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Rifugiati, ai confini dell’umanità

Le preferenze apostoliche universali dei gesuiti

All’Università Gregoriana il dialogo tra Luciano Manicardi, priore della Comunità di Bose, Massimo Cacciari, filosofo, e Marco Damilano, direttore de L’Espresso, nel colloquio sulle migrazioni “Rifugiati: ai confini dell’umanità”, organizzato dal Centro Astalli.

«Celebrare la Giornata mondiale del Rifugiato per noi quest’anno significa soprattutto rendere omaggio alla ricchezza umana e alla complessità, significa saper guardare oltre quei muri, oltre il confine, mettendosi nei panni di chi il muro desidera attraversalo mantenendo la propria dignità umana»: così padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, il servizio dei gesuiti per i rifugiati,  ha introdotto, il 17 giugno,  presso l’Università Gregoriana, il dialogo tra Luciano Manicardi, priore della Comunità di Bose, Massimo Cacciari, filosofo, e Marco Damilano, direttore de L’Espresso, nel colloquio sulle migrazioni “Rifugiati: ai confini dell’umanità”.

«Trenta anni fa, in seguito alla caduta del muro di Berlino, avevamo sognato l’unità nella diversità e invece oggi vediamo ritornare sempre più perentoria la necessità di difendere i propri confini e la propria identità minacciati», dice Ripamonti.  «Non si conosce il numero esatto delle persone morte mentre cercavano di raggiungere Berlino ovest attraversando il muro, forse alcune centinaia. Si stima invece siano più di  30mila le persone che dal 1990 hanno perso vita cercando di raggiungere l’Europa via mare o via terra…il costo umano delle barriere in un’Unione Europea nata per abbatterle è decisamente inaccettabile». Un’Europa che è irrimediabilmente «vecchia e impaurita», dice Massimo Cacciari. E suo malgrado, «è destinata ad accogliere perché altrimenti scomparirà: sarà un processo lungo e probabilmente tragico, a meno che non si formi una classe dirigente, un élite qualificata, che comprende la necessità storica economica e sociale di accogliere e integrare». L’unica politica europea possibile per salvare il vecchio continente è «una politica mediterranea»,  capace di relazionarsi alla grande questione del prossimo secolo,  «l’Africa, con le sue enormi risorse» a livello di ricchezze e di giovani. «Le grandi culture che hanno fondato l’Europa», sostiene il filosofo, quella liberale, socialista, cristiana, «sono riuscite a sopravvivere ma devono fare una nuova narrazione sull’Europa», «una nuova intesa culturale e antropologica».

Anche le leggi dell’Antico Testamento elaborarono un “codice dei diritti del migrante”, nel quale «c’è prima di tutto una “cultura della memoria”, «“Non opprimere perché anche voi siete stati stranieri”, il Dio biblico si rivela agli Ebrei quando sono stranieri in Egitto», ricorda il priore di Bose, Luciano Manicardi. Nell’immigrato, aggiunge, il figlio di Israele vede l’immagine di sé, «lo straniero ti permette di vedere te stesso facendo di te uno straniero, e dandoti quindi una possibilità di rivelazione». Infine nelle leggi antiche si invocano misure concrete di integrazione, economiche sociali religiose, come per esempio l’estensione del riposo sabatico o il pagamento del giusto salario. «Al cuore del messaggio cristiano», spiega il priore di Bose, «non c’è qualcosa di religioso, ma di umano, la persona concreta con una storia, un volto e la sua sofferenza». Dalla narrazione evangelica cogliamo quindi  che il «farsi prossimo è prima di tutto un’azione su di sé».

 


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