Israele. Un albero dalle radici profonde, memoria condivisa di Carlo Maria Martini
Un viaggio particolare quello che si è svolto dal 9 al 19 giugno in Israele, al quale hanno preso parte cristiani ed ebrei per ricordare il cardinale Carlo Maria Martini, i 65 anni dello Stato di Israele e i 50 anni di dialogo ebraico-cristiano nato dal Concilio Vaticano II. Un viaggio che ha cercato di tenere insieme la memoria biblica e la storia recente, la visita di luoghi carichi di questa memoria e nei quali la lettura delle pagine bibliche risuona con particolare eloquenza. Cuore e, in certo modo, compimento del cammino fatto insieme è stato il momento vissuto domenica 16 giugno, sulla collina di Givat Avnì, non lontano da Tiberiade: è il sito dove è stato deciso di ospitare la foresta dedicata alla memoria del Cardinale Martini. Siamo lì per inaugurarla piantando i primi cinque alberi.
Un luogo brullo e battuto dal vento, affacciato su un declivio terroso digradante verso valle. Occorre immaginarlo quando sarà popolato da un bosco di 5000 alberi: Givat Avnì si presenta ai miei occhi come uno di quei luoghi che avrebbe dato a Pasolini nei suoi Sopralluoghi in Palestina (1963) una decisiva “lezione di umiltà”, la comprensione – ricorda lui stesso – che tutta la vita di Gesù “sta dentro in un pugno”. Raccolti sotto un tendone che ci ripara dal sole ma non dal vento robusto che modella i volti e i vestiti, ascoltiamo in semplicità e solennità i diversi interventi che ricordano e rendono presente il Card. Martini e il senso del nostro essere lì raccolti dalla sua memoria viva. “Un uomo che non ha mai abbandonato i propri amici – ricorda Rafi Sasson del KKL-Italia (Fondo Nazionale Ebraico) – una vita, la sua, spesa per l’incontro con gli altri, per comprenderli”.
“Che cosa avrebbe pensato Carlo Maria Martini di questo giorno?”, si chiede, e ci chiede, Vittorio Bendaud, stretto collaboratore di Rav Laras (che in queste ore e in questo luogo sentiamo particolarmente vicino e presente). “Schivo com’era sarebbe probabilmente in imbarazzo ma noi, prosegue Vittorio, dobbiamo ricordarlo non solo come grande intellettuale e uomo di Chiesa, ma soprattutto come uomo di Dio, amante della Bibbia e quindi di Israele”.
“Il legame tra uomo e albero nelle pagine del Talmud è esplicito, ricorda Rav Elia Richetti – che ha accompagnato tutto il viaggio – in particolare, l’albero è decisiva presenza simbolica nel passaggio da una generazione all’altra, come segno della convivenza possibile”.
Esprime “vivo compiacimento” anche il Papa Francesco per questa “nuova pagina di amicizia tra ebrei e cristiani”. Lo fa attraverso il Card. Coccopalmerio, il quale ricorda anche come Martini incoraggiava questa amicizia con argomentazioni teologiche: “occorre superare la “teologia della sostituzione” – ci esortava – e tornare a sperimentare Israele come la radice santa su cui la Chiesa è impiantata”.
Mons. Gianantonio Borgonovo porta il saluto del Card. Scola e sottolinea: “Una della ragioni per fare festa è che siamo in un luogo altamente simbolico per gli Ebrei, dove sorse una comunità dopo la distruzione di Gerusalemme e il folle tentativo dell’Imperatore Adriano di distruggere ogni traccia degli Ebrei”. Inoltre, ricorda l’impegno della “Veneranda Fabrica” del Duomo di Milano per colmare quello che manca al raggiungimento dei 5000 alberi.
Anche il Padre Generale ha mandato un suo saluto e una breve riflessione che viene riportata integralmente:
«Cari amici,
desidero che, attraverso di me e attraverso le mie parole, possa giungere a ciascuno di voi il ringraziamento e il saluto di tutta la Compagnia di Gesù. La memoria di Padre Carlo Maria Martini è benedizione che porta con sé frutti di vita e di speranza.
Piantare una foresta, tappa culmine del vostro viaggio, significa rendere visibile la fecondità di questa benedizione, come ricorda il profeta Geremia: “Benedetto l’uomo che confida in IHWH e IHWH è la sua fiducia. Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, verso la corrente stende le sue radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell’anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti” (Ger 17, 7-8).
Allo stesso tempo, la benedizione dice la cura di Dio, la sua premura verso la terra, le creature, gli uomini, la vita. “E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”: il prezioso suggerimento che la volpe sussurra al Piccolo Principe, ci aiuta a cogliere anzitutto la cura del Signore verso la vita di ognuna delle sue creature.
L’albero è presenza familiare e simbolo forte in tante pagine bibliche:. Tra i tanti alberi presenti nelle Scritture ne voglio ricordare due: l’albero di Mamre sotto cui Abramo ospita i tre misteriosi viandanti, prendendosi cura di loro – stranieri e “lontani” – e prodigandosi per il loro conforto e il loro riposo. Il secondo albero, è quello che nasce dal granellino di senapa, nella visione ricca di futuro e di abbondanza che Gesù offre in una delle cosiddette “parabole del Regno”: “Il regno dei Cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi, una volta cresciuto, è il più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano tra i suoi rami” (Mt 13, 31-32). Anche qui l’albero dice accoglienza, cura, ospitalità generosa, possibilità di vita per gli uccelli che vi trovano conforto per costruire il proprio nido.
L’amore e la predilezione di Padre Martini per questa terra così particolare e unica aveva l’eco di questa cura, del senso di responsabilità che si riassumeva nella passione per Gerusalemme, luogo che raccoglieva in sintesi, nella sua sensibilità, tutte le domande più profonde degli uomini e delle donne di ogni tempo.
Facciamo nostro questo invito alla cura, all’accoglienza di chi è lontano e straniero, e anzitutto dell’altro che abita la stessa terra da sempre, alla responsabilità per cammini di pace: piantare una foresta in onore di Carlo Maria Martini significa anzitutto questo. Senza fare la pace con Esaù, il fratello simile e dissimile, anche Giacobbe non può trovare pace.
Grazie a tutti voi che avete voluto condividere il cammino di questo viaggio. Ringrazio in particolare Rav Giuseppe Laras promotore principale dell’iniziativa, legato al Cardinale Martini da sincera amicizia; i Cardinali Scola, Tettamanzi e Coccopalmerio che l’hanno sostenuta dai suoi inizi; ringrazio Mons. Gino Battaglia, direttore dell’Ufficio Ecumenismo e Dialogo della CEI e i familiari del Cardinale, in particolare la sorella Maris; il Keren Kayemeth Le-Israel (KKL), il Fondo Nazionale Ebraico e le autorità della Comunità Ebraica che hanno voluto accompagnare il viaggio.
Su tutti scenda la pace e la benedizione del Signore,
P. Adolfo Nicolas SJ
Superiore Generale
Roma, 4 giugno 2013»
Maris Martini, sorella di Carlo Maria, e suo figlio Giovanni, chiudono la sequenza di testimonianze e riflessioni con parole semplici che, nel suo cuore, ognuno di noi presenti a Givat Avnì avrebbe voluto ascoltare: “Se fosse qui, Carlo Maria Martini direbbe che questi alberi così piccoli non devono far paura: sapranno crescere”.
Il caldo, la polvere della terra secca, il vento. Soprattutto il vento forte, le sue folate decise. Mi torna alla mente il vento costante che il giorno dei funerali di Papa Giovanni Paolo II rotava vorticosamente le pagine del Vangelo deposto sulla bara e scolpiva le casule rosse dei celebranti. Anche il cardinale Martini, quando morì, fu ricordato sui giornali con una foto che lo ritraeva proprio quel giorno a San Pietro, i suoi abiti mossi dal vento. Quel vento, lo stesso vento, che “soffia dove vuole e ne senti la voce ma non sai da dove viene né dove va” (Gv 3, 8).