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Padre Generale. Noi “vecchi” europei abbiamo tanto da imparare dall’Asia

Negli ultimi mesi il Padre Generale ha visitato il Vietnam e l’Australia (gennaio) e tre Province di una delle “zone tribali” dell’India, Jamshedpur, Ranchi e Hazaribag (febbraio). Al ritorno P. Nicolás ha così risposto alle domande per il bollettino della Curia Generale.

D. Negli ultimi mesi lei è tornato per ben due volte in Asia in occasione dell’assemblea delle Conferenze dei Provinciali dell’Asia-Pacifico (in Australia) e dell’Asia Meridionale (in India). Due zone del mondo molto diverse. Potrebbe descrivere brevemente i suoi sentimenti riguardo alle due Regioni?

R. E’ impossibile rispondere “brevemente” a questa domanda. Prima della visita pensavo che la pluralità e la varietà dei paesi e delle culture nell’Asia-Pacifico rendesse impossibile qualunque tipo di uniformità e che avremmo dovuto accettare la diversità come norma. Dopo aver visitato le tre Province indiane della cosiddetta “cintura tribale” dell’India, devo estendere anche al sub-continente indiano ciò che ho avvertito per l’Asia Orientale. Nessuno stereotipo può rendere giustizia alla ricca e variegata realtà dei popoli e delle loro culture. E’ veramente un’esperienza straordinaria che conferma in me la necessità di ricercare e studiare le differenti popolazioni e i loro modi di vivere con grande rispetto e amore per i loro stili di vita differenti.

D. Nel viaggio verso l’Australia si è fermato per qualche giorno in Vietnam. Che impressioni ha ricavato visitando questa giovane Provincia?

R. Che i gesuiti del Vietnam hanno grandi sfide a cui far fronte. Che sono in un momento di grande creatività, per quanto riguarda la vita della Chiesa, lo stile e le strutture della vita religiosa, l’incarnazione vietnamita del Vangelo e della spiritualità ignaziana, che è uno dei modi di accostare, incarnare e vivere lo stesso Vangelo nella Chiesa. La mia speranza è che essi siano abbastanza coraggiosi per vivere il Vangelo nella sua radicalità, e sufficientemente riflessivi per farlo in modo tale da diventare un aiuto stimolante per la comunità cristiana e per tutto il Vietnam. Ho grandi aspettative per questa giovane Provincia che si basano sul come hanno affrontato la sofferenza, la guerra e ogni sorta di difficoltà nella loro vita di fede; sul modo con cui cercano di comunicare la loro fede da una generazione all’altra; sulla straordinaria capacità di armonizzare un’incredibile gentilezza con una grande forza personale di convinzione; e così di seguito.

D. Nell’Assistenza dell’Asia-Pacifico ci sono tanti paesi molto diversi sotto ogni aspetto, tra cui anche Timor-Est, il nuovo stato sorto dopo una lunga guerra e tante sofferenze. Come si sta sviluppando qui la Compagnia?

R. La Compagnia si sta sviluppando in Timor-Est in tal modo da essere sempre più “normale”. Il discernimento sulle vocazioni sta migliorando; la formazione ha subito i necessari cambiamenti; la Regione si è sottoposta a un processo di discernimento e di creatività per quanto riguarda la pianificazione della nuova scuola; il P. Mark Raper, che è attualmente il superiore maggiore di Timor-Est, sta seguendo i principali problemi delle varie comunità e delle diverse forme di apostolato. E questo fa prevedere un futuro pieno di promesse.

D. Brevemente, quali sono le principali sfide per la Compagnia in Asia oggi?

R. Da una parte, a causa della reale globalizzazione dei sistemi e dei valori che si sta verificando nel mondo, l’Asia deve far fronte alle stesse sfide che abbiamo tutti noi in termini di significato, valori, profondità, pluralismo, creatività, ecc. Dall’altra parte, l’Asia è la privilegiata depositaria di una grande Saggezza che però è anch’essa in pericolo. Io sono convinto che la Compagnia non può permettere che questa saggezza vada perduta senza uno sforzo a tutto campo per imparare dalle tradizioni dell’Asia la Saggezza asiatica e le forme di spiritualità asiatiche per il bene della Chiesa e del mondo intero.

Una grande sfida per noi gesuiti, che condividiamo del resto con tutti gli altri religiosi dell’Asia, è di essere talmente profondi e coerenti nella nostra vita e nel nostro messaggio da essere credibili in mezzo a tradizioni che si caratterizzano per la profondità, la compassione, il distacco e la libertà interiore. Il solo fatto di vivere in Asia come membri del cosiddetto gruppo di “religiosi” è un grande incentivo a vivere il Vangelo nella sua pienezza. Io spero che accetteremo questa sfida con tutte le sue implicazioni.

D. Cosa possiamo imparare noi “vecchi” europei (e direi anche “vecchi” gesuiti) da questo continente?

R. Noi, “vecchi” europei e gesuiti, abbiamo molto da imparare dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina. Del resto non siamo poi tanto vecchi: la cultura, la saggezza e perfino la medicina della Cina sono molto più vecchie di qualunque pretesa di antichità dell’Europa. Gli europei sono stati grandi in alcuni aspetti del cammino dell’umanità. Ma abbiamo trascurato altri aspetti che gruppi umani in altre parti del mondo hanno coltivato e sviluppato. Pensare che il progresso umano e lo sviluppo debbano seguire il modello europeo come il migliore, dimostra semplicemente quanto profonda e insensibile sia la nostra ignoranza dell’umanità. Fortunatamente ho sempre conosciuto degli europei che si accostano con grande rispetto ad altre tradizioni sia dell’Est che del Sud del mondo, e che sanno bene che la migliore risposta alla mancanza di comprensione, quando ciò accade, è il silenzio.

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