Venezia.ILLUMInazioni – testimonianze giovani sulla Biennale d’Arte
In un freddo sabato di novembre, venti giovani del gruppo cultura della Rete Loyola di Bologna, sono partiti alla volta della Biennale d’Arte di Venezia, per quello che il Presidente della Biennale, Paolo Baratta, definisce «un grande pellegrinaggio dove nelle opere degli artisti e nel lavoro dei curatori si incontrano le voci del mondo che ci parlano del loro e del nostro futuro». Nel cammino attraverso le due sedi espositive, l’Arsenale e i Giardini, il gruppo si è lasciato guidare da alcune delle domande che la curatrice Bice Curiger ha rivolto agli artisti: «Quante nazioni ci sono dentro di te? Dove ti senti a casa? Che lingua parlerà il futuro?». Ha cercato risposte – e spesso trovato nuove domande – nelle penombre riflessive, nelle luci soffuse o violente, gioiose o inquietanti, nelle oscurità rotte all’improvviso.
Già la prima installazione incontrata, una casa labirinto, ha fatto riflettere nella sua alternanza di pareti a specchio e di ampie finestre: si è ‘a casa’ quando, nelle nostre vite, il guardarsi dentro e il guardare oltre, l’attenzione a sé e quella all’altro sono in equilibrio. E tante sono state le opere che hanno guidato lo sguardo verso l’interiorità, come tante sono state quelle che hanno interpellato i giovani su relazione e comunità.
Un grande drago morente ha richiamato i mostri delle favole d’infanzia, e suggerito domande su quelli del nostro presente. Analogamente, i duemila piccioni che osservano il visitatore dalle travi del Padiglione Centrale creando una sensazione di minaccia persistente, hanno costretti a indagare l’identità di ciò che nella vita viene percepito come estraneo, intruso e opprimente. La riproduzione de Il ratto delle Sabine del Giambologna, realizzata da Urs Fischer sotto forma di una gigantesca candela, fatta bruciare e consumare lentamente nel corso dell’esposizione, ha condotto la riflessione sulla ‘forma’ della nostra vita, su come essa possa essere modificata fino ad essere distrutta, ma anche su come possa essere continuamente ricreata, allo stesso modo in cui la cera della scultura può tornare a essere modellata per essere nuova opera d’arte. Il Padiglione Italia, invece, ha violentemente spostato lo sguardo sulla collettività: per festeggiare il centocinquantesimo dell’unità d’Italia, gli artisti hanno scelto di rappresentarne le ferite, le contraddizioni della politica e della religione. Così, di fronte a un’Italia sanguinante e crocifissa, il Museo della Mafia ha ripercorso la storia di morte e ingiustizia che ha segnato e continua a segnare il nostro Paese. Per ricordarne le vittime, una foresta di rose rosse, fragili e solitarie nei loro contenitori di vetro, che tocca con la sua bellezza, dolorosa, ma carica di speranza.