Siria. Nel Foyer dei gesuiti per esorcizzare la paura
Nel Foyer dei gesuiti, nel cuore di Damasco, lo psicodramma comincia ogni domenica con una scena alla quale prendono parte sei dei cinquanta partecipanti. Si mettono in mezzo alla stanza e discutono a voce alta su di un tema per avviare poi il dibattito. Questa volta hanno preso come tema la paura di professare liberamente la propria fede religiosa. Siriani di tutte le confessioni religiose, appartenenti soprattutto al ceto medio, sostenitori o avversari di Bashar al-Assad, si riuniscono ogni settimana dall’inizio della contestazione contro il regime per esorcizzare un sentimento che hanno in comune: la paura. “Il paradosso è che in Siria tutti hanno paura. Perché il regime usa la violenza e la repressione? Perché ha paura di perdere il potere. E le persone che manifestano, credete che non abbiano paura? Hanno molta paura, ma scendono ugualmente in piazza”, assicura la psicanalista Rafah Nached, co-ispiratrice del progetto. La Siria è un paese multiconfessionale: i sunniti sono numericamente superiori, più degli alauiti che sono al potere, e dei cristiani. “La popolazione – dice Mayssan, una partecipante drusa – è cosciente dei rischi degli scontri religiosi. Tu puoi presumere in anticipo che ci saranno delle ritorsioni ma non è una cosa automatica. Il movimento di contestazione è pacifico e si rifiuta di lasciarsi trascinare nella violenza settaria. Io invece temo un intervento straniero, che porterebbe alla divisione del nostro paese, come è successo nella ex-Jugoslavia”. A questo punto Zeina, una cristiana, interviene timidamente: “Io penso che l’opposizione sia divisa tra persone istruite e consapevoli della posta in gioco e persone più religiose ma meno istruite”.
I presenti ascoltano con attenzione. All’improvviso, Alaa, un cristiano, racconta la sua esperienza recente. “Avevo dei pregiudizi contro i musulmani a causa della mia educazione, perché la mia famiglia mi aveva sempre ripetuto di non frequentarli. All’inizio stavo dalla parte del regime; poi, dopo tutti questi morti, sono sceso in piazza anch’io”. Parla molto rapidamente come se avesse bisogno di estirpare qualcosa dal suo corpo: “Quando ho preso parte alla manifestazione a Douma, alla periferia di Damasco – prosegue il giovane che avrà sì e no vent’anni – queste persone, che ci hanno sempre descritto come gentaglia, mi hanno nascosto quando ero inseguito dalla polizia e temevo di essere catturato”. Fine della scena. Un minuto di silenzio per concentrarsi, poi ogni partecipante potrà parlare a turno. Per il Padre Rami Elias, psicanalista e responsabile della residenza dei gesuiti che ospita la riunione, “non si tratta di fare politica, ma di creare uno spazio in cui ognuno possa parlare della paura che sente per condividerla e canalizzarla di modo che non si trasformi in violenza”. (L’Orient-Le-Jour, Beirut).