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La profezia di padre Dall’Oglio che ancora ci parla

Presentato il volume dedicato al gesuita fondatore della comunità monastica Deir Mar Musa, rapito in Siria il 29 luglio 2013

“Testimoni di amicizia e riconciliazione”: così la 36ma Congregazione ha chiamato quei gesuiti impegnati nelle terre di conflitto, ricordando esplicitamente padre Paolo Dall’Oglio, rapito in Siria il 29 luglio del 2013. Il messaggio della Compagnia di Gesù è stato ricordato da padre Camillo Ripamonti, direttore del Centro Astalli, nella conferenza di presentazione del libro “La profezia messa a tacere” (edizioni San Paolo), tenuta ieri, 29 maggio, presso la sala Assunta in via degli Astalli a Roma.

Dedicato proprio al gesuita fondatore della comunità monastica Deir Mar Musa, curato da Riccardo Cristiano, dell’Associazione Giornalisti Amici di padre Dall’Oglio, il volume mette in luce l’impegno sociale e dialogante di padre Paolo Dall’Oglio SJ. L’Associazione si propone di diffondere e difendere il messaggio di padre Paolo promuovendo iniziative di riflessione e di testimonianza sulla sua figura e sul suo percorso dialogico. Il testo è diviso in 3 sezioni che offrono contributi di giornalisti e studiosi che hanno conosciuto padre Paolo, intervallati da una parte centrale, curata da Stefano Femminis, che raggruppa alcuni dei suoi scritti sul magazine dei gesuiti, Popoli. La serata è stata introdotta da un breve saluto della sorella di padre Paolo, Immacolata. “Il libro trasuda affetto per Paolo”, ha detto. “Nonostante il silenzio assoluto e le evidenze continuiamo ad assumerci il rischio di sperare per lui. La verità è l’unica strada per la consapevolezza, anche dalle verità più indicibili si può poi guardare oltre”, ha aggiunto esprimendo un pensiero solidale alla famiglia di Giulio Regeni e vicinanza al dolore delle famiglie dei rapiti che non sono tornati a casa, dei ragazzi vittime di violenza, delle vittime della guerra.

“Sono sempre imbarazzato quando si parla della Compagnia di Gesù e si usano parole altisonanti come nuove vie, orizzonti, frontiere”, ha detto padre Federico Lombardi, che ha curato l’introduzione del testo. “Qualcuno però c’è per davvero e si impegna con dei rischi per la sua vita. Paolo è un esempio dello stare sulle frontiere: c’è una strada che porta a pagare con la vita il prezzo della missione. Paolo ha vissuto con coerenza la sua chiamata, il suo essere per il dialogo con tutta la vita”. Del confratello Lombardi ha sottolineato in particolare l’essere “in dialogo davanti a Dio. Paolo non parlava di dialogo interreligioso, ma di dialogo religioso. Il condividere la propria esperienza e cammino di fronte a Dio a livello spirituale profondo. Solo così si arriva alla sorgente che ci trae all’uno”. Un’esperienza che si inserisce in un filone che altri hanno già percorso, da Massignon, Charles de Foucault, Christian de Chergé e i monaci di Tibhirine… . Lombardi ha espresso anche qualche perplessità sul titolo “Per me la profezia non è stata messa a tacere, ma continua a parlare. Deir Mar Musa ha una sua durevolezza acquisita nella Chiesa e nel dialogo cristiano-musulmano”. Quanto al confratello di cui non si hanno notizia ormai da quasi quattro anni, padre Federico dice: “Lo sento molto presente come credente, dialogante con me e con noi. Una testimonianza che dura, con cui continuiamo a interloquire. L’incontro con lui è davanti a me, a noi, come dove, quando sarà”.

Alla tavola rotonda hanno partecipato, oltre all’autore, anche Gian Maria Piccinelli, dell’università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli, che ha ricordato che da giovanissimo aveva seguito “Paolo, allora era ancora diacono, che guidava un gruppo giovanile di educazione alla mondialità che si chiamava “della strada”, in riferimento alla madonna venerata nella chiesa del Gesù”. Vittorio Trapani, dell’Usigrai,  ha lanciato la proposta di “continuare a non spegnere la luce e dedicare il prossimo 29 luglio, quarto anniversario del rapimento, una prima serata sulla Rai a tutti i costruttori di ponti”. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty international, ha ricordato come, nonostante tante atrocità, in Siria ci sia ancora del bene: “Negli attivisti non violenti, nei soccorritori, nei giornalisti, nei difensori dei diritti umani”. Soffermandosi sulla scelta di Paolo, di impegnarsi nella difesa dei diritti umani, Noury ha ricordato come il gesuita, inascoltato, avesse previsto, già nel 2011, che l’unica soluzione allora possibile per la Siria “sarebbe stata una presenza internazionale di una forza di interposizione di pace”.

Durante la conferenza sono state raccolte firme per la campagna “Ero straniero l’umanità che fa bene”, che ha tra i suoi promotori il Centro Astalli.

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