultimi decenni e che, dall’altro, appartiene geneticamente al nostro carisma, dal momento che la leadership di Ignazio di Loyola sin dall’inizio è stata vissuta e concepita come partecipata. Quest’aspetto del carisma è di estrema attualità e nel contesto odierno può assumere tratti profetici”.
Lei è entrato in noviziato a trenta anni. Perché ha scelto la Compagnia ieri? E perché la sceglierebbe oggi?
“Innanzitutto provengo da una formazione diocesana che mi ha concesso di conoscere bene due belle realtà ecclesiali, quella di provenienza, la diocesi di Teano-Calvi, e quella di destinazione per gli studi universitari, la diocesi di Napoli. Serbo un bel ricordo della formazione ecclesiale sperimentata in queste due realtà e in particolare della parrocchia che mi ha accompagnato alla vocazione, la parrocchia Santissimo Crocifisso e santa Rita di Napoli, con l’allora parroco, monsignor Antonio D’Urso. Durante questa formazione sono stato aperto alla realtà ecclesiale nella ricchezza dei suoi carismi, spinto a conoscerla, e ho trovato una disponibilità esemplare nei gesuiti della Chiesa del Gesù Nuovo di Napoli,molto legata alla zona universitaria della Federico II, che io frequentavo come studente. Ho vissuto con entusiasmo gli anni dell’Università e questo fermento aveva anche una dimensione spirituale che mi ha portato ad avvicinarmi sempre di più al carisma ignaziano. Sono stato conquistato dalla cura personalis testimoniata dalla spiritualità dei gesuiti e dal servizio ecclesiale cui il carisma ignaziano mi ha a sua volta rilanciato. In particolare, il Signore ha voluto che in quest’incontro sperimentassi la Buona Notizia di Gesù morto e risorto, secondo il modo di procedere del carisma ignaziano. Si tratta di uno dei modi che la Chiesa mette a disposizione: lo Spirito mi ha chiamato a questo carisma”.
Che identikit darebbe della Provincia che le viene affidata?
“I gesuiti d’Italia provengono da una storia bella: penso all’attenzione ai poveri, ai giovani e alla cultura e penso al modo con cui cerchiamo di realizzare questo servizio. Questa bellezza trapela anche oggi, insieme a fatiche e pesantezze. Proprio questa combinazione sta svelando un’occasione preziosa di riflessione, di ripresa di familiarità con la Buona Notizia di Gesù Cristo, di riscoperta del carisma e di un suo rilancio. L’identikit della Provincia mi sembra giocarsi in queste componenti e credo che lo Spirito, attraverso di esse, ci stia chiamando a un discernimento generoso e fiducioso”.
Quali sono a suo parere le urgenze su cui la Provincia deve lavorare? Quali processi portare a compimento? E quali le nuove frontiere da esplorare?
“I gesuiti d’Italia sono chiamati a fare un punto della situazione generoso, sulla scia del cammino già avviato da anni, capace di riconoscere le luci e le ombre del momento presente. Il punto di riferimento è la ripresa di familiarità con il nostro carisma, cioè con la Buona Notizia di Gesù morto e risorto secondo il nostro modo di procedere. L’ascolto dello Spirito ci aiuterà nella necessaria rivisitazione della nostra presenza e azione sul territorio e a identificare gli ambiti e le frontiere su cui siamo chiamati a investire. Questo processo ci investe a più livelli, tra loro implicati: in maniera personale, come laici e gesuiti, in maniera comunitaria, come cittadini, cioè uomini e donne per gli altri”.
Lei è un uomo del Sud. Come si vive la dimensione geografica, il rapporto Nord-Sud in Provincia, tenendo presente che c’è anche l’Albania?
“La geopolitica e la cronaca attestano che la dimensione geografica è un aspetto delicato e contraddittorio. Il carisma ignaziano dal canto suo dimostra che l’articolazione territoriale è innanzitutto un’opportunità e una ricchezza e tutto questo, ancora una volta, ci appartiene in termini genetici. Vorrei proseguire in questa prospettiva”.
I religiosi, i migliori, dice il Papa devono andare alle frontiere dell’esclusione sociale. Lei ha diretto l’Istituto Arrupe di Palermo ed è delegato dell’apostolato sociale. Quali le sembrano oggi le urgenze con cui l’Italia deve fare i conti? Quale il ruolo della Chiesa e della Compagnia?
“Il ruolo della Chiesa e della Compagnia sono legati a quell’esperienza plurisecolare che ha saputo coniugare servizio al prossimo, attenzione alla persona e la costruzione di una società giusta. Ancora una volta, abbiamo a che fare con una dimensione originaria della Chiesa e della Compagnia. L’inclusione sociale va proseguita in questa prospettiva, sapendo coniugare ampiezza di orizzonti e rigore nei processi”.
Francesco ha istituito una commissione per la tutela dell’infanzia. E ha ribadito le linea di ferro di Benedetto XVI. I gesuiti all’estero sono stati impegnati nell’elaborazione di codici di condotta e di azioni molto significative in merito alla tutela del minori. Lei è delegato per gli abusi. Che tipo di azione ha condotto la Provincia d’Italia?
“Ho sperimentato un grande sostegno a più livelli come delegato per la materia degli abusi: dai miei Superiori, dalla Chiesa, dall’insegnamento di Papa Benedetto XVI. Gli abusi costituiscono un delitto gravissimo, realizzano una violenza aberrante su vittime innocenti, deturpano il volto della Chiesa. I gesuiti nel mondo sono stati coinvolti in diversi scandali. Come Compagnia, anche in Italia stiamo lavorando per affrontare la questione in modo tempestivo, accogliente e giusto. Tra le azioni realizzate segnalo la stesura di un protocollo etico sulla materia già nel 2011, che è in fase di valutazione perché è da coordinare con la Conferenza Episcopale Italiana.
Il 2014 è l’anno della ricostituzione della Compagnia. Cosa significa questa tappa per la Provincia di Italia?
“La Compagnia di Gesù è stata soppressa e per 41 anni si è praticamente dissolta. Non c’era certezza di un suo possibile ristabilimento. Eppure il carisma continuava a persistere e progressivamente ha ripreso a ispirare irresistibilmente persone e istituzioni animate da propositi di servizio. A un certo punto, è stata ricostituita dalla Chiesa. Si tratta di un anniversario, il duecentesimo, che offre qualche rimando provvidenziale all’attuale fase che stiamo vivendo. Mi sembra una ricorrenza importante per fare il punto della situazione, riappropriarci dei punti fermi del nostro carisma e riprendere spediti e fiduciosi la nostra attività apostolica”.
Il 2015 sarà dedicato alla vita religiosa. Uno dei temi messi a fuoco è quello dei giovani religiosi. Per quanto riguarda i gesuiti italiani quanto incide la presenza dei giovani e che tipo di attenzione formativa c’è, su cosa di punta?
“La Chiesa, la Compagnia di Gesù e tante famiglie religiose hanno saputo ridare un’attenzione formativa rinnovata alle nuove generazioni di religiosi, attingendo alla ricchezza dei carismi che la Chiesa custodisce e attualizza. In particolare, come gesuiti, lo Spirito ci sta conducendo a una riformulazione della vita religiosa in cui la dimensione quantitativa ha perso quell’importanza, a tratti addirittura ingannevole, che in alcuni momenti può aver avuto. In qualche modo ci ha portato a riscoprire in maniera ancora più profonda la vocazione gesuitica, che è legata soprattutto, come ho già detto, alla familiarità con la Buona Notizia di Gesù e con il carisma che ci è stato affidato, a un cammino personalizzato, a uno spirito di Corpo e a relazioni interpersonali attente e profonde. Ecco su cosa puntiamo”.