Roma. L’Africa spiegata ai gesuiti europei: una visita per aprire al futuro
Il Presidente dei gesuiti dell’Africa e Madagascar (JESAM), padre Michael Lewis, a fine maggio ha ospitato sei Superiori Maggiori europei, tra cui quello italiano, per “presentare una visione più integrale e umana” del continente africano (CG35, Decreto n. 3, n. 39). La testimonianza di padre Gianfranco Matarazzo
“Questo viaggio ci ha fatto intravvedere una prospettiva nuova, quella di un corpo apostolico unitario, dove le categorie tradizionali non sono più sufficienti e le opportunità tante”, dice padre Gianfranco Matarazzo, Provinciale di Italia e di Albania, tra i partecipanti alla visita organizzata dal 22 al 28 maggio scorso. La Compagnia, aggiunge Matarazzo, “è un corpo chiamato ad agire unitariamente (vision, programmi formativi, ecc.), in coerenza con quella dimensione internazionale che ha segnato il nostro carisma sin dall’inizio”.
I giorni trascorsi sono stati dedicati a una fase missionaria e poi quella delle organizzazioni internazionali (ONG, progetti, finanziamenti, ecc.). I Superiori, infatti, hanno visitato alcune opere dei gesuiti nella Provincia dell’Africa Orientale, la Regione del Rwanda-Burundi e la Provincia dell’Africa centrale. A Nairobi, in Kenya, hanno preso parte alle liturgie domenicali nella parrocchia dei gesuiti di Saint Joseph the Worker, a Kangemi, hanno poi visitato il centro di spiritualità di Mwangaza, e hanno visto le necessità dei rifugiati nel Campo rifugiati di Kakuma (JRS). Dal Kenya, il gruppo è volato a Kigali, in Ruanda, dove ha visitato il Christus Retreat Centre e la nuova Saint Ignatius School di Kibagabaga. I sei Superiori hanno viaggiato su strada fino al noviziato di Cyangugu e hanno oltrepassato la frontiera nella Repubblica Democratica del Congo per essere accolti all’Amani Retreat Centre di Bukavu. Da lì, sono andati alla cattedrale, hanno pregato davanti alla tomba del Vescovo Christophe Munzihirwa SJ, e hanno visitato la Cheche Vocational School e il College Alfajiri.
I sei Superiori hanno poi fatto ritorno in Europa dopo aver sperimentato, sebbene solo per qualche giorno, un altro modo di essere gesuiti. “Il lavoro dei gesuiti africani è notevole e trasversale, dai centri di ricerca ai collegi, dalle istituzioni accademiche ai campi dei rifugiati, dalla presenza nei quartieri poveri delle metropoli alla formazione nelle zone senza servizi essenziali: è un lavoro per dare dignità e speranza al popolo di quel continente, dimostrandone il notevole potenziale e offrendo un’alternativa seria alla migrazione”, commenta padre Matarazzo. “In ogni situazione ho sentito un anelito di vita prorompente, come nel campo rifugiati (oltre 200.000 persone) di Kakuma in Kenya, dove una bimba, vedendo la delegazione entrare, ci è corsa incontro e mi ha preso per mano. Ha 5 anni. E’ orfana. E’ sottoposta a un programma di protezione e di cammino psicologico”.