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Unica priorità è il salvataggio di vite in mare

Il 3 gennaio è entrato in vigore il decreto legge “disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori”.

Ricorrere alla decretazione d’urgenza, scrive il Centro Astalli, appare purtroppo ancora una volta non adeguato per gestire un fenomeno complesso e strutturale come le migrazioni, soprattutto se a essere normato è il soccorso in mare.
L’Italia si trova infatti al centro del Mediterraneo, oggi la rotta migratoria più pericolosa al mondo, e l’unica soluzione possibile è solo e soltanto quella che ha come obiettivo principale il salvataggio del più alto numero di vite in mare.

Il Centro Astalli ribadisce la necessità di un approccio al tema, fuori da logiche emergenziali, che tenga conto dei diritti umani, delle convenzioni internazionali e che sia frutto di una visione politica che intenda le migrazioni, non più come un’emergenza, ma come una risorsa da governare nell’interesse di chi arriva e delle comunità che si trovano ad accogliere.

L’unico modo per evitare gli arrivi irregolari dei migranti è creare alternative legali per il loro ingresso per questo Il Centro Astalli chiede a istituzioni nazionali e sovranazionali di:

– stabilire quote proporzionali e adeguate per chi vuole entrare in Italia in cerca di un’occupazione o per motivi di studio, che tengano conto dei bisogni reali del Paese. L’ultimo decreto flussi stabilisce quote di ingresso per 82mila persone (solo 10mila in più rispetto al decreto flussi emanato dal precedente Governo e ben al di sotto delle esigenze del comparto produttivo italiano).

– aprire canali umanitari, in modo strutturale e per numeri adeguati, per chi fugge da contesti di guerra, dittature o crisi umanitaria.

– evacuare i migranti dalla Libia: la sola permanenza in quello Stato non sicuro dovrebbe dare ai migranti diritto a una forma di protezione internazionale. Interrompere immediatamente gli accordi in corso che costringono migliaia di persone a torture e violenze di ogni tipo.

– favorire i ricongiungimenti familiari e investire seriamente in programmi di resettlement. Questi ultimi oggi riguardano soltanto poche centinaia di persone in tutta Europa, quando invece potrebbero essere uno strumento efficace per l’ingresso in sicurezza e per avviare percorsi di accoglienza e integrazione

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