P. Sosa: “Gerusalemme chiama”

Appello a gesuiti e laici per rispondere alla sofferenza con empatia, riconciliazione e impegno per la pace.
È appena rientrato da un pellegrinaggio a Gerusalemme e Betlemme. “Desideravo ascoltare le voci di chi soffre, condividere la tanta sofferenza, frutto della convinzione che l’altro non sia umano o meritevole di rispetto”. Storie di palestinesi, musulmani e cristiani, di terre confiscate, vite spezzate, checkpoint vissuti come strumenti di oppressione e la voce di un israeliano che ha perso la moglie negli attacchi del 7 ottobre. “È un disastro” sottolinea p. Victor Assouad, della Provincia del Vicino Oriente, con lui nel viaggio. “Non è possibile entrare in una logica di parte. Abbiamo due narrative. Questo il dilemma”. La testimonianza durante il tradizionale incontro riservato ai giornalisti, prima di Natale, in Curia ieri 11 dicembre.
Il pensiero va al cardinal Martini che nel 2003 scrisse: “Per superare l’idolo dell’odio e della violenza, è vitale ascoltare e comprendere il dolore degli altri”.
“Dove la Chiesa ha più bisogno della Compagnia di Gesù è proprio alle frontiere” sottolinea il Padre Generale. “La missione in Terra Santa è una frontiera. Questa frontiera ha bisogno di gesuiti disposti a imparare le lingue e le culture dei popoli, affinché possiamo compiere la nostra missione di riconciliazione e giustizia”.
La presenza accanto alle persone come possibilità di grande consolazione. “Che qualcuno vada per dire voglio sentirti cambia anche te stesso. Sedersi perché la persona possa aprire il suo cuore, sapendo che sarà accolta”. È il senso della lettera inviata oggi a tutta la Compagnia. Dar vita ad una sorta di Pronto Soccorso di ascolto. “Penso poi ai tanti che chiedono educazione per i loro bambini e, anche in questa situazione, continuano a guardare al futuro”. L’invito è anche per i laici: “insegnanti, educatori perché possano sentire questa chiamata e rispondere in prima persona. Ascoltare, condividere la vita, donare strumenti per insieme rigenerare la Speranza”.
Non solo Gerusalemme
Dall’Ucraina al Myanmar e ad Haiti, da Gaza e dalla Cisgiordania al Sudan e alla Repubblica Democratica del Congo, dalle Americhe alla Siria e all’Afghanistan: “abbiamo visto in questi anni famiglie distrutte e sfollate, bambini privati della possibilità di crescere in pace e intere popolazioni ferite in modi che non guariranno per generazioni. Per troppe persone, il rumore delle armi da guerra è diventato parte del ritmo della vita quotidiana.
L’odio che alimenta questi conflitti è diventato l’unico linguaggio parlato: urlare senza capire. Ci siamo concentrati più sul dimostrare di avere ragione che sul cercare di costruire un mondo migliore.
Luci nell’oscurità
“Siamo invitati a essere Persone di Buona Volontà che scelgono la compassione invece dell’odio, l’empatia invece dell’indifferenza, la fiducia invece del cinismo che avvelena tutto ciò che tocca. Ministri, operatori umanitari, insegnanti, leader di comunità e persone comuni che si oppongono all’ingiustizia dimostrano che il dialogo non è debolezza, la riconciliazione non è ingenuità e che il perdono è l’unico modo per impedire che l’odio decida il nostro futuro”.
In un mondo polarizzato e politicizzato “l’empatia è diventata collusione. La riconciliazione è diventata tradimento. Il desiderio di comprensione è diventato il segno del male. Possa la luce dell’Avvento portarci perseveranza, umiltà e un impegno incrollabile per la vera.




