Francesco: “Per un gesuita, coraggio, tenerezza e preghiera”
Ha parlato anche della Compagnia papa Francesco nelle conversazioni che ha avuto negli ultimi due viaggi. Il 2 febbraio scorso, nella Repubblica Democratica del Congo, con 82 gesuiti attivi nel Paese, guidati dal Provinciale, p. Rigobert Kyungu, dopo una presentazione della Provincia fatta dal p. Kyungu, è stato lasciato spazio alle domande dei presenti. La conversazione, così come quella avvenuta con i gesuiti in Sud Sudan il 4 febbraio, presente p. Kizito Kiyimba, Superiore della Provincia dell’Africa Orientale, è riportata in un articolo de “La Civiltà Cattolica” a firma del direttore, padre Antonio Spadaro.
Nei due incontri diverse le domande che hanno toccato lo specifico della Compagnia.
Repubblica Democratica del Congo
Come gesuita professo lei ha fatto voto di non cercare ruoli di autorità nella Chiesa. Che cosa l’ha spinta ad accettare l’episcopato e poi il cardinalato e poi il papato?
“Quando ho fatto quel voto l’ho fatto sul serio. Quando mi hanno proposto di essere vescovo ausiliare di San Miguel, io non ho accettato. Poi mi è stato chiesto di essere vescovo di una zona al Nord dell’Argentina, nella provincia di Corrientes. Il Nunzio, per incoraggiarmi ad accettare, mi disse che lì c’erano le rovine del passato dei gesuiti. Io ho risposto che non volevo essere guardiano delle rovine, e ho rifiutato. Ho rifiutato queste due richieste per il voto fatto. La terza volta è venuto il Nunzio, ma già con l’autorizzazione firmata dal Preposito generale, il p. Kolvenbach, che aveva acconsentito al fatto che io accettassi. Era come ausiliare di Buenos Aires. Per questo ho accettato in spirito di obbedienza. Poi sono stato nominato arcivescovo coadiutore della mia città, e nel 2001 cardinale. Nell’ultimo conclave sono venuto con una valigetta piccola per tornare subito in diocesi, ma sono dovuto rimanere. Io credo nella singolarità gesuita circa questo voto, e ho fatto il possibile per non accettare l’episcopato”.
Lei ha voluto vescovi gesuiti. Tra noi c’è un gesuita chiamato all’episcopato. Che cosa si aspetta da loro?
“La scelta di un gesuita come vescovo dipende esclusivamente dal bisogno della Chiesa. Io credo al nostro voto che tende a evitare che i gesuiti siano vescovi, ma, se serve per il bene della Chiesa, allora quest’ultimo bene prevale. Ti dico la verità: quando il Generale o i provinciali sanno che si sta pensando di fare vescovo un gesuita intervengono e sanno ben «difendere» la Compagnia. Se, però, poi si decide che è necessario, si fa. Altre volte – e sto pensando a un caso specifico –, se il primo della terna è un gesuita, ma poi c’è un secondo che può andare comunque bene, allora si sceglie il secondo della terna. Io credo al voto, ma prevalgono i bisogni della Chiesa”.
Sud Sudan
Santo Padre, la Compagnia di Gesù riceve la sua missione dal Papa. Qual è la missione che lei dà alla Compagnia oggi?
“Sono d’accordo con le preferenze apostoliche universali che la Compagnia ha elaborato. Esse consistono innanzitutto nell’indicare il cammino verso Dio mediante gli Esercizi spirituali e il discernimento.
La seconda è quella della missione di riconciliazione e di giustizia, che va fatta camminando insieme ai poveri, agli esclusi, a coloro che sono feriti nella propria dignità. E poi i giovani: bisogna accompagnarli a creare il futuro. Quindi la collaborazione nella cura della casa comune nello spirito della Laudato si’.
Io le ho approvate, e adesso i gesuiti devono incarnarle in ogni specifica realtà locale nelle modalità più adatte e adeguate, non in modo teorico e astratto. Ecco, voi dovete applicarle qui in Congo.
Certo, è chiaro che qui è forte il tema del conflitto, delle lotte tra fazioni. Ma apriamo gli occhi sul mondo: tutto il mondo è in guerra! La Siria vive una guerra da 12 anni, e poi lo Yemen, il Myanmar con il dramma dei rohingya. Anche in America Latina ci sono tensioni e conflitti. E poi questa guerra in Ucraina. Tutto il mondo è in guerra, ricordiamocelo bene. Ma io mi domando: l’umanità avrà il coraggio, la forza o persino l’opportunità di tornare indietro? Si va avanti, avanti, avanti verso il baratro. Non so: è una domanda che io mi faccio. Mi dispiace dirlo, ma sono un po’ pessimista.
Oggi davvero sembra che il problema principale sia la produzione di armi. C’è ancora tanta fame nel mondo e noi continuiamo a fabbricare le armi. È difficile tornare indietro da questa catastrofe. E non parliamo delle armi atomiche! Credo ancora in un lavoro di persuasione. Noi cristiani dobbiamo pregare tanto: «Signore, abbi pietà di noi!».
In questi giorni mi colpiscono i racconti delle violenze. Mi colpisce soprattutto la crudeltà. Le notizie che vengono dalle guerre che ci sono nel mondo ci parlano di una crudeltà persino difficile da pensare. Non solo si uccide, ma lo si fa crudelmente. Per me questa è una cosa nuova. Mi dà da pensare. Anche le notizie che arrivano dall’Ucraina ci parlano di crudeltà. E qui in Congo lo abbiamo ascoltato dalle testimonianze dirette delle vittime”.
Quando sarà beatificato padre Arrupe?
“La sua causa sta andando avanti, perché una delle tappe è già conclusa. Ne ho parlato con il Padre Generale. Il problema più grande riguarda gli scritti del padre Arrupe. Ha scritto tanto e bisogna leggere tutto quanto. E questo rallenta il processo. E torno alla preghiera. Arrupe era un uomo di preghiera, un uomo che lottava con Dio ogni giorno, e da lì nasce il suo forte appello alla promozione della giustizia. Lo vediamo nel suo «testamento», il discorso che fece in Thailandia, prima dell’ictus, quando ha ribadito l’importanza della missione con i rifugiati”.
Che cosa si aspetta dai gesuiti qui in Sud Sudan?
“Che siano coraggiosi, che siano teneri. Non dimenticate che Ignazio era un grande della tenerezza. Voleva i gesuiti coraggiosi con tenerezza. E li voleva uomini di preghiera. Coraggio, tenerezza e preghiera sono sufficienti per un gesuita”.
Ha un messaggio speciale per i gesuiti dell’Africa dell’Est?
“Che siano vicini al popolo e al Signore. Gli atteggiamenti fondamentali del Signore sono: vicinanza, misericordia e tenerezza. La vicinanza è chiara. Le istituzioni senza vicinanza e senza tenerezza faranno anche del bene, ma sono pagane. I gesuiti devono essere differenti”.
qui l’articolo di Vaticanews