Spagna. In Cammino con Giacobbe verso Santiago de Compostela
260 km in 10 giorni, dislivelli giornalieri di oltre 1000 metri, campi di grano, terra rossa, pievi sperdute, castelli templari, contadini e mucche, leggende e simboli, notte in un parco pubblico, pellegrini estranei e infiniti,… ma soprattutto il cammino, uguale e sempre nuovo, il cammino che è sofferenza e scuola, piacere e comunione, preghiera. Il cammino che rivela la vita. Questa è stata a inizio agosto l’esperienza dei 42 partecipanti al “Cammino di Santiago 2012” che quest’anno contava anche la presenza di sei gesuiti: cinque italiani (Sunda, Hernandez, Viano, Collura, Simone) e un portoghese (Francisco Campos).
Rispetto ad altri anni, la “cura personalis” è stata giocata appieno. Proprio perché in fondo “non c’è niente da vedere se non dove metti i piedi,” il Cammino è l’opposto di qualunque iniziativa di turismo religioso. L’unica cosa da vedere sei te stesso. E prima o poi, in una tappa o in un rifugio, in una chiacchierata o sotto le stelle, lo vedi. Ti vedi. È un cammino di alta valenza vocazionale, ma anche molto adatto per i diversi non credenti che hanno partecipato quest’anno. È un cammino fisico, di unificazione. È davvero la “preghiera del corpo”.
In questa edizione, il “compagno di strada”, oltre al pellegrino Gesù, è stato il patriarca da cui San Giacomo stesso prende nome: Giacobbe. Con lui abbiamo dormito all’aperto, con lui abbiamo attraversato i torrenti, con lui abbiamo lottato, abbracciato, temuto, consegnato tutti i nostri inganni. Ogni giorno salmo, spunti, silenzio, ri-spunti, ri-preghiera, condivisione, istruzione, ri-condivisione, messa,… Si può dire che sono stati “esercizi spirituali itineranti”, per “vincere se stessi” (di vescica in vescica) e “mettere ordine nella propria vita” (lasciando tutto il superfluo).