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La povertà

Congregazione Generale 34 - Decreto 9

Introduzione

[274] 1. In risposta ai decisi richiami delle recenti Congregazioni Generali , i gesuiti hanno fatto notevoli sforzi per vivere una povertà, sia personale che comunitaria, più autentica. Si è dato sviluppo al lavoro con e per i poveri; è aumentata la generosità e l’ospitalità delle nostre case; la separazione tra la comunità e il lavoro ha fatto chiarezza sulle spese; c’è maggiore solidarietà finanziaria e una più attenta sensibilità per la giustizia. Nel complesso, viviamo con maggior distacco, semplicità, solidarietà e condivisione fraterna: tutti atteggiamenti che connotano quella povertà evangelica che abbiamo promesso. Dobbiamo rendere grazie a Dio di tutto questo.

[275] 2. Tuttavia, malgrado questi miglioramenti, dobbiamo riconoscere di non aver pienamente realizzato quel profondo rinnovamento in materia richiestoci dalla Congregazione Generale 32ª nel suo decreto 12. I postulati inviati a questa Congregazione manifestano insoddisfazione per il nostro stile di vita agiato e ci obbligano a chiederci se il modo in cui viviamo permette una testimonianza significativa del voto di povertà evangelica.

[276] 3. E non si tratta di un problema marginale. Sappiamo bene cosa significasse la povertà per S. Ignazio: “saldo muro della vita religiosa”, la cui carenza “indebolisce, disperde, e rovina” il nostro modo di essere. Sotto la mozione dello Spirito di Gesù, Ignazio e i primi compagni si sentirono mandati a “predicare in povertà”. Dall’autenticità della nostra povertà e dalla visibilità della nostra sequela di Cristo “umile e povero”, noi possiamo stabilire se siamo veramente gesuiti oppure no, come abbiamo imparato negli Esercizi Spirituali.

La dimensione apostolica e profetica della nostra povertà

[277] 4. La nostra povertà è apostolica in quanto essa testimonia che Dio è il solo Signore della nostra vita e l’unico Assoluto, e questo ci fa prendere distanza rispetto alle cose materiali e ci libera da ogni attaccamento, così da essere pienamente disponibili per servire il Vangelo e per donarci a chi ha maggiormente bisogno. In tal modo la povertà stessa è missione e proclamazione delle Beatitudini del Regno.

[278] 5. La nostra povertà è anche profetica. Negli ultimi decenni il grido dei poveri è diventato più acuto: invece di diminuire, il fossato che separa i ricchi dai poveri si è allargato. Un capitalismo senza freni produce crescite sproporzionate in alcuni settori, esclusione ed emarginazione in molti altri. La società contemporanea è pervasa dal consumismo, dall’edonismo e dalla mancanza di responsabilità. I valori oggi perseguiti sono la soddisfazione personale, la competizione, l’efficienza e il successo ad ogni costo. Davanti a un tale scenario pieno di contrasti, la nostra povertà personale e comunitaria diventa il segno e il messaggio di una logica diversa, quella della solidarietà evangelica.

[279] 6. La povertà è la condizione non equivocabile della nostra credibilità : a fronte degli atteggiamenti e dei valori che dominano la mentalità del mondo d’oggi, l’esercizio radicale della povertà evangelica diventa la testimonianza di una controcultura fondata sul valore di quella gratuità che S. Ignazio ha tanto lodato. Con questa gratuità noi annunciamo lo sconfinato e gratuito dono di Dio, che diede il suo Figlio per noi, nel totale annientamento dell’Incarnazione e della Croce. Con la nostra povertà noi mostriamo anche che, come persone e come corpo, ci consideriamo la “minima Compagnia” che vive di Dio e per Dio, invece di porre la nostra fiducia nelle cose materiali, perché l’amore potente del Signore opera attraverso la nostra piccolezza.

Direttive e aiuti

[280] 7. Allo scopo di rinnovare la nostra povertà apostolica, la Congregazione Generale 34ª desidera riprendere alcune delle più pressanti raccomandazioni lasciateci dalle ultime Congregazioni Generali.

[281] 8. I. L Lo stile della nostra vita, personale e comunitaria, deve essere semplice, ospitale e aperto. Vi sono certamente gesuiti e comunità che vivono una vita esemplarmente austera: dobbiamo tuttavia ammettere che talvolta lo stile della nostra vita è diverso da quello delle modeste famiglie del luogo. Dobbiamo onestamente chiederci se in certi ambiti (viaggi, auto personali, televisione privata, pasti in ristoranti di lusso, vacanze, numero dei domestici, ecc.) noi viviamo veramente secondo le esigenze della nostra povertà; e se, veramente, ci guadagniamo da vivere con il nostro lavoro. Una vita comunitaria fondata sulla condivisione della povertà è fonte di gioia e l’unità dei cuori è rafforzata dalla condivisione dei beni. La testimonianza della semplicità e della sobrietà di vita può anche risvegliare, in qualche nostro ospite, il desiderio di divenire anche lui compagno di Gesù. Siamo certi che la separazione dell’abitazione dai luoghi di lavoro, raccomandata dalla Congregazione Generale 31ª , è di aiuto per rafforzare la semplicità e l’intimità della nostra vita comunitaria.

[282] 9. II. La trasparenza economica e la dipendenza dalla comunità per quanto riguarda le entrate e le spese, sono cose indispensabili per vivere in povertà fraterna. Noi riceviamo dalla comunità ciò di cui abbiamo bisogno, e siamo tenuti a dare alla comunità tutto ciò che riceviamo come remunerazione di lavoro, stipendio, elemosina, dono, o a qualsiasi altro titolo. Questo desiderio di condividere con i confratelli senza considerare niente come proprio, deve essere l’atteggiamento caratteristico di un gesuita che voglia seguire radicalmente Cristo. Visto poi che esistono oggi dei moderni strumenti (quali le carte di credito, il conto in banca personale, ecc.) che potrebbero portare qualcuno a vivere finanziariamente ai margini della comunità, è indispensabile che tutti siano totalmente aperti con il superiore per quanto riguarda l’uso del denaro. Soprattutto coloro che hanno delle situazioni di lavoro influenti e ben pagate, devono essere particolarmente attenti perché, anche se la scelta di quelle situazioni va fatta nel discernimento con il superiore, e se il guadagno che se ne può ricavare non può essere determinante in ordine alla loro scelta, essi devono affrontare in esse la tentazione di condurre un tenore di vita più confortevole. Così pure, la chiarezza e l’austerità della vita non sono certo aiutate dall’appropriarsi per uso personale dei mezzi (materiali o finanziari) provenienti dal proprio lavoro apostolico.

[283] 10. III. Il discernimento spirituale ci rende “servitori vigilanti” della qualità evangelica della nostra vita.

[284] IV. a) Il discernimento personale – tanto raccomandato da S. Ignazio – può essere praticato nella preghiera e nell’esame. Solo l’intima conoscenza del Signore, che si è spogliato di tutto per amor nostro, può condurci ad amarlo sempre più e a seguirlo più da vicino nella sua spoliazione. L’esame ci permetterà di scoprire nella nostra vita le tracce di Dio, il quale ci chiama ogni giorno a seguirlo “più” liberamente, perché è lui stesso che desidera a sua volta darsi “di più” e “darsi a noi in tutto quello che può”. In ciò, è di aiuto la direzione spirituale, che può sostenere il nostro discernimento personale e salvaguardarci da ogni autoinganno. Altrettanto utile è un rapporto fatto di franchezza e fiducia tra i membri della comunità e il superiore, affinchè questi non debba limitarsi a dare permessi, ma possa effettivamente essere di aiuto nell’osservare la povertà in tutta la sua purezza e nel superarne le difficoltà.

[285] 12. b) Un aspetto importante del discernimento comunitario deve essere il nostro modo di vivere. Per questo si richiede che la comunità elabori un piano comune (fatto in modo da poter essere periodicamente valutato con facilità) che nasca dal desiderio di vivere in solidarietà e semplicità. Esso dovrà includere i mezzi concreti per raggiungere la semplicità di vita, le modalità con cui si manifesta lo spirito di gratuità della comunità e come i beni sono condivisi tra i confratelli e con i poveri. Il periodo immediatamente precedente la visita canonica del Provinciale può essere molto adatto per una valutazione del genere. Si è constatato che l’elaborazione di un bilancio annuale e la sua presentazione alla comunità in maniera adeguata e non come un adempimento formale, è di notevole aiuto per valutare lo stile di vita e vedere se esso è al livello di quello delle “modeste famiglie del luogo”. Occorrerà sforzarsi di rientrare nel preventivo di bilancio e la comunità dovrà essere tenuta al corrente della situazione. Se non si fa attenzione a tutto questo, il “peculio” può facilmente entrare nella vita dei gesuiti e aumenta il rischio di spendere il denaro in cose superflue.

[286] 13. IV. I cambiamenti introdotti dalla Congregazione Generale 32ª nelle strutture amministrative intendono favorire nelle nostre comunità una vita più modesta e un più diffuso senso della responsabilità comune. Per questa ragione è stata introdotta la condivisione dei beni, per cui il surplus della comunità, alla fine di ogni anno, deve essere distribuito: alle opere apostoliche da essa dipendenti, ad altre comunità o opere apostoliche bisognose, sia in Provincia che al di fuori di essa, e ai poveri. Anche le opere apostoliche sono sottoposte, per quanto possibile, a questa legge fraterna nei confronti di altre opere che si trovino nel bisogno. La riforma che ha separato le strutture economiche delle comunità da quelle delle opere, ha in genere favorito dei notevoli passi avanti sia per quanto concerne la solidarietà nella condivisione, sia per ciò che riguarda la trasparenza economica, così necessaria nelle nostre comunità e nelle nostre istituzioni. Ma questi risultati positivi non si sono raggiunti dappertutto: talvolta ci si è limitati alla pura e semplice separazione delle amministrazioni e delle contabilità, senza che questo avesse nessun effetto sul tenore di vita della comunità. La Congregazione Generale 34ª chiede che tali riforme siano realizzate con radicale sincerità: assunte con serietà, esse sapranno trasformare sia la nostra vita personale e comunitaria che le nostre attività apostoliche.

[287] 14. V. Per “sentire” in modo ignaziano le ansietà e le aspirazioni di chi manca di tutto, è indispensabile l’esperienza personale diretta. Sono le esperienze profonde quelle che ci cambiano. Possiamo liberarci del nostro modo abituale di vivere e di pensare solo sperimentando la vicinanza fisica e spirituale con il modo di vivere e di pensare dei poveri e degli emarginati.

[288] 15. a) Vivere delle esperienze di povertà e di emarginazione dovrebbe fare costantemente parte della vita di un gesuita, anche se la sua principale occupazione non è quella di lavorare con i più poveri. Il desiderio di “sentire talvolta gli effetti della povertà” dovrebbe indurci a trovare il tempo per esperienze del genere, che possono essere occasione di conversioni radicali. Tra i poveri degli ospedali e dei quartieri malfamati, i primi membri della Compagnia hanno “provato la privazione e il bisogno”, ma hanno anche sperimentato “che più lieta, più pura e più edificante per i fedeli è la vita, quando è assolutamente lontana da ogni ombra di interesse e più conforme alla povertà evangelica”. Per questo essi hanno voluto che, per coloro che sarebbero venuti dopo di loro, “il mangiare, il bere, il vestirsi, il calzare e il dormire, sarà quale si addice ai poveri” e che essi cercassero di “spingersi fin dove i primi arrivarono, e anche più oltre nel Signor nostro”. Dalla testimonianza di molti compagni che vivono con i poveri, noi sappiamo che esperienze di quel genere portano con sé – insieme alla dura lezione della povertà – i valori evangelici della celebrazione, della semplicità e dell’ospitalità che spesso caratterizzano la vita del povero. I superiori dovrebbero favorire tali esperienze e concedere il tempo necessario a coloro che desiderano farle.

[289] 16. b) La solidarietà con i poveri non può riguardare soltanto alcuni gesuiti: deve caratterizzare la nostra vita e i nostri ministeri. Qualunque sia la nostra missione, dobbiamo lavorare in essa a vantaggio dei poveri e per un mondo più giusto e fraterno. L’inserimento di nostre comunità in zone segnate dalla povertà e dall’emarginazione è una testimonianza particolare di amore per i poveri e per la povertà di Cristo. Grazie a Dio, il numero di queste comunità è cresciuto: al loro interno, i gesuiti servono senza risparmiarsi, lavorando con i poveri e vivendo come loro. I Provinciali continuino a promuovere simili comunità affinché, mantenendo un forte senso di appartenenza alla Provincia, siano manifestazione visibile della nostra opzione preferenziale per i poveri e contribuiscano, con lo scambio fraterno, a migliorare la sensibilità sociale della Provincia.

[290] 17. VI. Di frequente noi impieghiamo nel nostro apostolato mezzi e istituzioni che – anche ammesso che siano sempre adeguati al loro scopo apostolico – in se stessi non sono affatto poveri. E pertanto opportuno ricordare che efficacia apostolica e povertà apostolica sono due valori che devono essere tenuti in continua tensione tra loro, e ciò vale sia per gli individui che per le comunità e per le opere. Mantenere questo difficile equilibrio richiede discernimento costante e disponibilità ad abbandonare quei mezzi e quelle istituzioni che non risultano più “per il maggior servizio” di Dio.

La povertà come grazia

[291] 18. Per S. Ignazio la povertà materiale di un gesuita era una grazia e chiedeva di “amarla come una madre”, di chiamarla “gioiello” e “amata da Dio”. Noi dovremmo valutarla nella stessa maniera e desiderarla come una grazia, perché la grazia porta sempre gioia e pace, anche se per molti di noi spesso non è così, perché viviamo la povertà incoerentemente e, spesso, come un’imposizione. Decidiamoci invece di chiedergli, personalmente e come comunità, la grazia della povertà e la sapienza per viverla come un dono, e facciamolo “liberamente e con lo spirito aperto”, mettendo da parte le nostre paure, per avvicinarci a colui che “fa nuove tutte le cose”. Una povertà rinnovata avrà al tempo stesso l’effetto di rinnovare evangelicamente lo stile di vita della Compagnia. Vivere la povertà come una grazia, in un mondo egoista che manca di senso di responsabilità verso gli altri, ci porrà – pieni di gioia – con il Figlio e con coloro con i quali il Figlio ha scelto di stare, i poveri e i dimenticati della terra.

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