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Ai giovani inquieti il Papa propone come modello Francesco Saverio

Presentazione di un libro presso la comunità dei gesuiti di Villapizzone a Milano

All’ultima udienza generale il Papa ha parlato di San Francesco Saverio, del suo zelo apostolico e del suo desiderio di far conoscere Gesù nelle terre più lontane e sconosciute, come la Cina.

Qui il servizio completo di Vatican News

Del santo gesuita spagnolo vissuto nel XVI secolo Francesco traccia un breve profilo. Giovane “intelligente, bravo, mondano”, va a studiare a Parigi e qui conosce Ignazio di Loyola. I suoi esercizi spirituali gli cambiano la vita: “lascia tutta la sua carriera mondana per diventare missionario”, “si fa gesuita”, pronuncia i voti, “diventa sacerdote, e va a evangelizzare, inviato in Oriente”.

Parte così il primo di una numerosa schiera di missionari, missionari appassionati dei tempi moderni, pronti a sopportare fatiche e pericoli immensi, a raggiungere terre e incontrare popoli di culture e lingue del tutto sconosciute, spinti solo dal fortissimo desiderio di far conoscere Gesù Cristo e il suo Vangelo.

Francesco Saverio viaggia molto, affronta duri viaggi in mare e il Pontefice fa notare che molti, a quell’epoca, morivano “per naufragi o malattie”, mentre oggi,purtroppo, in tanti “muoiono perché noi li lasciamo morire nel Mediterraneo”. Del giovane gesuita, poi, il Papa ricorda l’inizio della missione a Goa e l’evangelizzazione dei pescatori della costa meridionale dell’India. Insegnava catechismo e preghiere ai bambini, battezzava e curava i malati, e una notte, pregando presso la tomba dell’apostolo San Bartolomeo, “sente di dover andare oltre l’India”. Così, lasciato “in buone mani il lavoro che era già avviato”, salpa coraggiosamente per le Molucche.

Per questa gente non c’erano orizzonti, loro andavano oltre… Un coraggio avevano questi santi missionari! Anche quelli di oggi, anche quelli di oggi, sì, che non vanno in nave per tre mesi, vanno in aereo per 24 ore ma poi lì è lo stesso. Si deve mettere lì, e fare tanti kilometri, internarsi nelle foreste… 

Nelle isole più lontane dell’arcipelago indonesiano, Saverio, nell’arco di due anni, “fonda diverse comunità cristiane”, scrive il catechismo nella lingua locale e insegna a cantarlo. L’esperienza missionaria, lo porta a definire “i pericoli e le sofferenze, accolti volontariamente e unicamente per amore e servizio di Dio” dei “tesori ricchi di grandi consolazioni spirituali”, come lui stesso scrive, specifica il Papa.

La missione di Francesco Saverio, che “aveva l’inquietudine dell’apostolo, di andare oltre”, prosegue poi in Giappone, dove “nessun missionario europeo si era ancora spinto”, continua il Pontefice, che descrive i tre anni “durissimi per il clima, le opposizioni e l’ignoranza della lingua” trascorsi nel Paese dal santo e poi il desiderio di arrivare in Cina, che “con la sua cultura, la sua storia, la sua grandezza, esercitava di fatto un predominio su quella parte del mondo”, una terra che anche è “un polo culturale, con una storia grande, una storia bellissima”, osserva Francesco. Il missionario gesuita comincia il suo nuovo viaggio ma “muore sulla piccola isola di Sancian, aspettando invano di poter sbarcare sulla terraferma vicino a Canton”. Era il 3 dicembre del 1552 e aveva 46 anni, “aveva speso la vita nella missione, con lo zelo”: partito dalla colta Spagna colta, “arriva al Paese più colto del mondo in quel momento, la Cina, e muore davanti alla grande Cina, accompagnato da un cinese. Tutto un simbolo”, sottolinea il Papa. Un’attività intensissima “sempre unita alla preghiera, all’unione con Dio, mistica e contemplativa”, quella di Francesco Saverio, che “non era un missionario ‘aristocratico’: andava sempre con i più bisognosi, i bambini che erano i più bisognosi di istruzione, di catechesi, i poveri, i malati”, conclude il Pontefice, andava “alle frontiere dell’assistenza. E lì è cresciuto in grandezza”.

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