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“Non ci vergogniamo di aiutare, siamo uomini e donne con senso di responsabilità”

Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, ha presentato il Rapporto Annuale 2018, questa mattina, a Roma, al teatro Argentina. L’integrazione dei rifugiati resta la sfida più urgente da affrontare. In aumento le difficoltà di accesso alla protezione per chi chiede asilo. Alla conferenza intervenuti p. Fabio Baggio, Monica Maggioni, Marco Damilano

“Non siamo poveracci che aiutano dei poveri, siamo uomini e donne che con senso di responsabilità civile non vogliono smarrire il proprio senso di umanità, perché credono nella dignità della persona e si impegnano a restituirla a coloro ai quali è stata tolta, con solidarietà, secondo il sentire della nostra Costituzione”: ha concluso così il suo intervento, oggi, a Roma, padre Camillo Ripamonti,presidente del Centro Astalli, in occasione della presentazione del Rapporto annuale del servizio dei gesuiti per i rifugiati e richiedenti asilo.

Il primo a parlare è stato Moussa, 27 anni, rifugiato, dal Mali. Si è voluto infatti aprire con la storia di questo ragazzo, perché la comunicazione “deve ripartire dalle storie, da dati seri, dai contesti: ci è dato di vivere la grande storia che non può essere raccontata con i codici della cronachetta”.

Nel salone del teatro Argentina, – al tavolo dei relatori moderati dal direttore dell’Espresso Marco Damilano – Monica Maggioni, la presidente della Rai, mette il dito nella piaga: “Una cosa raccontata in un certo modo o in un altro determina la realtà” ed è capace di mettere in discussione “la tenuta degli stati, di orientare le scelte politiche, il sentire delle persone”. L’informazione va gestita non mettendo ultimi contro ultimi – “è lo strumento più semplice per strumentalizzare la rabbia delle persone” – ma raccontando la complessità di una situazione che riguarda tutti e tutti chiama in causa.

Una promessa di impegno da parte del servizio pubblico, dunque, in un tempo in cui la falsa emergenza create dall’informazione ha finito per aiutare la costruzione di quei muri che oggi dividono sempre più: “Dall’anno 2000 circa 10.000 km di cemento e filo spinato sono stati utilizzati per dividere popoli e nazioni con investimenti di milioni di euro”, dice nel suo intervento il presidente di Astalli, padre Camillo Ripamonti. “Le indicazioni che papa Francesco ha consegnato nel messaggio per la Giornata del Migrante e del Rifugiato 2018, riassunte da quattro azioni – accogliere, proteggere, promuovere e integrare – sono determinanti in un momento storico in cui si torna a confidare nei muri di separazione e a costruirne, piuttosto che credere nella forza generativa del dialogo e dell’incontro”.

I dati dicono che nel mondo sono oltre 65 milioni i richiedenti asilo e i rifugiati, il trend è rallentato, così come gli arrivi in Europa: 171.000, meno della metà di quelli del 2016 che furono 362.753. In Italia al 31 dicembre 2017 erano 119.369.

 

Il Centro Astalli, nelle sue diverse sedi territoriali (Catania, Palermo, Grumo Nevano-Napoli, Vicenza, Padova e Trento) ha risposto ai bisogni di circa 30mila persone, 14mila delle quali a Roma. Le strutture di accoglienza con diverse modalità hanno ospitato circa 900 persone, di cui circa 300 a Roma. I volontari coinvolti nei diversi servizi sono stati 687, 20 i giovani impegnati nel servizio civile e oltre 100 sono ormai gli operatori professionali in tutto il territorio.

“Preoccupati del crescente clima di intolleranza, più che in passato abbiamo curato i giovani studenti e la loro formazione”, dice Ripamonti. I progetti nelle scuole, infatti, hanno raggiunto 28.335 studenti, con un incremento del 7% rispetto al 2016 che già aveva visto un incremento di oltre il 10% rispetto all’anno precedente. “È questo il segno di un bisogno da parte di insegnanti e studenti di conoscere e informarsi su ciò che sentono essere parte del loro presente e del futuro e di imparare un modo critico di affrontare il fenomeno migratorio”.

Rispetto alle politiche in atto, il gesuita ricorda che “la profonda contrarietà espressa lo scorso anno all’accordo con la Turchia che impedisce, di fatto, l’accesso in Europa soprattutto ai siriani in fuga da una guerra che dura ormai da 7 anni”, viene estesa a quello con la Libia, stipulato a luglio 2017. “Quello che viene salutato come un successo, la riduzione degli arrivi in Europa, è per noi una grande sconfitta dell’Italia e dell’Europa intera, perché il prezzo che viene pagato in termini di violenza sulle persone è inimmaginabile, come viene confermato dalla notizia che la Corte penale dell’Aja sta indagando per crimini internazionali perpetrati contro i migranti in Libia”.

“C’è l’esigenza di una governance globale delle migrazioni. Le politiche degli Stati non devono chiudere le porte ai migranti ma permettere flussi regolari d’ingresso. Altrimenti facciamo il gioco dei trafficanti, degli aguzzini della tratta e degli speculatori di sogni”: ha aggiunto nel suo intervento padre Fabio Baggio, sotto-segretario della Sezione Migranti & Rifugiati del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale.

Quanto al sistema di accoglienza in Italia, secondo Ripamonenti “nonostante l’aumentata capienza c’è ancora un numero crescente di persone che restano escluse e vivono in strada”. La qualità degli standard di accoglienza, inoltre, non è “né uniforme né soddisfacente”. Emergono poi maggiori difficoltà di accesso a qualche forma di protezione internazionale. I Centri di accoglienza straordinaria (Cas) restano oggi “la soluzione prevalente – evidenzia il rapporto -, mentre la rete Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), sia pure in crescita, a luglio 2017 copriva poco meno del 15% dei circa 205.000 posti disponibili”. Nonostante il tentativo di razionalizzare e aumentare il numero dei posti disponibili incentivando i Comuni ad aderire alla rete Sprar, di fatto “la situazione su molti territori non è in linea con quanto previsto” e il passaggio tra la prima e la seconda accoglienza avviene “con forte ritardo e per un numero limitato di persone, penalizzando la qualità dei percorsi di integrazione”. Le persone che abbandonano i centri o che hanno ricevuto un revoca delle misure d’accoglienza sono una grossa preoccupazione per il Centro Astalli. Molti di loro finiscono in strada o in soluzioni abitative precarie. Molti richiedenti asilo, denuncia il Centro Astalli, “restano tagliati fuori da ogni forma di accompagnamento e di supporto, materiale e legale. Non è raro il caso in cui anche la procedura d’asilo risulta sospesa e compromessa, aggravando le loro condizioni di precarietà”. Una presenza che, a parte i rari momenti di visibilità mediatica, risulta “ignota non soltanto alle istituzioni ma anche agli enti di tutela”. A Roma l’inclusione dei richiedenti asilo e rifugiati è diventata ancora “più difficoltosa” a causa di una delibera comunale che impedisce ad enti come il Centro Astalli di rilasciare il proprio indirizzo come residenza anagrafica. Nel corso del 2017 i migranti che si sono rivolti alle associazioni e ai servizi del Centro Astalli sono stati 30.000, di cui 14.000 a Roma. 59.908 pasti sono stati distribuiti nelle mense e 1.089 persone accolte nei centri d’accoglienza, di cui a Roma: 255 nei centri Sprar e 161 nelle comunità di ospitalità.

Proprio la situazione di grande precarietà incide sullo stato di salute dei migranti. Non sono i migranti che portano le malattie, dice padre Camillo, perché in genere chi arriva è giovane e ha un buono stato di salute, ma è la situazione di marginalità e di povertà che favorisce l’insorgere di patologie e ha ripercussioni importanti sulla loro salute. “Lo testimoniano molti medici e farmacisti volontari ad Astalli, che prestano con dedizione e competenza il loro servizio a chi, il più delle volte vive per strada”. Quasi 2.700 le visite nel 2017. Dai dati emerge che in questo servizio la nazionalità maggiormente rappresentata è quella afgana.

Un altro dato preoccupante nel corso del 2017 è stato l’aumento del numero di persone traumatizzate dal viaggio e soprattutto dalla detenzione nei centri in Libia. “In questa prospettiva abbiamo accolto con favore la pubblicazione nel corso del 2017 delle Linee guida per il riconoscimento e la presa in carico di vittime di violenza intenzionale e di tortura il cui “obiettivo prioritario è quello di tutelare il richiedente protezione internazionale in condizioni di particolare vulnerabilità…affinché le vittime di eventi altamente traumatici possano effettivamente accedere alle procedure previste dalla norma e la loro condizione possa essere adeguatamente tutelata. Tali eventi traumatici avvengono lungo il percorso migratorio soprattutto per le donne e hanno una profonda influenza sulle condizioni psicofisiche dei richiedenti asilo.

Tra i segnali positivi si segnala il fatto che dei 220 colloqui effettuati a nuovi volontari, quasi il 50 per cento ha riguardato giovani di meno di 30 anni e circa il 30 per cento persone provenienti dall’estero, alcune delle quali con una storia di migrazione. “Anche da questi segnali avvertiamo che, nonostante vi siano allarmanti tendenze alla chiusura e alla xenofobia, in Italia e in Europa molti continuano ad avvertire l’urgenza di impegnarsi per la solidarietà e i diritti umani”. Inoltre sono state oltre 90mila le firme raccolte nell’ambito della campagna “Ero straniero. L’umanità che fa bene”, promossa dal Centro Astalli insieme a molte altre organizzazioni impegnate per l’accoglienza e l’integrazione. “Un nuovo approccio alle migrazioni che valorizzi percorsi legali di integrazione, al di là degli slogan violenti e ideologici che hanno purtroppo caratterizzato anche la recente campagna elettorale, è ormai avvertito da molti come una necessità non rimandabile”.

Infine Ripamonti ribadisce l’importanza del lavoro nelle scuole. Nell’ambito dei due progetti nelle scuole, Finestre e Incontri, come anche nei numerosi incontri pubblici, conferenze e convegni che il Centro Astalli ha promosso e a cui ha avuto occasione di partecipare, “la prima urgenza è stata quella di restituire la parola ai rifugiati stessi, di cui sempre più spesso si parla ma che sempre più raramente vengono ascoltati”.

La conclusione è dedicata ai tanti volontari che si sono impegnati: “Hanno condiviso con noi i nostri ideali con coraggio e anche non curanti di molti attacchi che nel corso del 2017 sono stati scagliati contro le organizzazioni umanitarie. Occuparsi con umanità dei migranti in alcuni momenti è stato considerato un atteggiamento di cui vergognarsi, aiutare è diventato sinonimo di malaffare e in alcuni frangenti ad alcune persone è stato imputato come reato. Non dobbiamo vergognarci di quanto abbiamo fatto e di quanto facciamo ogni giorno per i nostri fratelli e sorelle migranti”.

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