Roma. “Trasformate le ferite in feritoie di speranza”, così Bregantini ai 7 gesuiti ordinati
Ogni ordinazione sacerdotale è una storia a sé. Ma se il celebrante condivide una parte del cammino delle persone sul cui capo poserà la mani, allora la lunga celebrazione diventa momento di condivisione profonda. E’accaduto il 14 aprile scorso, nella chiesa del Gesù a Roma, quando monsignor Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso, ha consacrato sei gesuiti della Provincia d’Italia e uno della Provincia dell’Africa Occidentale (Giuseppe Trotta, 46 anni; Leonardo Vezzani, 33; Narcisio Sunda, 40; Renato Colizzi, 38; Ronny Alessio, 37; Rosario Meli, 34; Valère Nkouaya Mbandji, 31). Per ognuno dei presenti Bregantini ha avuto una nota personale: “Giuseppe, cui ci lega la stessa culla di lavoro in Campobasso, poi Rommy, con cui abbiamo comuni amicizie nel Veneto, sua terra di origine, approfondite in Calabria. Narcisio ci porta la voce della Sardegna e il suo impegno con il mondo impegnativo dell’università, qui a Roma. Valèere del Camerum allarga i nostri orizzonti e mi fa ricordare in benedizione il lavoro pastorale con le CVX. Leonardo, di Prato, con la sua bella cadenza toscana, ci offre uno sguardo sull’Aquila e su Parigi, dove incontriamo Renato, di Roma, medico, lucido nelle analisi sull’Europa di oggi. Ed infine, Rosario, della Sicilia, che dona a tutti il calore ed il colore del Sud”.
Tanti frammenti, ha detto il vescovo, “ciascuno con la sua storia ed il suo cuore”. Amicizia è affetto nella parole del celebrante sono stati espressi anche per la Compagnia di Gesù: “Per questo è bello questo variegato mondo dei Gesuiti: un cuore che batte con il ritmo del mondo, ma insieme la forza di amare con passione la gente del luogo dove Dio ti manda. E’ quanto ho imparato con vera devozione dai Gesuiti che ho incontrato in Calabria che tanto mi hanno segnato, sia sul piano spirituale e biblico, che su quello sociale e culturale”.
Tornando ai giovani adulti che aveva di fronte, il vescovo ha ricordato che “ogni storia di questi giovani è partita da una scintilla, umile ed occasionale: un’esperienza ecclesiale, un incontro “casuale”, un dialogo, un libro, un dolore. Ogni fiume parte sempre da un ruscello tenero e piccolo, ma tenace e soprattutto lungimirante. Perché ogni rivolo d’acqua porta noi tutti ad incontrare il Cristo, il Signore della nostra vita, il punto focale dei desideri della storia e del cuore di ogni uomo. Ieri ed oggi”.
Bregantini ha riletto l’evento delle ordinazioni alla luce del Vangelo proclamato, in cui dedicato alla figura dell’apostolo Tommaso. Il soffio dello Spirito, che permette a Cristo di attraversare le porte chiuse, “vi fa nuovi, e anche voi, “mandati dal Padre” con la stessa potenza di Cristo, farete nuove tutte le cose. Quanto mi piaceva leggere questa precisazione di speranza inattesa, quando facevo il cappellano del carcere, in Calabria a Crotone. Perché sentivo che il Signore Gesù, il Risorto, non ha limiti, non ha confini, non ha porte chiuse. Le spalanca,le attraversa, le supera. Va oltre. Quell’oltre che mi ha tanto sostenuto e mi aiuta nella mia vita di vescovo, quando anch’io mi trovo le porte chiuse, sbarrate. Porte anche di cuori di presbiteri o di comunità. E mi pare di impazzire dal dolore. Come per Gesù. Il saper andare “oltre”, attraversare le porte della morte mi permette di ritrovare luce e risentire la forza dello Spirito, in nuovo slancio vitale, dentro il tessuto della storia”.
In riferimento alla storia il vescovo ha così esortato i giovani preti: “Non siate mai evanescenti, astratti, teorici. Offrite una fede vera, ben calibrata, fondata, toccata, in una “chiesa abitata da testimoni credibili”!”
Gesù che raccoglie la sfida dell’apostolo scettico – “Vieni Tommaso… guarda, stendi e metti!” – indica “il vero itinerario della fede, in tre passaggi autentici. Guarda: cioè contempla, alza gli occhi, vai oltre. Adora. Abbiate sempre occhi di stupore, con cui guardare con gioia la vostra comunità e la chiesa del nostro tempo. Sguardo positivo, ottimista, purificato dall’attesa e dal dolore! Stendi: cioè esci, supera, apri la tua mano, apri il tuo cuore. La vostra Congregazione vi ha tanto abituato a questa mentalità di apertura. Siatene grati, avvolti da orizzonti nuovi! Metti: cioè tocca, sperimenta, sii sempre concreto, palpabile”.
Tommaso riconosce il suo Signore e il suo Dio “non tramite un libro, pur se bello. Non tramite un’esperienza estetica, pur se avvolgente, specie oggi! No! E’ stata quella ferita, quelle stigmate aperte e conservate con cura dal Risorto che glielo hanno fatto scoprire. La via di Cristo Risorto è la via della Croce! Quelle “ferite”, per la forza dello Spirito Santo, effuso nel cuore dei discepoli, sono diventate “feritoie” di grazia e di luce”.
“Trasformare le ferite della vita in feritoia di speranza!” è il compito di ogni prete.
Dalle ferite, alle feritoie, in un itinerario antropologico, dove “le ferite della vita non vengono né mistificate né artificiosamente chiuse. Restano aperte. Restano nel corpo del Risorto. Gesù compie un miracolo, che solo Dio può fare: trasformare il male in bene, le ferite in feritoie, la notte nel giorno!”.
Da questa intuizione, dice Bregantini, derivano tante attualizzazioni. Il vescovo, indica, tra le altre, quella del mondo “cioè la preziosità dell’apostolato d’ambiente. Oltre le mura chiuse delle parrocchie” e la sfida del dolore: “la grande domanda che avvolge ogni creatura. Con lacrime grosse, che ci impediscono di vedere Dio! Di contemplare il suo volto di luce. Perché oscurati. Le ferite, allora, nel segno della fede, si aprono e tu puoi vedere Dio. Anzi, solo così lo vedi realmente. La crisi, se ben colta e ben compresa, pur con i suoi immensi drammi e ferite, potrà diventare un’opportunità. Da ferita a feritoia. Ma la gente dovrà sentire in voi, carissimi presbiteri e religiosi, il gusto gioioso della sobrietà! Dovrà sentirsi accompagnata da mani solidali, che sanno condividere il pane e la speranza, il cielo e la terra! La fede si fa povertà, come ci insegnava il Rosmini, a me così intensamente spiegato da P. Giacomo Martina! E allora la chiesa sarà realmente “libera”, come ci ammonisce la umile figura di P. Arrupe”.
La celebrazione di sabato 14 è stata preceduta da un altro momento di festa per la Compagnia: come da tradizione anche ques’anno il martedì dopo Pasqua sono state celebrate le ordinazioni diaconali. Per la Provincia di Italia è stato ordinato Nicola Bordogna, 40 anni, entrato in Compagnia nel 2003, milanese, ex alunno del Leone XIII.