L’Amazzonia, il Sinodo e noi
Il Sinodo speciale dei Vescovi del prossimo ottobre sarà sull’Amazzonia, una regione con molteplici problematiche – come è stato drammaticamente evidenziato dagli incendi di queste settimane -, ma anche un paradigma di applicazione dell’ecologia integrale. L’editoriale di Aggiornamenti Sociali a firma del direttore, padre Giacomo Costa, su un evento che può offrire ispirazione anche per altri contesti, come quello mediterraneo.
Un nuovo appuntamento sinodale attende la Chiesa: dal 6 al 27 ottobre si svolgerà l’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica. I devastanti roghi di queste settimane, e la conseguente attenzione mediatica su una regione spesso dimenticata, hanno reso meno difficile capire perché il presente e il futuro dell’Amazzonia ci riguardano. Resta però importante riflettere sui motivi per cui questo evento coinvolge tutti i credenti (e non solo loro), anche quelli di Paesi e Chiese molto lontani.
«Occuparci del Sinodo per l’Amazzonia – scrive nell’editoriale del nuovo numero il direttore di Aggiornamenti Sociali, padre Giacomo Costa, che è anche Consultore della Segreteria dello stesso Sinodo – non è una fuga esotica dai nostri problemi locali. (…) Questo Sinodo è un esperimento, il primo probabilmente, di articolazione tra la dimensione locale e quella globale all’interno del paradigma dell’ecologia integrale. L’attenzione a legami e connessioni permette di cogliere ciò che fa dell’Amazzonia una unità peculiare, al di là delle frontiere che la percorrono, e obbliga a non dimenticare ciò che la collega al resto del pianeta». In questo senso, «sebbene applicare altrove proposte e soluzioni elaborate per il contesto amazzonico sarebbe un cortocircuito, resta vero che tutti abbiamo da imparare che cosa significa affrontare problemi peculiari di un territorio con un metodo sinodale».
Dopo avere passato rapidamente in rassegna alcuni tratti caratteristici del “bioma amazzonico”, definizione che esprime la complessità di questa regione dal punto di vista geografico, antropico e ambientale, l’editoriale si sofferma sull’importanza di porsi «in ascolto dei popoli indigeni, liberandoci da molti retaggi, (…) dal mito del “buon selvaggio” alla dialettica tra arretratezza e modernità. Le culture amazzoniche sono tutt’altro: una civiltà articolata e viva, che da secoli si confronta con la sfida della modernità e della colonizzazione, e continua a fare i conti con conflitti e contraddizioni interni ed esterni».
Solo questo atteggiamento di ascolto contentirà, durante e dopo il Sinodo, di comprendere meglio un concetto chiave, quello del “buen vivir”, ovvero «un modo di vivere che affonda le radici nelle tradizioni indigene e fa riferimento non a una dottrina compiuta, ma a pratiche di creazione di relazione tra le persone e i gruppi attraverso il legame con il territorio». Il buen vivir – precisa padre Costa – «non è una condizione idilliaca data una volta per tutte, ma un cammino tanto concreto quanto fragile».
Per noi occidentali, questo ascolto potrebbe e dovrebbe generare «un interrogativo radicale sulla definizione di “vita buona” alla base del nostro modello di progresso». Occorre infatti «abituarsi a vedere la realtà da più punti di vista e accettare di essere messi in discussione da quelli degli altri, non per assumerli supinamente – il complesso di colpa dell’Occidente –, ma per esserne stimolati e a nostra volta stimolarli. Sono legittimi quei rilievi che segnalano limiti e debiti ideologici in certe argomentazioni e letture dei fenomeni sociali ed economici che provengono dai contesti latinoamericani, ma a condizione che accettiamo di lasciarci dire che, visto dalla loro prospettiva, il nostro ideale di “vita buona”, anche nella sua versione migliore, è intriso di materialismo, che la nostra cultura, anche ecclesiale, trasuda non solo secolarizzazione, ma secolarismo, e fatica a lasciare uno spazio riconoscibile per la trascendenza».
Risulta allora chiaro come il Sinodo del prossimo ottobre possa e debba coinvolgerci molto più di quanto pensiamo. E se è evidente, conclude Costa, che «le soluzioni a cui il percorso sinodale giungerà difficilmente risulteranno appropriate ad altri contesti», tuttavia l’approccio richiesto dal Sinodo, il suo appello a mettersi in ascolto di una pluralità di prospettive potrebbe risultare prezioso anche per altri contesti. «È il caso del Mediterraneo – suggerisce Costa -, che ha molte analogie e altrettante differenze rispetto all’Amazzonia. (…) Davvero non riusciamo a guardare al Mediterraneo da prospettive alternative, capaci di farci superare le contraddizioni in cui continuiamo a inciampare e i problemi a cui non riusciamo a dare soluzione? (…) Perché non sognare anche un Sinodo mediterraneo, senza con questo scaricare sul Papa l’onere di assumere tutte le iniziative? I nuovi cammini dell’ecologia integrale riguardano l’Amazzonia, ma non solo».
Qui il testo completo dell’editoriale