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Gesuiti
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Servitori della missione di Cristo

Congregazione Generale 34 - Decreto 2

[15] 1. In quanto Compagnia di Gesù, noi siamo servitori della missione di Cristo. Nei trent’anni che sono seguiti alla 31ª Congregazione Generale, e specialmente nei venti anni che hanno fatto seguito alla 32ª, la Compagnia ha sentito insiemel a forza di Cristo crocifisso e risorto e la propria debolezza: è stato un tempo di prova per noi, ma anche un tempo di grandi grazie. Le nostre numerose mancanze le riconosciamo e le confessiamo; ma le grazie a noi concesse sono più importanti, perché vengono da Cristo. Alcuni ci hanno lasciato per servire il Signore su altre strade; altri, scossi dagli avvenimenti di questa epoca, hanno minore fiducia nella qualità della nostra vocazione. Noi però, senza perderci in indugi, siamo diventati una comunità di “amici nel Signore”, sostenendoci a vicenda nella libertà che produce l’amore cristiano e profondamente segnati dalle morti dei nostri martiri gesuiti di questo tempo. Nel corso di questi anni, la Compagnia è stata purificata nella fede che ci fa vivere e noi abbiamo progredito nella comprensione della nostra missione principale. Il nostro servizio, specialmente tra i poveri, ha reso più profonda la nostra vita di fede, sia come individui che come corpo; la nostra fede si è fatta più pasquale, più compassionevole, più tenera, più evangelica nella sua semplicità.

[16] 2. La Compagnia è divenuta pure un corpo più diversificato, come mai antecedentemente, impegnato in tanti e svariati ministeri, al crocevia del contrasto tra le culture, delle lotte sociali ed economiche, del risveglio religioso e di nuove occasioni per portare la Buona Notizia ai popoli del mondo intero.

[17] – I gesuiti in Africa sono impegnati nell’arduo compito di costruire una Chiesa africana, giovane e vibrante, radicata nella ricchezza di differenti culture; lavorano alla creazione di nuovi legami di solidarietà tra i loro popoli e lottano per vincere le forze che tendono a marginalizzare l’intero continente.

[18] – I gesuiti in Asia e Oceania sono impegnati nelle lotte delle popolazioni indigene e povere per la giustizia; soprattutto nelle regioni asiatiche, dove i cristiani sono una piccola minoranza, essi dialogano con le altre tradizioni culturali e religiose, nello sforzo di mettere in contatto il Vangelo con la vita asiatica e far entrare la ricchezza della cultura asiatica nella vita del Vangelo.

[19] – I gesuiti in America latina, alle prese con una società in cui regna una enorme disparità tra la vita dei ricchi e quella dei poveri, continuano a rimanere con i poveri e a lavorare per la giustizia del Regno. Essi lavorano pure a far si che la voce dei poveri insegni alla Chiesa a riguardo del Vangelo, attingendo alla ricchezza della fede del popolo e delle culture indigene.

[20] – Nei paesi ex-comunisti, i gesuiti, dopo lunghi anni di difficoltà e d’imprigionamento per la loro fede, stanno aiutando il loro popolo che cerca un cammino autentico di vita in una libertà ritrovata.

[21] – I gesuiti dell’Europa occidentale, attraverso un ventaglio di attività pastorali, spirituali ed educative, aiutano a mantenere la vitalità della fede e delle comunità cristiane, in un contesto profondamente segnato dall’indifferenza religiosa. In vari modi, poi, si adoperano per accompagnare e aiutare quanti si trovano ai margini della società.

[22] I gesuiti dell’America del Nord si stanno misurando con le sfide delle nuove forme di privazione culturale ed economica. Lavorano in stretta collaborazione con molti altri, nel tentativo di influire sulle strutture della società, li dove si prendono le decisioni e si determinano i valori.

[23] Tutti noi siamo impegnati nella missione della Compagnia, secondo i modi propri ai differenti contesti in cui lavoriamo. Abbiamo una sola missione, condivisa da sacerdoti e fratelli, e molti ministeri, che intraprendiamo come un servizio a Gesù Cristo e alla sua opera di riconciliazione del mondo con Dio.

[24] 3. La Chiesa, di cui condividiamo la missione, non esiste per se stessa ma per l’umanità, per proclamare l’amore di Dio e mettere in luce il dono interiore di questo amore. Il suo fine è la realizzazione del Regno di Dio in tutti gli ambiti e dimensioni della società umana, non soltanto nella vita futura ma anche in questa presente. Noi attuiamo la nostra missione di gesuiti in seno alla missione evangelizzatrice della Chiesa. Questa missione è “una realtà unitaria, ma complessa, e si esplica in vari modi”: attraverso le dimensioni integrali della testimonianza di vita, della proclamazione, della conversione, dell’inculturazione, della nascita di chiese locali, del dialogo e della promozione della giustizia voluta da Dio. In questo quadro, in accordo col nostro carisma, con la nostra tradizione e con l’approvazione e incoraggiamento dei Papi che si succedono, la missione gesuitica contemporanea è il servizio della fede e la promozione della giustizia nella società, di quella “giustizia del Vangelo”, la quale è come il sacramento dell’amore e della misericordia di Dio”.

[25] 4. Quando Ignazio fu confermato nella sua missione, a La Storta, l’Eterno Padre disse a Cristo: “Voglio che tu lo prenda come tuo servitore”; era volontà del Padre che Cristo, con sulle spalle la Croce come bandiera vittoriosa, prendesse Ignazio quale servitore della propria missione, perché lavorasse con lui sotto la stessa Croce fino al compimento della sua opera. È una visione che conferma la chiamata che Cristo, Re Eterno, fa negli Esercizi Spirituali: “Chi vorrà venire con me, deve accontentarsi di mangiare come me, e così pure bere e vestirsi ecc.; allo stesso modo, deve lavorare con me di giorno e vegliare di notte ecc.; affinché, in tal modo, dopo partecipi con me alla vittoria, così come partecipò alle sofferenze”.

[26] Ignazio, e tutti coloro che sono chiamati a questo servizio, sono associati nella sofferenza con Cristo nel suo ministero. Negli Esercizi Spirituali contempliamo la missione dì Cristo come una risposta della Santissima Trinità ai peccati che affliggono il mondo. Contempliamo il Figlio incarnato, nato nella povertà, che soffre per far arrivare il Regno con la parola e l’opera, e, alla fine, che soffre e muore per amore di tutti. Nella pedagogia degli Esercizi, Gesù ci invita a vedere nella sua vita terrena il modello della missione della Compagnia: predicare in povertà, essere liberi da legami familiari, essere obbedienti alla volontà di Dio, affrontare la propria lotta contro il peccato con totale generosità di cuore. Come Signore risorto, egli è presente ora in tutti coloro che soffrono, in tutti coloro che sono oppressi, in tutti coloro le cui vite sono state spezzate dal peccato. Come egli è presente in essi, così anche noi vogliamo essere presenti, in solidarietà e compassione, là dove la famiglia umana è più maltrattata. La missione del gesuita, in quanto servizio del Signore crocifisso e risorto, è sempre un entrare nell’opera salvatrice della Croce in un mondo ancora segnato dalla brutalità e dal male. Come compagni di Gesù, la nostra identità è inseparabile dalla nostra missione. Nadal è molto chiaro quando dice che per Ignazio, pur essendo vero che Cristo risorto è ormai nella gloria, tuttavia con la Croce è presente nella sofferenza che ancora permane nel mondo per il quale è morto: “Cristo, risuscitato dai morti, non muore più (Rm 6, 9), però soffre ancora nelle sue membra e porta continuamente la sua Croce, così che egli dice a Paolo: “Perchè mi perseguiti?”….

[27] 5. Per Sant’Ignazio era chiaro che, come la Compagnia non poté essere istituita con mezzi umani, così i suoi ministeri non si sarebbero conservati né sarebbero stati favoriti se non dalla “mano onnipotente di Cristo”. Così, dato che riceviamo la nostra missione da Cristo, ogni frutto che essa può produrre dipende interamente dalla sua grazia. È Cristo risorto che ci chiama e ci dona la forza di servirlo sotto il vessillo della Croce:

[28] – Cristo risorto, ben lungi dall’essere assente dalla storia del mondo, ha cominciato nello Spirito una nuova presenza al mondo. È attualmente presente a tutti e tutti attira nel suo mistero pasquale. Egli continua ad agire come mediatore dell’opera di Dio, che porta giustizia e riconciliazione a un mondo ancora frantumato dai propri peccati.

[29] – Cristo risorto che ci chiama è il primogenito tra i morti, il primo di un grande numero di fratelli e sorelle che, mediante il suo amore, saranno accolti nell’abbraccio di Dio. Egli è fra noi la presenza che ama e cura, assicurandoci che le cicatrici della brutalità e della morte non sfigureranno per sempre la nostra storia umana. La sua morte sull’albero della Croce porta un frutto che continua ad essere “per la salvezza delle nazioni” (Ap 22, 2).

[29] – Cristo risorto compie le promesse di Dio al popolo giudaico e continua a radunare tutti i popoli insieme con esso, per creare una nuova umanità nello Spirito, che unisca tutti i popoli in un solo corpo vivente (Ef 2, 15-16). In Lui, tutte le inimicizie umane sono sanate.

[30] 6. La missione della Compagnia deriva dalla nostra permanente esperienza di Cristo crocifisso e risorto che ci invita ad unirci a Lui nell’opera che prepara il mondo a diventare il Regno compiuto di Dio. Il centro della missione di Cristo è la proclamazione profetica del Vangelo che interpella le genti nel nome del Regno dì suo Padre: questo Regno noi dobbiamo predicare in povertà. Cristo ci chiama a entrare nell’intimo dell’esperienza del mondo che riceve questa promessa ed è condotto ad accogliere il dono di Dio nella sua pienezza. È ancora un’esperienza della Croce, in tutta la sua angoscia e in tutta la sua potenza, perché l’enigma del peccato e della morte fa ancora parte della realtà del mondo. Egli ci chiama ad “aiutare gli uomini e le donne a liberarsi dall’immagine appannata e confusa che essi hanno di se stessi, per scoprirsi, nella luce di Dio, in piena somiglianza con Lui”. In questo modo noi abbracciamo tutti i nostri ministeri con la fiducia che il Signore ci prende, come prese S. Ignazio, quali suoi servitori: non perché siamo forti, ma perché egli ci dice, come a S. Paolo: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12, 9).

Le grazie che Cristo concede

[32] 7. La chiamata di Cristo risorto ad unirci a Lui nell’opera per il Regno è sempre accompagnata dalla sua potenza. Una grazia particolare è stata concessa alla Compagnia quando la 32ª Congregazione Generale ha parlato della nostra missione oggi come “del servizio della fede, di cui la promozione della giustizia costituisce una esigenza assoluta”. Questa descrizione del nucleo principale del nostro lavoro e della nostra spiritualità, come pure del loro principio integrante, è fondata sulla Formula dell’istituto, che dopo aver parlato del fine della Compagnia – “occuparsi specialmente della difesa e propagazione della fede, e del progresso delle anime nella vita e nella dottrina cristiana” – individua tutta una serie di attività mediante le quali si raggiunge questa finalità: ministeri della parola e ministeri dello spirito, ministeri del servizio sacramentale, catechesi dei fanciulli e degli illetterati. Infine, evidenziando la centralità delle opere di misericordia nella vita cristiana, la descrizione apre un orizzonte di ministeri sociali che il gesuita deve compiere presso coloro che si trovano nel bisogno: “Egli nondimeno si dimostri adatto a riconciliare i dissidenti, a soccorrere e servire piamente quelli che sono in carcere e negli ospedali, e a compiere, in assoluta gratuità, tutte le altre opere di carità che sembreranno utili alla gloria di Dio e al bene comune”.

[33] 8. L’impegno della Compagnia per una vita di fede radicale che trova espressione nella promozione della giustizia per tutti, trae la sua ispirazione da questo documento di fondazione che si trova nella Lettera apostolica di papa Giulio III. Vi abbiamo trovato, per la nostra missione odierna, il carattere centrale del lavoro in solidarietà con i poveri secondo il nostro carisma ignaziano. Con occhi nuovi noi leggiamo come un testo profetico scritto per il nostro tempo ciò che Polanco, per ispirazione di Ignazio, scriveva alla comunità di Padova nel 1547: “I poveri sono tanto grandi dinanzi a Dio che particolarmente per loro fu mandato Gesù Cristo sulla terra: “Per la miseria degli oppressi e per il pianto dei poveri, ecco che io sorgo, dice il Signore”; e altrove: “Mi ha mandato ad evangelizzare i poveri”. Ciò ricorda Gesù Cristo facendo rispondere a S. Giovanni: “I poveri vengono evangelizzati”. Essi sono tanto preferiti ai ricchi che Gesù Cristo volle eleggere tutto il collegio santissimo degli apostoli tra i poveri; vivere e conversare con essi e lasciarli capi della sua Chiesa, costituendoli giudici delle dodici tribù d’Israele, cioè di tutti i fedeli, di cui essi, poveri, saranno “assessori”. Tanto viene esaltato il loro stato. L’amicizia dei poveri fa diventare amici del re eterno”.

[34] 9. Essere “amici del Signore” significa, allora, essere “amici dei poveri”: non possiamo voltare le spalle quando i nostri amici sono nel bisogno. Noi formiamo una comunità in solidarietà con loro, in ragione dell’amore preferenziale di Cristo per loro. Comprendiamo oggi più chiaramente che lo stato di peccato del mondo, che Cristo è venuto a sanare, raggiunge ai nostri giorni uno dei suoi apici nelle strutture sociali che escludono i poveri – la maggioranza dei popoli del mondo – dalla partecipazione ai beni della creazione di Dio. Ci rendiamo conto che la povertà opprimente genera una violenza sistematica contro la dignità degli uomini, delle donne, dei bambini e di coloro che non sono ancora nati, intollerabile nel Regno voluto da Dio. “Dio è sempre stato il Dio dei poveri, perché i poveri sono la prova visibile di una frattura nell’opera della creazione”.

[35] 10. Il papa Giovanni Paolo II parla di pervasive “strutture di peccato”, particolarmente caratterizzate dalla “brama esclusiva del profitto e dalla sete del potere”. Poiché la vita dello spirito è inseparabile dalle relazioni sociali, egli chiama i credenti di ogni fede e i non-credenti a rendersi conto dell'”urgente necessità di un cambiamento degli atteggiamenti spirituali che definiscono i rapporti di ogni uomo con se stesso, col prossimo, con le comunità umane, anche le più lontane, e con la natura”. È un appello che noi gesuiti, impegnati per l’azione dello Spirito Santo nel cuore umano e nel mondo, non possiamo rifiutare. Di conseguenza, nella condotta della nostra vita personale e comunitaria, ed in qualsivoglia nostro ministero – servizio pastorale, insegnamento, ministero spirituale, educazione – vivremo in maniera da avere sempre presente l’attuazione del Regno, in cui la giustizia di Dio, e non il peccato dell’uomo, prevarrà. Con le parole di Giovanni Paolo II, “lavorare per il regno vuol dire riconoscere e favorire il dinamismo divino, che è presente nella storia umana e la trasforma. Costruire il regno vuol dire lavorare per la liberazione dal male in tutte le sue forme. In sintesi, il Regno di Dio è la manifestazione e l’attuazione del suo disegno di salvezza in tutta la sua pienezza”.

[36] 11. Il nostro servizio è servizio della fede, e delle sue radicali implicazioni, in un mondo ove diventa sempre più facile contentarsi di qualcosa di meno della fede e della giustizia. Riconosciamo, con molti nostri contemporanei, che senza la fede, senza uno sguardo di amore, il mondo degli uomini appare troppo cattivo perché Dio sia un Dio buono, perché un Dio buono esista. Ma la fede riconosce che Dio agisce, tramite l’amore di Cristo e la potenza dello Spirito Santo, per distruggere le strutture di peccato che affliggono i corpi e i cuori dei suoi figli. La nostra missione di gesuiti raggiunge qualcosa di fondamentale nel cuore umano: il desiderio di trovare Dio in un mondo sfregiato dal peccato, e vivere poi secondo il Vangelo in tutte le sue implicazioni. Questo desiderio di vivere pienamente nell’amore di Dio e con esso promuovere un bene umano, condiviso, duraturo, è ciò che anima la nostra vocazione a servire la fede e promuovere la giustizia del Regno di Dio. Gesù Cristo ci invita, e attraverso noi invita la gente che serviamo, a passare, nella conversione del cuore, “dalla solidarietà col peccato alla solidarietà con lui per l’umanità” , e a promuovere il Regno sotto tutti i suoi aspetti.

[37] 12. Questa fede in Dio è inevitabilmente sociale nelle sue implicazioni, perché è orientata ai modi delle relazioni tra le persone e all’ordine che la società dovrebbe assumere. In numerose parti del mondo constatiamo una disintegrazione sociale e morale. Quando una società non ha alcuna base morale e spirituale, si generano ideologie conflittuali di odio, causa di violenza nazionalista, razziale, economica e sessuale. Ciò moltiplica gli abusi che fanno sorgere risentimenti e conflitti, e racchiude i gruppi in fondamentalismi aggressivi, capaci di lacerare dall’interno il tessuto della società. Questa diventa allora preda dei potenti e dei manipolatori, dei demagoghi e dei mentitori; diventa il luogo della corruzione sociale e morale.

[38] 13. Ma una fede che guarda verso il Regno genera comunità che si oppongono ai conflitti e alla disintegrazione della società. Dalla fede procede la giustizia voluta da Dio, l’ingresso della famiglia umana nella pace con Dio e con gli altri. Non è la propaganda mirante allo sfruttamento, ma è la fede religiosa, ispiratrice del bene umano e sociale che si trova nel Regno di Dio, l’unica in grado di portare la famiglia umana oltre il declino e il conflitto distruttore. Se le ingiustizie devono essere riconosciute e risolte, allora la possessività, il nazionalismo e la manipolazione del potere sono provocazioni che comunità fondate sulla carità religiosa – la carità del Servo sofferente, l’amore dimentico di se stesso manifestato dal Salvatore debbono raccogliere. La comunità che Cristo crea con la sua morte sfida il mondo a credere, ad agire con giustizia, a parlare con mutuo rispetto di ciò che è serio, a trasformare i propri sistemi di relazioni, ad assumere gli insegnamenti di Cristo comebase di vita.

Le dimensioni della nostra missione

[39] 14. Noi riaffermiamo ciò che è detto nel decreto 2 della 32ª Congregazione Generale: “Il servizio della fede e la promozione della giustizia non possono essere per noi un semplice ministero tra gli altri. Devono essere il fattore integrante di tutti i nostri ministeri; e non solo dei nostri ministeri, ma della nostra vita interna, come individui, come comunità e come fraternità sparsa sulla terra”. Il fine della missione che abbiamo ricevuto da Cristo, secondo la presentazione della Formula dell’Istituto, è il servizio della fede. Il principio unificatore della nostra missione è il legame inseparabile tra la fede e la promozione della giustizia del Regno. In questa Congregazione noi vogliamo approfondire ed estendere, in maniera più esplicita, la coscienza della Compagnia per queste dimensioni integrali della nostra missione, sulle quali il decreto 4 ha attirato l’attenzione e che raggiungono ora la loro maturità nella nostra esperienza e nei nostri ministeri attuali: abbiamo constatato che quando i nostri ministeri sono coronati da maggior frutto, questi elementi sono sempre presenti.

[40] 15. Il decreto 4, posta l’affermazione centrale circa l’inseparabilità del servizio della fede e della promozione della giustizia, parla del nostro “lavoro di evangelizzazione”” , in particolare mediante il dialogo con i membri di altre tradizioni religiose e l’impegno nella cultura, essenziale per una presentazione effettiva del Vangelo. Di conseguenza, il fine della nostra missione (il servizio della fede) e il suo principio integrante (la fede orientata alla giustizia del Regno) sono in relazione dinamica con la proclamazione inculturata del Vangelo e il dialogo con altre tradizioni religiose, in quanto dimensioni integrali dell’evangelizzazione. Il principio integrante estende il suo influsso in queste dimensioni che, come rami di un unico albero, costituiscono un complesso di caratteristiche essenziali della nostra unica missione di servizio della fede e promozione della giustizia.

[41] 16. Nella nostra esperienza dopo la 32ª Congregazione Generale, abbiamo verificato che il servizio della fede, orientato verso la giustizia del Regno di Dio, non può omettere queste altre dimensioni di dialogo e di inserimento nelle culture. La proclamazione del Vangelo in un contesto particolare deve sempre rivolgersi alle caratteristiche culturali, religiose e strutturali di questo, non come un messaggio che viene dall’esterno, ma come un principio “ispiratore, normativo e unificante, che [dall’interno] trasforma e ricrea questa cultura, dando origine a “una nuova creazione””.

[42] 17. Nel nostro positivo approccio alle religioni e alle culture, riconosciamo che tutte, compreso l'”Occidente cristiano” lungo la sua storia, hanno trovato modo di chiudersi alla vera libertà offerta da Dio. La giustizia può autenticamente crescere solo quando coinvolge la trasformazione della cultura, perché le radici dell’ingiustizia si trovano negli atteggiamenti culturali non meno che nelle strutture economiche. Il dialogo tra Vangelo e cultura deve svolgersi nel cuore di questa medesima. Dovrebbe essere condotto tra persone che si rispettano mutuamente e che insieme guardano ad una comune libertà umana e sociale. In questa maniera anche il Vangelo viene ad essere visto in una luce nuova; è arricchito, rinnovato, persino trasformato. Grazie al dialogo, il Vangelo stesso, la Parola sempre antica e sempre nuova, penetra le menti e i cuori della famiglia umana.

[43] 18. In breve: non ci può essere proclamazione effettiva del Regno senza che il Vangelo, portato nel cuore della società, non ne abbia rischiarato con la sua luce gli aspetti strutturali, culturali e religiosi.

[44] – C’è dialogo effettivo coi membri di altre tradizioni, a quando c’è un impegno condiviso per trasformare la vita culturale e sociale della gente.

[45] – La trasformazione delle culture umane richiede un dialogo con le religioni che le ispirano e un impegno circa le condizioni sociali che le strutturano.

[46] – Quando la nostra fede è orientata a Dio e alla sua giustizia nel mondo, questa giustizia non può realizzarsi se, allo stesso tempo, non ci curiamo delle dimensioni culturali della vita sociale e del modo in cui una particolare cultura si definisce rispetto alla trascendenza religiosa.

[47] 19. Oggi ci rendiamo chiaramente conto che:

Non c’è servizio della fede senza:
– promozione della giustizia
– ingresso nelle culture
– apertura ad altre esperienze religiose.
Non c’è promozione della giustizia senza:
– comunicazione della fede
– trasformazione delle culture
– collaborazione con altre tradizioni.

Non c’è inculturazione senza:
– comunicazione della fede ad altri
– dialogo con altre tradizioni
– impegno per la giustizia.

Non c’è dialogo religioso senza:
– condivisione della fede con altri
– valorizzazione delle culture
– sollecitudine per la giustizia.

[48] 20. Alla luce del decreto 4 e della nostra esperienza attuale possiamo ora dire esplicitamente che la nostra missione di servizio della fede e promozione della giustizia deve ampliarsi sino ad includere, come sue dimensioni integrali, proclamazione del Vangelo, dialogo ed evangelizzazione della cultura. Tali dimensioni appartengono al nostro servizio della fede – esses ono “senza confusione e senza separazione” – perché nascono da un’attenzione obbediente a ciò che il Cristo risorto sta compiendo per condurre il mondo alla pienezza del Regno di Dio. Queste dimensioni, all’interno della nostra missione unitaria, sviluppano le intuizioni presentate dalle nostre ultime Congregazioni e dall’esperienza apostolica della Compagnia in molte parti del mondo. Si ha qui un profondo esempio, ispirato dallo Spirito, del sentire cum Ecclesia in missione, appropriato ai modi in cui il nostro carisma arricchisce la missione evangelizzatrice della Chiesa.

[49] 21. Alla luce di queste riflessioni, possiamo ora dire della nostra missione contemporanea che la fede promotrice di giustizia è, inseparabilmente, la fede che impegna al dialogo con le altre tradizioni e la fede che evangelizza le culture.

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