Dai byte ai cuori: il cammino di padre Urban
“La scoperta della mia vocazione? Un processo complesso. Frequentavo il liceo classico” racconta p. Henrik Urban, 59 anni, Superiore della Missione di Romania.
“Non pensavo alla vita consacrata e nemmeno al sacerdozio. La matematica era la mia grande passione e volevo continuare in questa direzione anche gli studi universitari”. Sceglie gli studi di informatica al Politecnico di Cracovia e tramite la sorella più grande entra in contatto con i gesuiti.
“Ogni domenica, gli scolastici proponevano delle catechesi per i bambini degli orfanotrofi di Cracovia, che durante il comunismo erano obbligati a crescere nel più completo ateismo. Agli studenti si permetteva di visitare i bambini durante la settimana per aiutarli a far i compiti. Invece la domenica potevano uscire e fare una passeggiata, ovvero di fatto partecipare alla messa e ad una semplice catechesi, pranzo compreso. Durante il periodo estivo i bambini potevano partecipare ai campi di due settimane sempre coordinati da un gesuita, accompagnato dagli scolastici e da studenti volontari. E’ stato in questo modo che ha avuto inizio la mia amicizia e la mia conoscenza della Compagnia”. Fondamentale l’esperienza pastorale con i bambini. “Diversi studenti prendevano parte di nascosto alla catechesi dei bambini. I responsabili degli orfanotrofi, dopo aver verificato la costanza e la maturità degli studenti, permettevano loro di accogliere nelle proprie famiglie per le feste qualcuno di loro. Mi occupavo in particolare di 3 ragazzi, 2 dei quali Rom.
Ho avvertito così un coinvolgimento graduale verso questo tipo di impegno, decisamente più spirituale del lavoro al computer. Un processo lento ma costante. Crescevano in me tante domande sul futuro, su come spendere la mia vita. La risposta è giunta dopo un’esperienza spirituale di cui ancora ricordo luogo, giorno e ora. E’ stato il momento in cui ho chiesto l’ammissione nel noviziato”.
Positiva la reazione di amici e famiglia che hanno accolto con entusiasmo la decisione. “Oggi, dopo quasi 40 anni in Compagnia, ciò che mi colpisce e stupisce di più come gesuita è la velocità dei cambiamenti nel mondo, nella Chiesa e ovviamente anche nella Compagnia. Questo obbliga a una costante valutazione dell’impegno attuale con uno sguardo al domani, ancora sconosciuto. Come sottolineava Darwin le specie con la più grande probabilità di sopravvivere nella evoluzione non sono quelle più forti e nemmeno quelle più intelligenti, ma quelle che sanno adattarsi meglio all’ambiente nel quale vivono. E pensando all’inculturazione, sono convinto che la Compagnia appartenga a questa specie”