Magis. Padre Livraghi e la tragedia della Repubblica Centrafricana
Il popolo della Repubblica Centrafricana è un popolo in fuga alla ricerca della pace. Vige un silenzio complice di chi non ne vuole sentire parlare per non turbare le coscienza o punta all’accaparramento delle risorse… Realtà inquietante perché, in quel paese, si sta profilando un genocidio, come ha sostenuto il Commissario Europeo agli Affari Umanitari, Kristalina Georgieva, in visita a Banguì per incontrare la Presidente ad interim Catherine Samba-Panza. “Il rischio che il Centrafrica diventi un nuovo Ruanda è reale”. Una tragedia per lo più ignorata dai grandi mezzi di comunicazione, ma che non può passare sotto silenzio. Le milizie Seleka e Antibalaka continuano a dar vita a vere e proprie vendette di sangue per antichi e recenti torti subiti.
Così scrive Padre Dorino Livraghi SJ, missionario italiano dalla residenza dei gesuiti di Banguì:
“Qui le informazioni non sono per nulla affidabili, tuttavia ciò che è sicuro sono le raffiche di mitra che spesso, giorno e notte, risuonano nei quartieri, anche molto vicino a noi. Due volte, di primo mattino, abbiamo visto arrivare una folla dalla città, che ha deposto dei cadaveri di persone uccise nei quartieri davanti alla “Primature”, la residenza del Primo Ministro che è dall’altra parte della strada. E’ impressionante toccare con mano quanto in basso l’uomo può precipitare, quando si lascia impregnare dall’odio, dallo spirito di vendetta o dal disprezzo (religioso) dell’altro. Tutti, anche quelli che sono di un’altra razza, che praticano un’altra religione, che ci fanno del male, sono fratelli e sorelle nostri, tutti sono da amare e da servire. Ma ci vuole una grossa spinta dello Spirito Santo, per entrare in questa prospettiva, soprattutto quando la tua casa è stata sfasciata da coloro che ti stanno di fronte, che delle persone care sono state massacrate…”
L’obiettivo dei ribelli è quello di rovesciare l’attuale governo e imporre un regime di impronta islamica; la situazione è molto simile a quella del Mali, ma il Centrafrica non sembra allarmare il mondo allo stesso modo. Mentre il governo e le forze internazionali autorizzate dall’Onu si rilanciano la palla tra loro, il popolo continua a morire ogni giorno sotto i colpi dei boia. Così i vescovi, in un messaggio della Conferenza episcopale, chiedono interventi urgenti in materia di sicurezza, protezione dei cittadini, aiuti agli sfollati e difesa delle risorse naturali. “Gli assassinii e gli abusi sono compiuti nella totale impunità” aggiungendo che “la Repubblica Centrafricana è divenuta una grande prigione a cielo aperto dove la libertà di movimento è negata, proprio come la libertà di parola”. Nel disinteresse della comunità internazionale, la crisi dimenticata ha già provocato la morte di più di duemila persone, continuano ad aggravarsi le condizioni di vita di circa 850.000 sfollati interni, mentre i centrafricani fuggiti oltreconfine in Camerun, e in Ciad sono ormai più di 300.000. In tanti muoiono di fame durante la fuga. Un quarto di loro sono bambini con meno di 4 anni.
In questa realtà i segni di collaborazione non mancano. I cristiani vogliono impedire la fuga in massa dei musulmani e contrastare la spaccatura del Paese con un Nord musulmano e un Sud cristiano. «Abbiamo aperto – ha risposto monsignor Diedonné Nzapalainga – le nostre chiese, a Berberati, a Carnot, a Baoro, a Bangui, un po’ in tutto il Paese, li abbiamo ospitati nelle nostre case per garantire la loro sicurezza. A Boalì i cristiani portavano acqua e cibo ai musulmani sfollati e in fuga dalle persecuzioni. E loro ringraziavano. Io li ho invitati a restare insieme a noi, nello spirito di convivenza pacifica che ha sempre caratterizzato il nostro Paese. Quando è passato il camion però molti se ne sono andati lo stesso, avevano troppa paura. Perché la nostra gente resti qui e chi sta fuggendo ritorni, dobbiamo creare le condizioni, dirci la verità, raccontarci cos’è successo e chi si è reso colpevole di questi crimini. Solo così potremo guarire le ferite delle vittime. Come tenta di fare Be-Oko, la radio che da Bambari parla a cristiani e musulmani, lanciando messaggi di riconciliazione, tolleranza e convivenza pacifica. Originariamente cattolica, la radio è diventata multiconfessionale per volontà del vescovo, monsignor Eduard Mathos che ha chiesto a turno ai leader delle diverse confessioni religiose di prendere il microfono per evitare che le violenze in corso in altre parti del Paese si diffondano anche nella zona.
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