Paolo VI e Oscar Romero, i primi «martiri del Concilio»
Il 14 ottobre 2018 papa Francesco proclamerà santi papa Paolo VI e monsignor Oscar Romero, l’arcivescovo di San Salvador, difensore dei campesinos, ucciso sull’altare il 24 marzo 1980 dagli squadroni della morte (con loro verranno canonizzati anche due sacerdoti, due religiose e un laico). Nell’editoriale del numero di ottobre di Aggiornamenti Sociali, il direttore emerito padre Bartolomeo Sorge SJ evidenzia le ragioni di questa scelta, facendo appello anche ai propri ricordi personali.
La doppia, contemporanea canonizzazione, scrive padre Sorge, «riveste un significato eccezionale: in una certa misura, essa viene a confermare che lo stesso Concilio Vaticano II fu un evento straordinario di santità, una nuova Pentecoste, come disse Giovanni XXIII. Infatti, dopo la canonizzazione nel 2014 di papa Roncalli, ispiratore, iniziatore e guida del Concilio nella prima fase, papa Francesco proclama santo anche papa Montini, che portò a compimento il Concilio. (…). La canonizzazione contemporanea di Paolo VI e di mons. Romero sottolinea l’importanza della interpretazione sapienziale e profetica del Concilio Vaticano II, sulla quale entrambi hanno fondato il loro servizio ministeriale».
Con riferimento a Paolo VI, padre Sorge – che ebbe modo di conoscere il pontefice bresciano negli anni in cui era direttore della rivista La Civiltà Cattolica – ricorda che Montini, nel momento in cui si trattò di tradurre in pratica gli orientamenti conciliari, «scelse volutamente la via delle riforme», pur sapendo che, «a motivo di questa scelta, si sarebbe trasformato in segno di contraddizione e sarebbe andato incontro a un pontificato crocifisso». Ciononostante, «ispirandosi costantemente all’ermeneutica sapienziale e profetica dei testi conciliari, proseguì imperterrito sulla via delle riforme». Padre Sorge ne ricorda sinteticamente alcune: dal rinnovamento liturgico all’impulso alla collegialità, dal maggiore spazio dato ai laici allo slancio ecumenico, per arrivare al complessivo ripensamento dei rapporti tra la Chiesa e il mondo moderno, in particolare nell’ambito dell’impegno politico dei laici.
Secondo il direttore emerito di Aggiornamenti Sociali, «a causa del suo carattere riservato, Paolo VI avvertì in forma più acuta la sofferenza che gli causarono i numerosi casi di “dissenso ecclesiale”, la ribellione e lo scisma di mons. Lefebvre, gli attacchi che da ogni parte gli piovvero addosso dopo l’enciclica Humanae vitae (1968): i conservatori lo accusavano di cedere ai fermenti innovatori, i progressisti invece di “tradire il Concilio” e di procedere con passo troppo lento ed esitante sulla via delle riforme». Il gesuita ricorda l’ultimo incontro avuto con Montini l’anno prima della sua morte: «Lo trovai diverso. Non era più lui. Il suo volto affaticato mi apparve velato da un sottile strato di tristezza, come se la crisi della Chiesa gli fosse sfuggita di mano. Era il volto del primo martire incruento del Concilio».
Padre Sorge prosegue affermando che, dopo la breve parentesi del pontificato di papa Luciani, «i grandi e santi pontefici Giovanni Paolo II e Benedetto XVI proseguirono con decisione il rinnovamento nei rapporti ad extra tra la Chiesa e il mondo, però, per quanto riguarda l’”aggiornamento” interno della vita ecclesiale, si preoccuparono più di salvaguardarne la continuità con il passato (la tradizione) che di aprirsi alle nuove prospettive indicate dal Concilio».
Anche in questo periodo, scrive il gesuita, vi furono però non poche figure profetiche le quali, «fedeli allo spirito e alla lettera del Concilio e andando controcorrente, ne mantennero viva la interpretazione sapienziale. Oggi vediamo papa Francesco andare in pellegrinaggio a venerare uno per uno questi profeti del Concilio!».
Tra questi vi è indubbiamente Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, che l’autore dell’editoriale ebbe modo di conoscere bene durante i lavori della III Conferenza generale dell’Episcopato Latinoamericano, nel 1979. L’editoriale riporta di fatto la testimonianza personale e riservata di padre Sorge, consegnata al postulatore della causa, mons. Vincenzo Paglia, in data 3 settembre 2003. «Giungendo a Puebla – scrive tra l’altro padre Sorge -, portavo con me il pregiudizio, molto diffuso negli ambienti romani, secondo cui mons. Romero era una “testa calda”, un vescovo “politicante”, favorevole alla teologia della liberazione. Fin dai primi incontri potei scoprire un uomo completamente diverso dall’immagine che me ne ero fatta a Roma. Mi colpirono subito l’umiltà sincera del tratto, lo straordinario spirito di preghiera, la indiscussa fedeltà al Vangelo e alla Chiesa, soprattutto il grande amore per i poveri».
In conclusione, scrive padre Bartolomeo Sorge, «è evidente che papa Francesco, canonizzando mons. Romero insieme a Paolo VI, intende mettere in luce e premiare l’amore e la fedeltà alla Chiesa e al Concilio Vaticano II non solo dei primi due “martiri del Concilio”, ma anche di tutti gli altri – noti e meno noti -, per lo più ridotti al silenzio».
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