Il gesuita sacerdote. Sacerdozio ministeriale e identità del gesuita
Congregazione Generale 34 - Decreto 6
Introduzione
[158] 1. Le dinamiche attualmente presenti nella Chiesa e nella società ci invitano a considerare la dimensione specificamente sacerdotale della nostra vita di gesuiti in maniera più approfondita di quanto non abbiano fatto le ultime tre Congregazioni Generali, senza per questo pretendere di offrire una teologia elaborata del sacerdozio: intendiamo solo proporre un modo di considerare – alla luce dell’ispirazione delle origini – la dimensione sacerdotale della nostra identità e della nostra missione di gesuiti. In questa ottica, ci sono presenti diverse concrete situazioni che riguardano la vita della Compagnia in molte parti del mondo. A partire dal Vaticano II, la Chiesa ha realizzato una serie di cambiamenti, vissuti anche all’interno della Compagnia, cosicché da diverse parti i gesuiti hanno chiesto che venga fatta maggior chiarezza e si abbia una maggiore fiducia nella natura della vocazione sacerdotale così come è vissuta nel contesto gesuitico. In particolare, i nostri soggetti più giovani, approssimandosi all’ordinazione sacerdotale, chiedono di poter comprendere più profondamente questo aspetto della nostra vocazione.
[159] 2. In diversi Paesi, il Vaticano II ha dato a molti laici, uomini e donne, un forte impulso a condividere più profondamente i ministeri ecclesiali, ma rimane di primaria importanza che i gesuiti continuino a credere nel valore del servizio apostolico che possono offrire proprio in quanto sacerdoti.
[160] 3. A partire dal Concilio, i sacerdoti appartenenti agli Ordini religiosi sono stati chiamati a un più profondo collegamento con i vescovi diocesani. Pur riconoscendo il nostro preciso dovere di cooperare con i vescovi nella Chiesa e attraverso la Chiesa per la venuta del Regno di Dio, deve rimanere viva l’esigenza di esprimere la particolare qualità del sacerdozio religioso apostolico, in quanto nostro specifico contributo di gesuiti alla riflessione e alla missione della Chiesa.
[161] 4. D’altra parte, abbiamo ben presente che l’esperienza sacerdotale si manifesta nei nostri diversi contesti culturali con modalità anche molto differenziate. Considerato che mai come in questo momento la Compagnia è stata cosi fortemente diversificata dal punto di vista culturale e che, del resto, il totale inserimento nelle diverse culture fa parte del suo specifico carisma, riteniamo si debbano riconoscere tali differenze, senza per questo perdere di vista i tratti comuni fondamentali del sacerdozio ministeriale gesuitico.
[162] 5. Sappiamo infine che i Sacerdoti e i Fratelli gesuiti condividono la stessa vocazione apostolica. All’interno di questa unione, che si radica nelle nostre origini, le caratteristiche di ciascuna delle due vocazioni rappresentano un arricchimento per l’identità e la missione complessiva della Compagnia: ahbiamo pertanto cercato di descrivere i tratti propri del sacerdozio ministeriale nella Compagnia, nel pieno rispetto della qualità del carisma specifico dei Fratelli.
La nostra comune missione
[163] 6. La lettera agli Ebrei afferma che Cristo è “un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio” che presenta “un sacrificio di espiazione per i peccati del popolo” (Eb 2, 17). In forza del loro battesimo, i cristiani partecipano all’opera sacerdotale di Cristo che riconcilia il mondo con Dio, e sono chiamati a realizzare tale riconciliazione nella loro vita. In quanto religiosi gesuiti, noi esprimiamo in maniera speciale questa dignità, attraverso la nostra consacrazione e la nostra missione apostolica nella Compagnia: il nostro è un “ministero di riconciliazione” (2 Cor 5, 18) al servizio di Cristo. Siamo profondamente coscienti del fatto che la Compagnia di Gesù è costituita da Sacerdoti e da Fratelli: siamo una comunità di “amici nel Signore”, mandati in missione da Cristo, e insieme costituiamo “un corpo apostolico complesso, dove ogni compagno partecipa e contribuisce ad un’unica vocazione apostolica nel rispetto della chiamata personale dello Spirito”. Ciascun gesuita arricchisce la missione della Compagnia e contribuisce a ciò che San Paolo chiama “il servizio sacerdotale del Vangelo di Dio” (Rm 15, 16).
II sacerdozio a servizio della Chiesa
[164] 7. Per la loro ordinazione, i sacerdoti gesuiti partecipano anche del sacerdozio ministeriale con il quale Cristo, attraverso i doni dello Spirito, continuamente costruisce la sua Chiesa, guida il suo popolo attraverso l’ufficio pastorale e lo conduce al regno di suo Padre. I compagni di Gesù, che offrono se stessi alla Chiesa per il ministero sacerdotale, lo fanno perché riconoscono in questo la volontà di Dio, che la Chiesa conferma ordinandoli e affidando loro un servizio ministeriale da svolgere in suo nome. In tal modo, da un lato la Compagnia inserisce il proprio carisma apostolico nel dinamismo dei ministeri ordinati della Chiesa, d’altro lato la Chiesa accetta tale servizio apostolico offertole dalla Compagnia e riconosce l’apporto dei gesuiti come un arricchimento dell’ufficio sacerdotale esercitato al suo interno.
[165] 8. Fin dal momento della sua fondazione e poi nel corso della sua storia, l’esercizio del sacerdozio ministeriale è stato considerato centrale per l’identità della Compagnia e per la sua missione apostolica. Per questa ragione papa Paolo VI, rivolgendosi alla Congregazione Generale 32ª, ha affermato che il sacerdozio ministeriale è un “carattere essenziale” della Compagnia: esso è rivolto alla missione apostolica della Compagnia ed è necessario affinché questa sia in grado di svolgere qualsiasi incarico la Chiesa possa affidarle. I sacerdoti gesuiti ricevono l’ordinazione cosi che, in forza di essa, la Compagnia possa pienamente realizzare la missione apostolica, specifica dei gesuiti, di “servire soltanto il Signore e la Chiesa sua sposa, a disposizione del Romano Pontefice, Vicario di Cristo in terra”.
[166] 9. Il sacerdozio gesuitico è pertanto un dono di Dio per la missione universale. Ponendosi direttamente al servizio del Papa, i primi gesuiti espressero la loro disponibilità ad essere mandati dovunque vi fosse la speranza della maggior gloria di Dio e del servizio delle anime. Ignazio e i suoi primi compagni misero il loro ministero sacerdotale non a servizio pastorale di qualche vescovo per una particolare diocesi, ma al servizio del Sommo Pontefice per il bene della Chiesa universale. Poiché la Compagnia realizza i suoi ministeri nella costante disponibilità per nuovi servizi, l’estensione del servizio sacerdotale dei gesuiti è universale, il suo scopo è apostolico ed esso è esercitato nell’ambito della sollecitudine universale del Papa per i bisogni della Chiesa e del mondo.
Attività caratteristiche
[167] 10. Ispirato da Cristo, “il primo evangelizzatore” , e sull’esempio di Ignazio e dei suoi primi compagni, il servizio sacerdotale del gesuita si realizza attraverso una vasta gamma di ministeri apostolici. Le Lettere Apostoliche di Paolo III (1540) e di Giulio III (1550) approvano tutto un insieme di attività specifiche dei sacerdoti gesuiti: ministeri della Parola e dello spirito, ministeri di riconciliazione e di istruzione, ministeri di servizio dei sacramenti, insegnamento del catechismo ai bambini e agli incolti, ministeri in ambito sociale. Queste attività, caratteristiche dei primi Compagni, rappresentano i modelli archetipi del servizio apostolico sacerdotale che il gesuita rende a servizio della missione apostolica della Chiesa, e continuano a ispirare alla Compagnia di oggi il proposito di realizzare un modello di “evangelizzazione integrale” volto al bene della persona umana nella sua globalità. La Chiesa domanda alla Compagnia di impegnarsi in qualunque cosa “possa sembrare utile per la gloria di Dio e per il bene di tutti”: questa è la nostra “via verso Dio”.
[168] 11. Fin dalla fondazione della Compagnia, i gesuiti hanno esercitato i loro ministeri soprattutto là dove i bisogni erano maggiori, dove non vi erano altri che se ne occupassero e dove si potesse ottenere il bene più universale. Girolamo Nadal ha ben descritto questo aspetto centrale del nostro carisma: “La Compagnia si prende cura di coloro di cui nessuno si occupa o di cui ci si occupa male. È questa la ragione fondamentale per cui è stata fondata, questa è la sua forza, questa è la sua dignità nella Chiesa”.
[169] 12. Questo stesso spirito continua ad informare ciò che i gesuiti fanno in quanto sacerdoti: il loro ministero è particolarmente indirizzato a chi non ha ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo; a chi è ai margini della Chiesa o della società; a chi è calpestato nella sua dignità; a chi è senza voce e senza potere ; a chi è debole nella fede o di essa privato; a chi vede i propri valori sminuiti dalla cultura contemporanea; a chi vive situazioni più grandi delle proprie forze. Il mondo è il luogo dove il sacerdote gesuita deve essere maggiormente attivo, in nome del Cristo che guarisce e riconcilia. Paolo VI ha sottolineato la nostra presenza ai confini tra la cultura umana e il Vangelo: “Ovunque nella Chiesa, anche nei campi più difficili e di punta, nei crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali, vi è stato e vi è il confronto tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo, là vi sono stati e vi sono i gesuiti”.
Compiti attuali
[170] 13. Nella molteplicità dei contesti nei quali si esplica l’attuale missione della Compagnia, vanno evidenziati alcuni compiti comuni: come trovare parole significative per gli uomini e le donne del nostro tempo che non sono più toccati dal messaggio cristiano; come essere fedeli alla tradizione della Chiesa e nel contempo saperla tradurre nelle culture secolarizzate; come nvolgere il nostro ministero sia ai poveri che ai ricchi; come integrare i nostri ministeri spirituali con quelli sociali; come rendere il miglior servizio in una Chiesa che vive delle tensioni; come rendere la povertà evangelica parte della nostra attuale testimonianza; come mediare tra diverse culture e gruppi all’interno di una stesso Paese; cosa fare per rendere la Chiesa realmente cattolica nell’estensione e nella varietà culturale della sua fede e delle sue pratiche; e infine, cosa fare perché il mondo, in tutti gli aspetti della sua vita, divenga il Regno che Cristo ha proclamato.
[171] 14. Una particolare provocazione del nostro tempo è quella di incarnare il ministero del perdono e della riconciliazione di Cristo in un mondo sempre più diviso dalle condizioni economiche e sociali, razziali ed etniche, da guerre e violenze, e dalla pluralità culturale e religiosa. Su queste divisioni si deve concentrare l’attenzione del ministero sacerdotale gesuitico, perché l’opera di riconciliazione di Cristo abbatte i muri della divisione tra le genti “per creare in se stesso una nuova umanità” (Ef 2, l4ss). Noi viviamo in un mondo frantumato, nel quale gli uomini e le donne hanno bisogno di un perdono integrale che, in ultima analisi, può venire solo da Dio. La missione sacerdotale della Compagnia è pertanto indirizzata al tempo stesso verso la giustizia resa al povero e verso la riconciliazione del mondo con Dio attraverso l’annuncio del Vangelo.
[172] 15. Alla luce della nostra tradizione, possiamo affermare che nessun ministero che prepari la venuta del Regno o che aiuti a far crescere la fede nel Vangelo è al di fuori del campo di azione di un sacerdote gesuita. Negli ultimi anni siamo arrivati a riconoscere che “è compito del sacerdote, come segno e ministro di questa attiva presenza del Signore, essere presente e collaborare con tutte le risorse umane, che contribuiscono ad instaurare quel Regno”. Abbiamo anche descritto la missione del gesuita come impegno “sotto il vessillo della croce, nella battaglia cruciale del nostro tempo: la battaglia per la fede, e la lotta, che essa include, per la giustizia”. I modi di realizzazione di questo impegno devono continuamente essere adattati agli ambienti nei quali il ministero della Compagnia si realizza: prenderanno forme diverse in contesti diversi, secondo le circostanze. Molti hanno chiesto se questo modo di operare sia appropriato per un sacerdote gesuita: alcune attività non sarebbero forse al di fuori dei legittimi compiti di un sacerdote? Noi rispondiamo che l’impegno della Compagnia nella sua missione non proviene né da un facile ottimismo riguardo al progresso della storia del mondo, né da uno specifico programma sociale, ma dall’umile desiderio di condividere l’opera di Cristo che riconciliò il mondo con Dio con la sua morte sacerdotale. I nostri martiri gesuiti, che sono morti per la loro fede e per la loro gente in molte parti del mondo, mostrano che i gesuiti vivono sotto il vessillo della croce. E la croce è il segno che, in quanto seguaci di Cristo, non ci sarà risparmiato nulla: la nostra missione di gesuiti si realizza nella fede nella resurrezione, perché solo Dio risolve gli enigmi della sofferenza e della morte dell’epoca in cui viviamo.
La nostra tradizione
[173] 16. Il modo in cui i gesuiti esercitano il loro ministero sacerdotale rileva le sue caratteristiche dalla nostra missione apostolica, che è quella di operare con Cristo per la proclamazione del Regno. I nostri primi compagni si sono proposti un ministero universale fatto di evangelizzazione itinerante, di insegnamento, di opere di carità e di povertà di vita: una evangelica imitatio apostolorum, una forma radicale di discepolato apostolico, doveva essere la sorgente di quanto avrebbero fatto come sacerdoti. “È la vocazione primordiale di essere come gli apostoli che caratterizza fin da allora il modo d’essere presbiteri nella Compagnia di Gesù”. Sotto l’ispirazione degli Esercizi Spirituali, essi volevano essere simili a Cristo, nel dono gratuito di sé a chiunque ne avesse bisogno; volevano vivere come lui, che era venuto non per essere servito ma per servire; volevano comportarsi come lui, predicando alle folle; volevano condividere la sua attenzione ai bisogni dei poveri e dei malati. Non dimentichiamo che, al Concilio di Trento, i teologi gesuiti ricevettero da Ignazio la direttiva di dedicare parte del loro tempo a visitare ospedali e a istruire i bambini; il loro incarico ufficiale di partecipazione al Concilio doveva essere riequilibrato da atti di misericordia che nessuno avrebbe conosciuto, se non i poveri che ne avevano beneficiato.
[174] 17. Ignazio voleva che, nell’impostazione dei loro ministeri i sacerdoti gesuiti evitassero quei comportamenti che gli Esercizi Spirituali considerano contrari al Vangelo: ricchezze e successo, onori e riconoscimenti, potere, orgoglio e prestigio. Egli pretendeva che i sacerdoti gesuiti non accettassero di essere nominati vescovi o di accedere a qualsiasi altro ufficio, dignità o beneficio ecclesiastico, e che mantenessero invece la povertà e la libertà necessarie per la missione. Ignazio voleva che essi domandassero la grazia di essere veramente poveri in compagnia di Cristo, di essere obbedienti nella loro missione, di essere anche tenuti in poca considerazione, se Dio avesse voluto essere così servito, e di vivere come “presbiteri di Cristo liberamente poveri”. I sacerdoti gesuiti di oggi dovranno essere come loro nell’assumere i compiti apostolici giudicati più urgenti e fruttuosi, in un orizzonte apostolico non limitato da divisioni di classe o di cultura, e non curandosi affatto della propria personale gratificazione.
[175] 18. Dovunque si trovino, i sacerdoti gesuiti daranno il loro contributo apostolico alla vita della Chiesa locale, rimanendo però al tempo stesso fedeli al loro carisma e mantenendo la loro libertà per la missione. In ogni momento il sacerdote gesuita vive in una specifica Chiesa locale e coopera di buon grado con il vescovo del luogo nella missione della Chiesa , ma tenendo presente che, in ogni Chiesa locale, è il clero diocesano che possiede lo specifico carisma di essere l’agente primario della cura pastorale del vescovo; non facendo parte di tale clero, il gesuita dovrà esercitare il proprio ministero in maniera complementare. I gesuiti, pertanto, cercheranno di rivolgere la loro azione sacerdotale verso chi è meno facilmente raggiungibile dal ministero ordinario della Chiesa.
[176] 19. Come i gesuiti sacerdoti formano un unico corpo apostolico con i Fratelli, è anche necessario che essi promuovano e sviluppino il servizio ecclesiale offerto dai religiosi in altre comunità e da laici e laiche che vogliono condividere più profondamente il ministero della Chiesa. Il recente sviluppo dei ministeri laicali nella Chiesa, lungi dall’essere una minaccia per ciò che i gesuiti offrono con il loro ministero sacerdotale, corrisponde a uno dei carismi fondamentali della tradizione ignaziana. Attraverso gli Esercizi Spirituali, i gesuiti sono particolarmente impegnati ad aiutare gli altri ad approfondire sempre più la loro dignità battesimale come servitori di Cristo. La nostra tradizione gesuitica sa bene quanto Dio si prenda cura delle persone, approfondendo in esse la vita di grazia e, attraverso di esse, rafforzando sempre più la vita della Chiesa; questo e perfettamente consonante con la prospettiva offerta dal Catechismo della Chiesa Cattolica sul carattere del sacerdozio ministeriale nella Chiesa: “Mentre il sacerdozio comune dei fedeli si realizza nello sviluppo della grazia battesimale – vita di fede, di speranza e di carità, vita secondo lo Spirito – il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio comune, è relativo allo sviluppo della grazia battesimale di tutti i cristiani. È uno dei mezzi con i quali Cristo continua a costruire e a guidare la sua Chiesa”.
[177] 20. In consonanza con la tradizione ignaziana, nel loro ministero sacerdotale i gesuiti vivono con profondo rispetto i modi in cui Dio è già all’opera nella vita di tutti gli uomini e di tutte le donne. L’opera di Dio non comincia con ciò che facciamo noi ma, fin dalle benedizioni della creazione, Dio aveva posto le fondamenta di ciò che avrebbe portato a compimento con la grazia della Redenzione. Di conseguenza, nell’esercizio del loro ministero sacerdotale, i gesuiti cercano di scoprire ciò che Dio ha già operato nella vita delle persone, delle società e delle culture, e di discernere come Dio proseguirà la sua opera. Sottolineando che tutta la vita umana è illuminata dalla grazia, questa visione della vita influenza il modo in cui si realizza il sacerdozio ministeriale del gesuita nei diversi campi. Esso:
[178] – è sempre volto all’edificazione della persona umana secondo le caratteristiche individuali della vita di grazia;
[179] – ci incoraggia ad occuparci di discipline che – quantunque possano non avere alcuna relazione con una prospettiva cristiana esplicita – sono tuttavia fondamentali per cogliere il modo in cui certe persone comprendono se stesse e il mondo che le circonda;
[180] – ci invita ad assumere un atteggiamento positivo nei confronti del dialogo con la vasta gamma di culture umane e con le tradizioni di credenza religiosa, di moralità e di spiritualità esistenti nel mondo;
[181] – apre la strada a un positivo impegno ecumenico, in quanto è capace di apprezzare la diversità e la complementarietà dei carismi presenti nelle diverse tradizioni cristiane;
[182] -indirizza la nostra attenzione verso coloro che – pur non avendo né potere né ricchezza – sono già ricchi nella grazia.
[183] 21. I ministeri della Parola – menzionati prima di ogni altra cosa nella nostra Formula dell’istituto – sono sempre stati di primaria importanza nel ministero sacerdotale della Compagnia. Questi ministeri, che assumono tutte le diverse forme che la nostra missione richiede, per essere efficaci postulano uno studio profondo e assiduo e, in particolare, ampia conoscenza della Scrittura e della tradizione, abilità nella predicazione, maturità personale e cultura di ampio respiro. La tradizione di un ministero sacerdotale erudito e di eccellenza intellettuale è profondamente radicata nel nostro modo di procedere. Nell’esercizio del ministero sacerdotale della Compagnia, la conoscenza non è potere ma servizio del Regno.
[184] 22. Lo stesso ministero di Cristo in parole e opere si compì nel mistero salvifico della sua morte e resurrezione: così i sacerdoti gesuiti uniscono le molteplici forme del loro ministero della Parola alla celebrazione ecclesiale dell’Eucarestia, con la quale Cristo introduce i fedeli nel mistero pasquale. La Parola di Dio è predicata in forme diverse così che tutti, per la misericordia divina, possano trovare posto al celeste banchetto eucaristico. “Dio vuole che ogni uomo si salvi e giunga alla conoscenza della verità” (1 Tm 2, 4): è questo il nucleo della predicazione apostolica della Compagnia e la realtà che la Chiesa proclama nell’Eucarestia. È lì che il Signore risorto dà la vita e rende la Chiesa capace di divenire ciò che già è, il Corpo di Cristo. Ed è anche lì che questa minima Compagnia di Gesù è costantemente ricreata dal ricevere la Parola di verità e il Pane di vita.
Le tappe del ministero
[185] 23. Nella preparazione al ministero sacerdotale e nel suo esercizio, ogni tappa introduce un nuovo elemento che modifica e rafforza l’identità dell’uomo come gesuita. Come prima cosa, egli passa dalla vita di scolastico, all’accettazione della chiamata della Chiesa, all’ordinazione. Successivamente, lavorando in mezzo alle difficoltà che incontra un giovane sacerdote, assume ministeri attivi, per arrivare infine alla pienezza della vita apostolica sacerdotale in età avanzata. Ciascuna di queste tappe, legate al ciclo naturale della vita, non rappresenta una diminuzione ma un sempre maggiore approfondimento dell’esperienza di vita sacerdotale del gesuita. Ciò che era cominciato come gioioso atto di fiducia nella chiamata del Signore, ed era poi stato vissuto come generoso dono di sé nel ministero, raggiunge il culmine quando – da vecchio, e forse in una situazione di grande debolezza – il sacerdote gesuita entra pienamente nel mistero pasquale di Cristo. Il modo in cui questo avviene differisce naturalmente da persona a persona, secondo il modo in cui Dio guida ciascuno, ma vi sono in genere dei momenti significativi per tutti, in questo cammino.
[186] 24. Quando si avvicina all’ordinazione sacerdotale, uno scolastico potrebbe chiedersi con ansia se sarà capace e valido come ministro della Parola e dei sacramenti: anche se questa è la chiamata di Cristo, avrà la forza personale di accettarla e di viverla? Potrebbe trovarsi in difficoltà per il ruolo pubblico nella Chiesa che l’ordinazione porta con sé: specie in certi paesi dove è più forte la critica alla Chiesa, potrebbero esserci su di lui pressioni dall’esterno affinché non si identifichi così strettamente con la Chiesa gerarchica. In altre situazioni, uno scolastico può essere tentato di vedere il sacerdozio come un modo per entrare nel mondo dei privilegi clericali e non come un cammino di umile servizio. Sperimentandolo di persona, dovrà affrontare il fatto che il ministero sacerdotale è sempre esercitato nel contesto dell’umana fragilità e del complesso sviluppo storico della vita della Chiesa. Diversi fattori possono portare lo scolastico a domandarsi se è bene che chieda l’ordinazione, e la Compagnia deve ascoltare con molta attenzione i suoi timori e aiutarlo a scegliere liberamente il sacerdozio come cammino nel quale la sua identità di gesuita può essere posta al servizio del Regno di Dio e della Chiesa. È questo un momento importante nel discernimento di uno scolastico circa la tradizione ignaziana del sentire cum ecclesia, sempre sostenuta da un più profondo sentire cum Christo: un desiderio di operare con Cristo per aprire la strada al Regno e così servire la Chiesa che è il suo corpo. Dobbiamo ricordare che Ignazio ha compiuto un atto di coraggiosa fiducia nella sovranità di Cristo sulla Chiesa quando ha posto la Compagnia al servizio del papato del XVI secolo: è stato un gesto altamente significativo, che indicava come – nella tradizione ignaziana – l’umile servizio di Cristo sia inseparabile dal servizio amoroso della Chiesa
[187] 25. I primissimi anni dopo l’ordinazione presentano un nuovo insieme di sfide; il ministero sacerdotale è per lui una realtà nuova, e solo il tempo, l’esperienza pastorale, la riflessione e l’aiuto di altri (compagni gesuiti e persone che è chiamato a servire) gli permetteranno il pieno sviluppo della fiducia, della sapienza e della condivisione in questa vocazione. Nel contempo, egli è chiamato ad integrarsi personalmente in modo permanente nel corpo apostolico della Compagnia e, in questa fase, egli avrà particolarmente bisogno del sostegno dei superiori e dell’amicizia dei suoi compagni gesuiti. La sua vita è ora divenuta ordinaria: non ci sono più i passaggi da una fase della formazione all’altra, ed egli non riceve più, a ogni tappa, l’approvazione formale dei suoi superiori.
[188] 26. Nel suo lavoro di sacerdote, confrontato con le diverse aspettative – talvolta in conflitto tra loro – della gente che desidera servire, egli riceverà anche il calore del loro apprezzamento per un sacerdote che è loro vicino e lavora duramente per rendersi utile. I laici hanno un ruolo importante nel rafforzare la sua fiducia nel suo ministero. Il giovane sacerdote dovrà riconoscere che l’ordinazione non ha eliminato le sue debolezze umane. Talvolta questi primi anni possono essere un periodo in cui le cose non vanno bene e il giovane sacerdote può trovarsi davanti a un’inaspettata mancanza di coerenza nella sua vita: si accorgerà allora che la pace che è chiamato a trasmettere agli altri non riempie totalmente il suo stesso cuore. Passare attraverso tutto questo – e ogni gesuita ha una forte, e talvolta drammatica, esperienza della sua realtà di peccato – può essere un momento fondamentale di grazia, nel quale egli prende coscienza della fragilità nella quale si esercita il suo ministero. Secondo le parole di S. Paolo, che dovette passare lui stesso attraverso una tale esperienza: “Noi portiamo questo tesoro in vasi di argilla, perché sia chiaro che questa straordinaria potenza viene da Dio e non da noi stessi” (2 Cor 4, 7).
[189] 27. Negli anni che seguono gli ultimi voti, il gesuita ordinato fa l’esperienza di quanto incalzante e complesso sia il ministero sacerdotale in Compagnia. Egli sarà probabilmente preso da ministeri che non cesseranno di porgli nuove e impegnative esigenze e, per di più, gli potrà essere richiesto di assumere anche altre responsabilità all’interno della Compagnia. Potrà anche scoprire che gran parte del suo tempo è assorbito da compiti che, direttamente, non sono né pastorali né sacramentali, ma che sono risposte ad esigenze della nostra missione come corpo, e appartengono all’ampia gamma di attività proprie della nostra missione di gesuiti. Tali realtà non sono marginali nel sacerdozio del gesuita, ma sono atti di servizio con i quali rispondiamo ai bisogni apostolici del nostro mondo.
[190] 28. Come ogni gesuita, egli deve essere sempre pronto a spostarsi, su richiesta dei superiori, per il servizio del Vangelo: una disponibilità che non diverrà più facile con il passare degli anni. Sono questi gli anni in cui è indispensabile approfondire l’amore di Cristo per equilibrare la pressione del lavoro. Il compito del sacerdote gesuita, in mezzo a questa molteplicità di domande, è quello di proseguire nella vita di fede e nel generoso e umile servizio di Cristo. Anche se non è primariamente implicato nel servizio pastorale diretto, gli sarà di aiuto mantenere viva la sua identità sacerdotale, occupandosi regolarmente di una comunità che si riunisce attorno ai sacramenti, perché i laici, soprattutto i poveri, irrobustiscono la fede personale di coloro che si mettono al loro servizio.
[191] 29. Quantunque il tipico sacerdote gesuita continui ad essere impegnato nel lavoro apostolico ben al di là della “età della pensione”, arriva in genere un momento in cui quel lavoro esterno deve finire. Quando questo avviene, il gesuita può essere tentato di pensare che la sua vita abbia perso il suo senso primario: deve invece imparare dal Signore che al contrario gli viene offerto un nuovo modo di portare avanti la sua missione apostolica di gesuita. La vecchiaia non diminuisce in alcun modo il sacerdozio e la vera vitalità apostolica. Anche se può soltanto celebrare l’eucarestia e invocare in privato la benedizione del Signore sul lavoro della Chiesa e dei suoi fratelli gesuiti, è proprio in questo che egli continua ad essere un valido operatore apostolico. Qui, forse più di ogni altro, è chiamato a vivere una vita di preghiera sacerdotale per gli altri, in unione con Cristo sommo Sacerdote che è passato prima di noi come guida della nostra fede (Eh 12,2). Nel suo messaggio alla Compagnia, verso la fine della vita, quando era molto debilitato, Padre Arrupe ha espresso l’esperienza di molti gesuiti anziani: “Io mi sento, più che mai, nelle mani del Signore. In tutta la mia vita, fin dalla mia giovinezza, ho desiderato essere nelle mani del Signore. E ancor oggi è l’unica cosa che desidero. Ma certamente c’è questa differenza: oggi è il Signore stesso che ha tutta l’iniziativa. Vi assicuro che sapermi e sentirmi totalmente nelle sue mani è una esperienza molto profonda”.
[192] 30. Infine, noi chiediamo a tutti i sacerdoti gesuiti di aver fiducia nei carismi del loro ministero, e chiediamo anche a tutti i Fratelli e a tutti gli scolastici di aver fiducia nei carismi che ricevono: sono doni complementari dello Spirito, attraverso i quali la Compagnia è in grado di servire nel nome di Cristo. Chiediamo al Signore di benedire tutto ciò che facciamo.
Raccomandazione al Padre Generale
[193] 31. La Congregazione Generale 34ª, in pieno accordo con il carisma della Compagnia e con il suo desiderio di essere disponibile per la missione, riafferma tuttavia con molta fermezza la nostra tradizione di resistere, per quanto compatibile con l’obbedienza, alle nomine all’episcopato. Per Ignazio questo principio era di vitale importanza per la missione e per il benessere di “questa minima Compagnia”, e non era affatto in contraddizione con il suo desiderio di essere disponibile per la missione. I gesuiti dovevano essere a servizio della Chiesa e del Sommo Pontefice, ma non come vescovi. Per rendere più chiaro questo aspetto, la Congregazione Generale invita caldamente il Padre Generale a continuare il dialogo con la Santa Sede in materia e , se fosse necessario, arrivare a norme più chiare che servano da guida per ogni gesuita che viene a sapere di essere candidato all’episcopato.