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Padre Nicolás.Le priorità della Compagnia nell’Asia-Pacifico

La riunione di Singapore. Il Padre Generale ha partecipato a Singapore, dal 23 al 27 gennaio, all’incontro dei Superiori Maggiori della Conferenza dell’Asia-Pacifico (della quale è stato Presidente prima di essere eletto Preposito Generale). Era accompagnato in questo viaggio dal Padre Daniel Patrick Huang, al quale il servizio di informazioni della Curia generale ha rivolto alcune domande sulla presenza della Compagnia in quest’area del mondo.
D. Padre Huang, la Conferenza dell’Asia-Pacifico raggruppa numerose Province, Regioni e Missioni, spesso con problematiche e situazioni molto diverse. Può farci un breve panorama di quest’area della Compagnia?
 
R. La conferenza dei gesuiti dell’Asia-Pacifico (JCAP) è composta di tredici unità: 7 Province (Australia, Cina, Indonesia, Giappone, Corea, Filippine e Vietnam) e 6 Regioni e Missioni (Cambogia, Timor Est, Malesia-Singapore, Micronesia, Myanmar e Thailandia). Al gennaio 2011 vi erano 1.640 gesuiti in questa Assistenza, cioè circa il 9% di tutti i 17.772 gesuiti nel mondo. JCAP è al servizio di un’enorme parte del mondo, in termini sia di estensione geografica che di popolazione. Oltre al vasto continente dell’Australia, JCAP include anche la Cina, la nazione più popolosa del mondo e la seconda più grande per territorio, come pure l’Indonesia, che non solo è un grandissimo arcipelago che si estende su tre fusi orari, ma anche il paese con il maggior numero di musulmani del mondo. In contrasto, fatta eccezione per due paesi a predominanza cattolica (le Filippine e Timor Est), la Chiesa cattolica in questa parte del mondo è veramente un “piccolo gregge”, un’esigua percentuale della popolazione totale. Per esempio, i cattolici del Giappone, circa mezzo milione, rappresentano meno dello 0,5% della popolazione del paese. Allo stesso modo, i meno di 300.000 cattolici thailandesi costituiscono poco più dello 0,4% della popolazione della Thailandia. La grande maggioranza dei popoli dell’Asia-Pacifico hanno fatto parte per secoli dell’una o dell’altra delle grandi tradizioni religiose, come il buddhismo, l’islam, il confucianesimo. Attualmente, tuttavia, queste antiche religioni e tradizioni culturali dell’Asia devono confrontarsi con una crescente secolarizzazione delle culture. Le nuove culture “globali” emergenti influiscono particolarmente sui giovani, così numerosi nell’Asia-Pacifico.
            Oltre ad essere così diversi dal punto di vista religioso e culturale (non solo ci sono lingue differenti, ma anche numerosi alfabeti e sistemi di scrittura diversi!), i paesi dell’JCAP si trovano anche di fronte a sfide differenti. Nell’Asia-Pacifico, da una parte, ci si trova di fronte a giganti economici, come Cina, Giappone, Corea, Australia e Singapore, ma, dall’altra, anche di fronte ad alcuni paesi tra i più poveri del mondo, come Timor Est, Myanmar e Cambogia. Problemi di repressione politica e di limitazione alla libertà religiosa li troviamo in Myanmar, Vietnam e Cina. In riferimento alle varie forme dell’islam, oggi abbiamo sfide in Indonesia, Malesia e nel Sud della Thailandia e delle Filippine. Le migrazioni, dovute a varie ragioni, sono una grande sfida per l’intera regione e coinvolgono milioni di persone (in realtà, se si includono le migrazioni interne della Cina, sono centinaia di milioni!). Infine, nel complesso, l’Asia-Pacifico, per quanto riguarda la Compagnia di Gesù, è una regione giovane e in crescita. Circa un terzo dei gesuiti dell’JCAP sono sui 40 anni e anche più giovani. La nuovo Provincia del Vietnam, costituita solo cinque anni fa,  conta circa 150 gesuiti, di cui 90 in formazione. Dei 45 gesuiti di Timor Est, 30 sono in formazione. Dei 45 gesuiti che lavorano nella Missione del Myanmar, 34 sono in formazione.
  
D. Quali sono stati i problemi principali affrontati dai partecipanti all’incontro di Singapore?
 
R. Quando il P. Mark Raper cominciò il suo servizio come Presidente dell’JCAP nel 2008, furono individuate tre importanti priorità per la Conferenza: in primo luogo, la formazione (tenuto conto del grande numero di gesuiti in formazione nell’JCAP, molti dei quali appartenenti a unità geografiche recenti ma senza personale o strutture per la formazione); in secondo luogo, l’aiuto alle Regioni (che sono giovani, in via di sviluppo, bisognose di aiuto per la pianificazione, il personale e le risorse); e in terzo luogo, lo sviluppo della cooperazione tra le varie unità. In linea con quest’ultima priorità, nel luglio 2010, a Seul, i superiori maggiori dell’JCAP decisero di collaborare su due frontiere principali che la Conferenza si trovava di fronte: le migrazioni e la riconciliazione con la creazione. Sempre in Seul, in risposta alle preoccupazioni del Padre Generale per la Compagnia universale, si decise di fare maggiore attenzione per assicurare degli standards professionali a ogni singola unità, e per aiutare i superiori maggiori a crescere nella loro capacità di gestire casi che richiedono standards professionali.
            L’incontro di Singapore si è svolto sulla scia di queste priorità e linee guida. Sottolineo solo alcuni punti salienti. Riguardo alla formazione, si è discusso e commentato il documento sul profilo del gesuita formato nell’Asia-Pacifico (A profile of a formed Jesuit for Asia Pacific). Questo documento, preparato da un gruppo che ha lavorato sotto la direzione del P. Matthias Chae, delegato per la formazione nell’JCAP, offre una visione del processo di formazione e sarà una guida utile sia ai formandi che ai formatori. Per quanto riguarda le Regioni, si è discusso a lungo e con passione su varie possibilità circa la ristrutturazione del governo e delle strutture delle varie Province e Regioni, alla luce delle raccomandazioni del decreto 5° della Congregazione Generale 35ma. Questo processo di ristrutturazione continuerà ad essere all’ordine del giorno anche dei futuri incontri. Ci sono stati rapporti e discussioni sul processo ancora in corso realizzazione delle due frontiere comuni, cioè le migrazioni e la riconciliazione con la creazione. E c’è stato anche un’ulteriore interesse sugli standards professionali, compresa la formazione permanente dei superiori maggiori per la gestione di casi particolari.
 
Q. Quale è stata la funzione e l’importanza della partecipazione del Padre Generale?
 
R. Il Padre Generale è stato a suo tempo nostro Presidente e così, come lui stesso ha detto, questa visita è stata come un ritorno a casa. A livello strettamente personale, è stato un bene per i gesuiti e i nostri collaboratori in Thailandia, Cambogia e Malesia-Singapore, come pure per i superiori maggiori, vedere di nuovo in Asia il Padre Generale, che noi chiamavamo familiarmente “Nico”, e di avere la possibilità di rinnovare vecchie amicizie e relazioni. Il Padre Generale, durante l’incontro, ha offerto ai superiori maggiori diversi spunti che credo siano stati significativi. Mi riferisco solamente a un importante intervento che ha fatto nel primo giorno, quando si è soffermato a lungo sui risultati del lavoro della Commissione per la ristrutturazione delle Province, che ha portato avanti il suo lavoro lo scorso anno a Roma, sotto la direzione del P. Tom Smolich. I punti che il Padre Generale ha sollevato sono stati cruciali per aiutare i superiori maggiori a prendere coscienza della necessità di rivedere l’attuale divisione in Province e Regioni in vista dei tanti cambiamenti nella Compagnia, per il bene della nostra missione e della nostra vita. Le sue parole hanno invitato i superiori alla libertà e alla creatività per intravedere un futuro differente dal presente; hanno dato all’JCAP argomenti per la riflessione, il discernimento e le decisioni da prendere nei prossimi incontri.
            Mi sembra che ci siano stati altri due importanti risultati nella presenza e partecipazione del Padre Nicolás. Primo, nei suoi interventi egli ha invitato i superiori maggiori e, attraverso di loro, i gesuiti dell’Asia-Pacifico, a una più profonda fedeltà al nostro Istituto. Per esempio, ha spiegato il suo modo di intendere la professione dei quattro voti; ha riflettuto sulla presenza di tante distrazioni nella vita del gesuita; ha espresso la sua preoccupazione affinché i gesuiti siano più presenti tra i poveri. Secondo, nel ricevere il rendiconto di coscienza dai superiori maggiori, sui quali grava certamente una delle più pesanti missioni nella Compagnia, penso che il Padre Generale ha dato loro l’incoraggiamento e il sostegno di cui hanno bisogno. Su quest’ultimo punto, non sono stati soltanto i superiori maggiori ad avere avvertito l’incoraggiamento. Un giovane vescovo (non gesuita), con il quale il Padre Generale si è incontrato privatamente, ha in seguito detto di essersi sentito rinnovato e rafforzato per la sua missione da questo incontro

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