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La nostra missione e la cultura

Congregazione Generale 34 - Decreto 4

[75] 1. La composizione di questa 34ª Congregazione Generale, che riunisce gesuiti dalle culture dell’Asia, dei Paesi ex-comunisti dell’Est-Europa, della Comunità Europea, Africa, America del Nord, Australia e America Latina, ha reso più viva la nostra coscienza della pluralità di culture esistente sia nel mondo che nella Compagnia, e della necessità di mettere in evidenza l’importanza per la nostra missione del tema Vangelo e cultura.

[76] 2. Negli ultimi anni la Chiesa ha fatto di questo tema uno dei punti centrali della propria riflessione. Il papa Paolo VI ha scritto che “la rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca”. In tempi più recenti, il papa Giovanni Paolo II ha presentato l’inculturazione come uno degli aspetti fondamentali di tutta la missione evangelizzatrice della Chiesa e ha messo l’accento sulla relazione mutua tra il Vangelo e le culture con cui esso viene in contatto. Il messaggio cristiano deve essere aperto a ogni cultura, non legato a un determinato quadro culturale, e reso accessibile a ogni persona attraverso un processo di inculturazione, mediante il quale il Vangelo introduce qualcosa di nuovo nella cultura e la cultura apporta qualcosa di nuovo alla ricchezza del Vangelo. “Per l’inculturazione la Chiesa incarna il Vangelo nelle diverse culture e, nello stesso tempo, introduce i popoli con le loro culture nella sua stessa comunità; trasmette ad esse i propri valori, assumendo ciò che di buono c’è in esse e rinnovandole dall’interno”.

[77] 3. Il processo di inculturazione del Vangelo di Gesù Cristo è una forma di incarnazione della Parola di Dio in tutta la diversità dell’esperienza umana; con esso il Verbo di Dio viene a prendere dimora nella famiglia umana (cfr. Gv 1,14). Quando la Parola di Dio viene inscritta nel cuore di una cultura, è come un seme sepolto che trae nutrimento dalla terra che lo circonda e cresce fino alla sua maturazione. L’inculturazione può essere messa in relazione anche col Mistero pasquale: nell’impatto con la potenza liberatrice del Vangelo, le culture si liberano dei propri elementi negativi ed entrano nella libertà del Regno di Dio. Il Vangelo rivolge ad ogni cultura una sfida profetica a rimuovere tutto ciò che è di ostacolo alla giustizia del Regno. Inculturare il Vangelo significa permettere alla Parola di Dio di esercitare tutta la sua forza nella vita delle persone, senza imporre, nello stesso tempo, fattori culturali estranei che ne renderebbero l’accoglimento veramente difficile. “L’evangelizzazione non è possibile senza inculturazione. L’inculturazione è il dialogo esistenziale tra gente viva e Vangelo vivo”.

[78] 4. Questo processo ha fatto sempre parte della vita della Chiesa: nei primi secoli cristiani, mentre proclamava la fede in modo che la cultura ellenistica potesse riceverla, la Chiesa venne al tempo stesso modellata da tale cultura. Intuizioni che primariamente derivavano dal contesto giudaico e cristiano, giunsero a prendere posto nel cuore stesso del cristianesimo. Un processo simile si verifica oggi in molte parti del mondo, dove rappresentanti delle culture indigene, delle grandi tradizioni religiose e della modernità critica avanzano prospettive che la Chiesa deve considerare come parte del dialogo tra l’esperienza cristiana e la diversità di altre esperienze. In questo modo la Chiesa va ritrovando ai giorni nostri la creatività manifestata nei primi secoli e nei momenti migliori della sua opera di evangelizzazione.

[79] 5. Per rendere possibile un tale dialogo esistenziale, nella varietà di culture in cui la Chiesa è presente, occorre oggi fronteggiare problematiche particolari.

[80] – La cultura laica contemporanea, sviluppatasi parzialmente in opposizione alla Chiesa, spesso esclude la fede religiosa dall’ambito dei propri valori. Conseguentemente, alcune culture, il cui passato è stato modellato dalla fede cristiana, si sono in gradi differenti discostate dal cristianesimo verso una forma di vita in cui i valori del Vangelo sono marginali. La credenza religiosa è spesso abbandonata, come fonte dirompente di divisioni sociali che la famiglia umana ha già superato; agli occhi di molti nostri contemporanei, poi, la Chiesa non è credibile quando parla di questioni che riguardano l’uomo.

[81] – Le grandi culture dell’Asia, nonostante secoli di attività missionaria, non considerano ancora la fede cristiana come una presenza vivente nel cuore dell’esperienza asiatica. Spesso il cristianesimo è inseparabilmente legato alla cultura occidentale, di cui esse diffidano. Molti cristiani impegnati in Asia avvertono uno iato tra la propria esperienza culturale asiatica e il carattere ancora occidentale di quanto sperimentano nella Chiesa.

[82] – In tutto il mondo, una crescente urbanizzazione crea moltitudini di poveri nelle grandi città. Queste persone si dibattono in una transizione culturale dolorosissima quando emigrano da aree rurali e si trovano obbligate ad abbandonare la loro cultura tradizionale. Nello stesso tempo, tale transizione produce una nuova sintesi culturale in cui elementi della sapienza tradizionale si trovano intessuti in nuove forme di organizzazione e di celebrazione popolari.

[83] – Fra le popolazioni indigene si è avuta una nuova presa di coscienza delle proprie culture ed è necessario sostenere tale processo con la potenza liberatrice del Vangelo.

[84] – In Africa c’è un grande desiderio di presentare un cristianesimo veramente africano, in cui Chiesa e culture africane si saldino intimamente. C’è poi il desiderio di liberare il Vangelo dal suo retaggio coloniale che ha sottovalutato la consistenza dei valori culturali indigeni africani e di portarlo a un più profondo contatto con la vita africana.

Missione dei gesuiti e cultura.

[85] 6. Vivendo, in quanto gesuiti, una fede orientata verso il Regno, mediante la quale la giustizia si fa realtà che modella il mondo, noi introduciamo la particolare qualità di questa fede nel dialogo con le religioni e le culture del mondo contemporaneo. Nel decreto “Servitori della missione di Cristo” abbiamo affermato che “la nostra missione di servizio della fede e promozione della giustizia deve ampliarsi sino ad includere, come sue dimensioni integrali, proclamazione del Vangelo, dialogo ed evangelizzazione della cultura” , e abbiamo insistito sulla inseparabilità di giustizia, dialogo ed evangelizzazione della cultura.

[86] 7. Questa non è una strategia apostolica pragmaticamente concepita; è un atteggiamento radicato nella mistica che promana dall’esperienza di Ignazio, la quale ci dirige ad un tempo verso il mistero di Dio e verso l’attività di Dio nella sua creazione. Nella nostra personale vita di fede, come nei nostri ministeri, non si tratta mai per noi di scegliere Dio o il mondo: piuttosto, è sempre Dio nel mondo, che lavora per portarlo al compimento, sicché il mondo arrivi finalmente ad essere pienamente in Dio. “Ignazio proclama che non c’è per l’uomo autentica ricerca di Dio che non passi attraverso un inserimento nel mondo creato e che, d’altra parte, ogni solidarietà con l’uomo e ogni impegno nel mondo creato non possono essere autentici senza una scoperta di Dio”.

[87] 8. La missione della Compagnia, come servizio a Cristo crocifisso e risorto, si orienta a quei modi attraverso i quali egli fa sentire la sua presenza nella diversità delle esperienze culturali umane, al fine di presentare il Vangelo come la presenza esplicitamente liberante di Cristo. Il dialogo a cui diamo vita – nel rispetto delle persone, specialmente dei poveri – deve dar luogo alla condivisione dei valori culturali e spirituali degli altri e all’offerta della nostra ricchezza spirituale e culturale, per costruire una comunione di popoli ammaestrati dalla Parola di Dio e vivificati dallo Spirito come a Pentecoste. Il nostro servizio della fede cristiana non deve essere né una rottura dei migliori impulsi della cultura in cui lavoriamo, né una estranea ed estrinseca imposizione. Questo servizio, piuttosto, deve essere condotto in modo tale che la linea di sviluppo proveniente dall’intimo di una cultura conduca questa al Regno.

[88] 9. Nell’esercizio della nostra missione abbiamo un criterio semplice proveniente dalla nostra tradizione ignaziana: nella nostra personale vita di fede apprendiamo che siamo in consolazione quando ci troviamo pienamente in contatto con ciò che Dio sta operando nei nostri cuori, mentre siamo in desolazione quando viviamo in contrasto con la sua azione. Allo stesso modo, il nostro ministero di evangelizzazione delle culture sarà un ministero di consolazione quando riuscirà a mettere in luce la presenza operante di Dio in tali culture e a rafforzare il nostro senso del mistero divino. Ma i nostri sforzi saranno fuori strada, e anzi distruttivi, se la nostra azione andrà contro il germe della presenza divina nelle culture cui la Chiesa si rivolge, o quando pretendiamo di esercitare diritti esclusivi di proprietà sopra le cose di Dio.

[89] 10. Questa intuizione ha condotto i gesuiti ad accostarsi con atteggiamento positivo alle religioni e culture in cui essi lavorano. I primi gesuiti, nelle loro scuole, unirono alla catechesi cristiana un’educazione all’umanesimo classico, all’arte e al teatro, per formare i loro studenti sia nella fede che nella cultura europea.Ciò ha spinto i gesuiti ad avere ed esprimere un profondo rispetto per le culture indigene, a comporre dizionari e grammatiche di lingue locali, a compiere studi pionieristici sulle genti in mezzo alle quali essi lavoravano e che cercavano di capire.

[90] 11. Particolarmente ai nostri giorni, quando la qualità umana di tante culture indigene è minacciata da potenti ma meno benevole pressioni, noi vogliamo riscoprire quel rispetto per la cultura mostrato già dai migliori nostri predecessori. In tutto il mondo i gesuiti stanno lavorando con un gran numero di gruppi etnici, tribù e Paesi con tradizioni culturali proprie. Questi hanno un meraviglioso patrimonio di cultura, religione e saggezza antica che ha plasmato l’identità dei loro popoli. Tali popolazioni stanno ora lottando per affermare la loro identità culturale, incorporando elementi di cultura moderna e universale. Noi dobbiamo fare il possibile perché questa relazione tra le culture tradizionali e la modernità non divenga un’imposizione, ma piuttosto un genuino dialogo interculturale. Questo sarebbe un segno di liberazione per ambedue le parti. È nostra persuasione che il Vangelo sia in consonanza con quanto v’è di buono in ogni cultura.

[91] 12. Nello stesso tempo, riconosciamo di non aver sempre seguito questa intuizione. Non sempre abbiamo riconosciuto che aggressività e coercizione non trovano posto nella predicazione del Vangelo della libertà, specialmente rispetto a culture suscettibili di manipolazione da parte di forze più potenti. In particolare oggi riconosciamo che:

[92] – spesso abbiamo contribuito alla alienazione dello stesso popolo che intendevamo servire;

[93] – sovente gli evangelizzatori gesuiti non sono riusciti a inserirsi nel cuore della cultura, ma sono rimasti presenze estranee;

[94] – nella nostra missione non siamo riusciti a scoprire i tesori di umanità: i valori, la profondità e la trascendenza di altre culture, manifestazione dell’azione dello Spirito;

[95] – talvolta ci siamo messi dalla parte dell'”alta cultura” della élite in un particolare ambiente, non tenendo conto delle culture dei poveri e permettendo a volte, con la nostra passività, che venissero distrutte culture o comunità indigene.

[96] Noi riconosciamo questi errori e ora cerchiamo di trarre profitto dalla varietà culturale e dalla complessità del corpo apostolico della Compagnia odierna. Ci rendiamo conto che il processo di inculturazione è difficile, e tuttavia procede.

[97] 13. Dato che i gesuiti lavorano, per la maggior parte, all’interno delle proprie culture, essi dovrebbero, al servizio della fede, entrare in dialogo con il loro mondo culturale, dare testimonianza allo spirito creativo e profetico, e permettere così al Vangelo di arricchire tali differenti culture, arricchendosi a propria volta dall’inculturarsi in contesti differenti. Noi cerchiamo di comprendere l’esperienza delle persone, perché solo allora la proclamazione del Vangelo può raggiungere le loro vite. Mettiamo il Vangelo in dialogo aperto con gli elementi positivi e negativi di queste culture. In tal modo il Vangelo viene visto in una luce nuova: il suo significato è arricchito, rinnovato, perfino trasformato da ciò che tali culture gli comunicano. Il p. Pedro Arrupe attirò l’attenzione sull’importanza dell’inculturazione per la missione gesuitica contemporanea: “Inculturazione significa incarnazione della vita e del messaggio cristiano in una concreta area culturale, in modo tale che questa esperienza non solo riesca ad esprimersi con gli elementi propri della cultura in questione […], ma diventi il principio ispiratore, normativo e unificante, che trasforma e ricrea questa cultura, dando origine a “una nuova creazione”.

Dialogo di Dio con il mondo.

[98] 14. Il Vangelo, parola profetica di Dio, continua il dialogo che Dio ha cominciato con tutti gli uomini e le donne, che già condividono il mistero di unità iniziato nella creazione. Esso li porta esplicitamente in contatto con il suo mistero di salvezza: “Grazie all’invisibile azione dello Spirito di Cristo”, Dio apre i loro cuori al mistero di pienezza, che la famiglia umana attende come proprio destino.

[99] 15. Come discepoli del Signore risorto, noi crediamo che il suo Mistero pasquale getta la sua luce su tutta la storia umana, toccando ogni religione, ogni cultura e ogni persona, inclusi coloro che non lo conoscono e coloro che non riescono, in coscienza, a credere in lui. La centralità del Mistero pasquale, dichiara la Gaudium et spes, “non vale solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale”.

[100] 16. Dio solo conosce come ciascuno partecipi al Mistero pasquale; che tale partecipazione sussista, la Chiesa è condotta a crederlo da Dio. Cristo risorto è costantemente attivo in tutte le dimensioni della crescita del mondo, nella diversità delle sue culture e nella varietà delle sue esperienze spirituali. Come una è la bontà che pervade l’opera creatrice di Dio, così, nell’opera redentrice di Cristo, un’unica corrente di grazia attraversa la rinnovata creazione, sanando la frammentazione causata dal peccato.

[101] 17. Una delle vie per servire il mistero di salvezza di Dio è il dialogo: una conversazione spirituale fra eguali, che apre gli uomini verso il centro della loro identità. In tale dialogo veniamo in contatto con quanto Dio sta facendo nelle vite di altri uomini e donne, e approfondiamo la nostra percezione di tale azione divina: “Col dialogo, noi lasciamo che Dio sia presente in mezzo a noi; poiché quando noi ci apriamo gli uni agli altri nel dialogo, apriamo noi stessi anche a Dio”. Noi tentiamo di aiutare le persone a divenire consapevoli della presenza di Dio nella loro cultura e ci adoperiamo per renderle capaci di evangelizzare a loro volta gli altri. Il ministero del dialogo è condotto con la consapevolezza che l’azione di Dio precede la nostra. Non siamo noi a piantare il seme della sua presenza; è Lui ad averlo già fatto nella cultura – cui sta facendo portar frutti fin d’ora – abbracciando la creazione in tutte le sue differenze: nostro ruolo è cooperare con questa divina attività.

[102] 18. L’azione di Dio nella storia dell’uomo si dà a vedere nel lungo processo di una crescita umana – ancora incompleta, certo – percorsa da un grado sempre più intenso di luce, che si esprime in forme religiose, sociali, morali e culturali, su cui è impresso il segno del lavoro silenzioso dello Spirito. Nelle concezioni della mente, nelle disposizioni del cuore, nelle metafore di base e nei valori di tutte le culture – e potremmo anche dire, nello stesso processo con cui i nostri corpi fisici diventano capaci di intensa esperienza spirituale – Dio sta preparando nelle sue creature le condizioni per un riconoscimento amoroso della sua verità, rendendole pronte alla trasformazione promessa in Cristo: “Tutti sono chiamati a un comune destino: la pienezza di vita in Dio”.

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La nostra missione e la cultura critica postmoderna

[103] 19. Quanto sopra affermato è vero anche per quelle culture in cui difficile è il dialogo con quanti si ritengono al di là del cristianesimo e di qualunque tipo di impegno religioso. Dobbiamo usare una particolare attenzione verso costoro, per il loro influsso in tutto il mondo. Alcune culture odierne sono così inclini a restringere la fede religiosa all’ambito del privato e del personale, considerandola perfino come una strana eccentricità, che è difficile per il Vangelo “animare, dirigere e unificare” la cultura laica odierna. Riconosciamo che molti dei nostri contemporanei ritengono che né la fede cristiana né alcuna credenza religiosa sia benefica per l’umanità.

[104] 20. Il problema di lavorare in questi contesti non ha bisogno di lunga elaborazione qui, perché la linea di confine tra il Vangelo e la cultura moderna e postmoderna passa attraverso il cuore di ciascuno di noi. Ogni gesuita incontra l’impulso all’incredulità anzitutto in se stesso, e soltanto quando sappiamo confrontarci con questa dimensione in noi stessi, possiamo parlare agli altri della realtà di Dio. Di più, non possiamo parlare agli altri se il linguaggio religioso che usiamo è completamente estraneo a loro: la teologia che usiamo nel nostro ministero non può ignorare l’orizzonte delle questioni critiche moderne, entro il quale noi pure viviamo. Soltanto quando la nostra esperienza e comprensione di Dio producono senso, possiamo dire cose che hanno un senso per l’agnosticismo contemporaneo.

[105] 21. Questo è un ministero che non dovrebbe ignorare la tradizione mistica cristiana, la quale ripetutamente tratta dell’esperienza di Dio senza parole e senza immagini, al di là di ogni concetto: Si comprehendis, non est Deus, diceva Agostino. L’esperienza del silenzio che avvolge la natura di Dio può essere il punto di partenza per molti nostri contemporanei, ma ha luogo anche nel profondo della fede e dell’esperienza cristiana. Si ha una frammentazione della fede cristiana in Dio nella cultura postmoderna, in cui la spiritualità umana appare staccata da un’espressione esplicitamente religiosa. La vita spirituale delle persone non è morta: semplicemente si sta sviluppando fuori della Chiesa. La cultura “postcristiana” testimonia, inaspettatamente ed implicitamente, riverenza verso il Dio che non può essere immaginato dagli uomini senza distruggere il mistero divino: ciò ha relazione con quanto i cristiani significano con il “Padre”. Tale cultura cerca anche di trovare significato entro la stessa struttura dell’esperienza umana, incarnata: ciò ha relazione con quanto afferma la fede cristiana, che cioè il “significato” del mondo (il “Logos”) ci è fatto conoscere nella umanità di Gesù. C’è poi un profondo desiderio, espresso attraverso l’interesse per l’ambiente, di rispettare l’ordine naturale come luogo di un’immanente e insieme trascendente presenza: questo ha relazione con ciò che i cristiani chiamano lo “Spirito”,

[106] 22. Una evangelizzazione inculturata nei contesti postcristiani mira non a secolarizzare o diluire il Vangelo accomodandolo all’orizzonte della modernità, ma ad introdurre la possibilità e la realtà di Dio mediante una testimonianza e un dialogo effettivi. Dobbiamo riconoscere che oggi l’umanità può trovare nella scienza molte risposte che le generazioni precedenti potevano derivare solo dalla religione. In un contesto prevalentemente secolare, la nostra fede e la nostra intelligenza della fede sono spesso liberate da complicazioni culturali contingenti e, conseguentemente, purificate e approfondite.

[107] 23. Un tentativo sincero – costruito sul rispetto e l’amicizia – di operare dall’interno dell’esperienza comune a cristiani e non credenti, in una cultura secolare e critica, è l’unico punto di partenza che può avere successo. Il nostro ministero verso gli atei e gli agnostici o sarà un incontro di eguali che dialogano su questioni comuni, o sarà vano. Questo dialogo sarà basato su una condivisione di vita, un comune impegno per lo sviluppo e la liberazione dell’uomo, una condivisione di valori e una compartecipazione dell’umana esperienza. Attraverso il dialogo, le culture moderne e postmoderne possono venire stimolate ad aprirsi ad approcci ed esperienze che, benché radicati nella storia umana, sono nuovi per esse. Nello stesso tempo la teologia, se elaborata con occhio attento alla cultura critica contemporanea, può aiutare le persone a scoprire i limiti dell’immanenza e l’umana necessità della trascendenza.

[108] 24. Dobbiamo riconoscere che il Vangelo di Cristo provocherà sempre resistenza, perché sfida gli uomini e richiede da essi una conversione di mente, cuore e comportamento. Non è difficile notare che una cultura modernista, scientifico-tecnologica, con accenti spesso unilateralmente razionalistici e secolarizzanti, può essere distruttiva dei valori umani e spirituali. Come Ignazio fa vedere chiaramente nella “Meditazione dei due Vessilli”, la chiamata di Cristo è sempre radicalmente opposta ai valori che rifiutano la trascendenza spirituale e promuovono un modello di vita egoistica. Il peccato è sempre sociale nella sua espressione, come lo è la testimonianza controcorrente offerta dalla grazia: se la vita cristiana non differisce chiaramente dai valori della modernità laica, non avrà nulla di speciale da offrire. Uno dei più importanti contributi che possiamo offrire alla cultura critica contemporanea è mostrare che l’ingiustizia strutturale del mondo affonda le proprie radici in sistemi di valori promossi da una potente cultura moderna, che sta diventando universale nel suo impatto.

Cambiamento e speranza.

[109] 25. Fa parte della nostra tradizione gesuitica essere coinvolti nella trasformazione di ogni cultura umana, quando gli uomini cominciano a rimodellare gli schemi delle loro relazioni sociali, la loro eredità culturale, i loro progetti intellettuali, le loro prospettive critiche sulla religione, sulla verità e sulla moralità, la loro comprensione – scientifica e tecnologica – di se stessi e del mondo in cui vivono. Noi ci impegniamo ad accompagnare quanti, in contesti diversi, stanno vivendo difficili transizioni personali e culturali. Ci impegniamo a sviluppare la dimensione di una evangelizzazione inculturata, nell’ambito della nostra missione di servizio della fede e promozione della giustizia.

[110] 26. “Ignazio amava le grandi città”, perché esse erano i luoghi in cui questa trasformazione della comunità umana si stava realizzando, e voleva che i gesuiti fossero coinvolti in tale processo. La “città” può essere per noi il simbolo dello sforzo di far avanzare la cultura verso il compimento umano. Che il progetto, nella sua presente forma, sia seriamente difettoso, nessuno ne dubita; che noi guardiamo ad esso con maggiore scetticismo di trent’anni fa, è vero; che esso abbia prodotto massicce migrazioni e disuguaglianze, è chiaro per tutti; che le esperienze totalitarie di questo secolo siano state brutali e di intensità quasi demoniaca, nessuno vorrà negarlo; che tale progetto appaia talvolta simile alla Babele e alla Babilonia della Bibbia, è pure evidente. Ma è nostro compito il tentativo, confuso ma ineludibile, di cooperare alla creazione di una comunità che, secondo l’Apocalisse, Dio realizzerà – e Dio la realizzerà – nella forma della Città santa, la splendente Nuova Gerusalemme. “Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza. Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte. E porteranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni” (Ap 21, 24-26). Fino a quel giorno, la nostra vocazione è di lavorare generosamente con il Cristo risorto in questa città troppo poveramente umana – dove ci sono povertà di corpo e di spirito, dominio e controllo, manipolazione di mente e di cuore – e di servire il Signore in essa finché Egli non ritorni per condurre a perfezione il mondo in cui è morto.

Prospettive e criteri.

[111] 27. – Dobbiamo riconoscere che dar vita a un’evangelizzazione pienamente inculturata nella vita di un popolo è cosa complessa. Benché tutti i nostri ministeri debbano essere svolti con la consapevolezza della loro dimensione culturale, l’inculturazione del Vangelo può essere lenta semplicemente perché i cambiamenti culturali sono lenti.

[112] – Dobbiamo riconoscere che il nostro mondo è sempre più conscio dei diritti e delle diversità delle culture, e che ogni gruppo culturale sta giustamente affermando la peculiarità della propria eredità. È necessario da parte nostra rispettare queste diverse culture nella loro affermazione di sé e collaborare con esse in maniera creativa.

[113] – In ogni ministero dobbiamo riconoscere che l’opera salvifica della rivelazione di Dio è già presente in tutte le culture e che Dio la porterà a compimento.

[114] – Dobbiamo ricordarci che non possiamo evangelizzare direttamente delle “culture”, ma persone inserite nella loro cultura.Sia che lavoriamo nella nostra cultura, sia che lavoriamo in un’altra, come servitori del Vangelo noi dobbiamo non già imporre le nostre strutture culturali, ma rendere testimonianza alla creatività dello Spirito che è all’opera ovunque. In definitiva, sono le persone di una cultura che radicano la Chiesa e il Vangelo nelle loro vite.

[115] – È necessario per tutti noi riconoscere che ogni grande cultura contiene al proprio interno una gamma di culture etniche e di nuove sottoculture che spesso vengono ignorate.

[116] – Il richiamo alla evangelizzazione inculturata non è solamente per coloro che lavorano in Paesi diversi dal proprio. Tutte le nostre opere si realizzano in una situazione culturale particolare, con elementi positivi e negativi che il Vangelo deve raggiungere.

[117] – Dobbiamo ascoltare con attenzione quanti ci dicono che il Vangelo non parla loro e muoverci a comprendere l’esperienza culturale sottesa a ciò che dicono. Quanto noi diciamo e facciamo corrisponde ai bisogni reali e urgenti delle persone intorno a noi, nella loro relazione con Dio e con gli altri? Se la risposta è negativa, allora forse noi non siamo impegnati a fondo con la vita delle persone che serviamo.

Orientamenti e direttive.

[118] 28. Per stimolare le capacità della Compagnia ad avanzare ulteriormente nella promozione dell’inculturazione, formuliamo le seguenti proposte:

[119] – La nostra opzione per i poveri deve estendersi anche alle loro culture e valori, spesso basati su una ricca e fruttuosa tradizione. Questo permetterà un rispetto creativo e mutuo all’interno delle società e una promozione di una più feconda atmosfera culturale e religiosa.

[120] – Lo stile di vita delle comunità gesuitiche dovrebbe produrre una credibile testimonianza ai valori controcorrente del Vangelo, così che il nostro servizio della fede possa effettivamente trasformare i modelli della cultura locale.

[121] – Il nostro impegno per la giustizia sociale e per lo sviluppo umano deve concentrarsi sulla trasformazione dei valori culturali che sorreggono un ordine sociale ingiusto e oppressivo.

[122] – Ogni tappa dei nostri programmi di formazione dovrebbe radicarci nella cultura delle persone che serviamo; tali programmi dovrebbero mirare a farci partecipi della vita e dell’esperienza di queste persone e indurci a tentare di comprenderne dal di dentro la cultura.

[123] – Deve esserci un’integrazione tra la dinamica di inculturazione e il rinnovamento apostolico dei gesuiti e dei nostri collaboratori. Questo è essenziale per la nostra conversione del cuore e la riscoperta della freschezza del Vangelo nel suo dialogo con la cultura.

[124] – L’esperienza di una cultura diversa dalla nostra ci aiuterà a crescere in una visione più aperta verso ciò che è universale e più obiettiva circa le nostre culture di origine.

[125] – Le nostre istituzioni educative, in particolare, hanno un compito speciale nel mettere in relazione la fede cristiana con gli elementi essenziali delle culture contemporanee e tradizionali.

[126] – Dobbiamo impegnarci a creare delle autentiche “Chiese locali” in grado di contribuire alla ricchezza della comunione universale della Chiesa di Cristo. Dobbiamo altresì cercare vie per la creazione di una teologia, liturgia e spiritualità indigene, e per promuovere il diritto e la libertà dei popoli a incontrare il Vangelo senza essere alienati dalla propria cultura.

[127] – Come corpo apostolico internazionale, alla Compagnia è dato, in maniera unica, di poter attingere a un vasto campo di esperienze culturali nei propri ministeri e di poter promuovere un dialogo interculturale, contribuendo così alla missione della Chiesa, al servizio del disegno di Dio di riunire tutti i popoli nella comunione del suo Regno (cfr. Ef 1, 10; 2 Cor 5, 19).

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