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Caratteristiche del nostro modo di procedere

Congregazione Generale 34 - Decreto 26

[535] 1. Un insieme di atteggiamenti, di valori, di modelli di comportamento, costituisce ciò che viene definito il modo di procedere del gesuita. Le caratteristiche ditale modo di procedere sono sorte nella vita stessa di S. Ignazio e sono state condivise dai suoi primi compagni. Girolamo Nadal scrive: “La forma della Compagnia si trova nella vita di Ignazio”. “Dio ce lo ha messo davanti come esempio vivente del nostro modo di procedere”.

[534] 2. La Congregazione Generale 34ª si è chiesta quali di queste caratteristiche dobbiamo oggi mettere particolarmente in evidenza, e quale forma esse debbano assumere nelle nuove situazioni e nell’evoluzione dei ministeri cui ci dedichiamo oggi. Suggeriamo che gli aspetti seguenti debbano essere tenuti presenti.

Un profondo amore personale per Gesù Cristo

[537] 3. In questo caso, chiedere di conoscere intimamente il Signore che per me si e fatto uomo, perché lo ami e lo segua di più.

[538] 4. Con rimorso, con gratitudine, con meraviglia, ma soprattutto con amore appassionato, Ignazio per primo e ogni gesuita dopo di lui, si sono rivolti in preghiera a “Cristo nostro Signore, pendente dalla croce davanti a me”, e si sono chiesti: “Cosa ho fatto per Cristo? Cosa faccio per Cristo? Cosa devo fare per Cristo?”. Sono domande che sgorgano da un cuore pieno di profonda gratitudine e di amore. È questa la grazia fondante che lega i gesuiti a Gesù e tra di loro. “Che cosa vuol dire essere gesuita? Vuol dire riconoscersi peccatore, ma chiamato da Dio a essere compagno dì Gesù Cristo, come lo fu Ignazio”. E la missione di un peccatore riconciliato è una missione di riconciliazione: è l’opera della fede che fa la giustizia. Il gesuita dona gratuitamente ciò che ha gratuitamente ricevuto: il dono dell’amore redentore di Cristo.

[539] 5. Oggi noi portiamo questo dono controcorrente in una cultura mondana centrata egocentricamente sulla riuscita, sul consumismo, sulla vita comoda, in un mondo che premia il prestigio, il potere, l’autosufficienza. Quando predichiamo a questo mondo Cristo umile e povero, con fedeltà e coraggio, dobbiamo aspettarci umiliazioni, persecuzioni e perfino morte. Lo abbiamo visto accadere a nostri fratelli in anni recenti. Andiamo comunque avanti risolutamente, per realizzare il nostro “desiderio di rassomigliare e di imitare in qualche misura il nostro Creatore e Signore Gesù Cristo […] perché egli è la via che porta gli uomini alla vita”. Oggi come ieri, è questo profondo amore personale per Gesù, la Via, che caratterizza il modo di procedere del gesuita.

Contemplativi nell’azione.

[540] 6. Non posso fare a meno di ricordare quella grazia che egli aveva in ogni circostanza, mentre lavorava o nelle conversazioni, di sentire e contemplare la presenza di Dio e l’attrazione per le cose spirituali, e di essere contemplativo anche nell’azione. E, riguardo a tutto questo, egli era solito dire che Dio deve essere trovato in tutte le cose.

[541] 7. Il Dio di Ignazio è un Dio all’opera in ogni cosa: un Dio che opera per la salvezza di tutti, come nella “Contemplazione per ottenere l’amore”, che lavora direttamente e immediatamente con l’esercitante, come nelle Annotazioni 15 e 16, o che – come Cristo Re – agisce per la liberazione del mondo, o, come è detto all’inizio e alla fine delle Costituzioni, fa nascere, protegge, dirige e fa progredire la Compagnia di Gesù.

[542] 8. Per un gesuita, del resto, non è valida una risposta qualsiasi ai bisogni degli uomini e delle donne di oggi: l’iniziativa deve venire dal Signore che lavora e opera negli eventi e nelle persone, qui e ora. Dio ci invita a unirci a lui nel suo operare, ma come l’intende lui e a suo modo. Trovare il Signore e unirsi a lui, operando per portare ogni cosa alla sua pienezza, pertanto, è fondamentale nel modo di procedere del gesuita. È il metodo ignaziano del discernimento nella preghiera, che può essere descritto come “esperienza, riflessione, opzioni, azione; e questo in una costante interrelazione, secondo l’ideale del gesuita, “in actione contemplativus””. Attraverso il discernimento apostolico individuale e comunitario, vissuto nell’obbedienza, i gesuiti si assumono la responsabilità delle loro scelte apostoliche nel mondo d’oggi. Tale discernimento si espande anche fino a comprendere la più ampia comunità di coloro con i quali noi compiamo la nostra missione.

Un corpo apostolico nella Chiesa

[543] 9. Alla fine decidemmo affermativamente: e cioè che […] non avremmo dovuto spezzare questa unione e questa amicizia ricevute da Dio, ma piuttosto consolidarle ancora di più, costituendoci in un solo corpo.

[544] 10. Seguendo l’esempio di Gesù, i primi gesuiti sarebbero stati mandati, per quanto possibile, in gruppi di almeno due. Eppure, anche se dispersi, i vincoli di unità con i loro capì e fra dì loro rimasero saldi, attraverso la continua comunicazione e l’invio di lettere, così come chiedeva con insistenza Ignazio, e specialmente attraverso il rendiconto di coscienza. Francesco Saverio, operando lontano da Roma, nelle Indie, affermava semplicemente: “Compagnia di Gesù vuol dire Compagnia di amore”.

[545] 11. I gesuiti oggi si trovano insieme perché ciascuno di noi ha ascoltato la chiamata di Cristo, il Re. Da questa unione con Cristo sgorga, necessariamente, il mutuo amore. Noi non siamo solamente colleghi dì lavoro, ma amici nel Signore. La comunità alla quale apparteniamo è l’intero corpo della Compagnia, comunque disperso su tutta la faccia della terra. Proveniamo da molte nazioni e culture, parliamo lingue diverse, ma la nostra unione è arricchita e non minacciata dalla diversità. Nella preghiera condivisa, nella conversazione e nella celebrazione dell’Eucarestia ciascuno di noi trova le risorse spirituali necessarie per una comunità apostolica. E nel nostro servizio al Signore Gesù e alla sua sposa la Chiesa, Popolo dì Dio, noi siamo particolarmente uniti al Romano Pontefice per essere inviati a quelle missioni che egli vorrà affidarci. Come uomini della Chiesa, noi non possiamo pensare che con la Chiesa, guidata dallo Spirito del Signore risorto.

Solidarietà con chi è maggiormente nel bisogno

[546] 12. Per la maggior gloria di Dio nostro Signore, il nostro obiettivo principale […] è […] predicare, confessare, tener lezioni di Scrittura, insegnare ai fanciulli, dare Esercizi, visitare i poveri negli ospedali ed esortare il prossimo. Ciascuno secondo il proprio talento animerà quelli che potrà alla devozione e alla preghiera.

[547] 13. Ignazio e i suoi seguaci cominciarono a predicare in povertà. Lavorarono con i potenti e i deboli, con principi, re e vescovi, ma anche con le donne di strada e con le vittime della peste: essi vincolarono il loro ministero presso i potenti ai bisogni di chi era senza potere.

[548] 14. Oggi, qualunque sia il nostro ministero, noi gesuiti diveniamo solidali con i poveri, gli emarginati, i senza voce, per renderli capaci di partecipare a quei processi che danno forma alla società nella quale vivono e lavorano. Essi, a loro volta, ci insegnano la nostra povertà, come nessun documento potrebbe fare. Essi ci aiutano a capire il significato della gratuità dei nostri ministeri, a dare gratuitamente come gratuitamente abbiamo ricevuto, a donare veramente la nostra vita. Essi ci mostrano come inculturare i valori del vangelo in situazioni dove Dio è dimenticato. Attraverso questa solidarietà noi diveniamo “agenti di inculturazione”.

Collaborazione con gli altri

[549] 15. Per lo stesso motivo, si deve preferire l’aiuto che si dà a grandi nazioni, come le Indie, o a città importanti e a sedi universitarie, dove, di solito, accorrono molte persone, le quali, una volta aiutate, possono diventare operatori di bene in aiuto di altri.

[550] 16. Collaborare con gli altri nel ministero non è una strategia voluta pragmaticamente in considerazione della diminuzione del personale, ma una dimensione essenziale del modo di procedere della Compagnia oggi. Essa si fonda nella convinzione che per disporre questo nostro mondo, complesso e diviso, ad accogliere il regno di Dio, è necessaria una pluralità di doni, di prospettive, di esperienze, di portata internazionale e di carattere multi-culturale.

[551] 17. Per questo i gesuiti collaborano con laici e laiche nella Chiesa, e con religiosi, sacerdoti e vescovi nella Chiesa locale in cui servono, con membri dì altre religioni e con tutte le persone di buona volontà. Nella misura in cui sviluppiamo un’ampia gamma dì relazioni feconde e fondate nel rispetto, realizziamo la preghiera sacerdotale di Cristo: “Che siano tutti una cosa sola” (Gv 17,20).

Chiamati a un ministero còlto

[552] 18. Il pellegrino aveva compreso che la sua permanenza a Gerusalemme non era volontà di Dio. Da allora andava sempre considerando tra sé cosa doveva fare. Si sentiva propenso a dedicarsi per un pò di tempo allo studio in modo da mettersi in grado di aiutare le anime; così decise di andare a Barcellona.

[553] 19. Ignazio si rese immediatamente conto del bisogno di cultura nel servizio della fede e nell’annuncio della Parola. Nella Formula dell’istituto leggiamo: “Questo Istituto […] esige uomini quanto mai umili e prudenti in Cristo, e ragguardevoli per purezza di vita cristiana e per sapere”. È pertanto una delle caratteristiche del gesuita quella di vivere in una tensione creativa questa richiesta ignaziana: usare tutti i mezzi umani, la scienza, l’arte, la cultura, le capacità naturali, e al tempo stesso affidarsi completamente alla grazia divina.

[554] 20. Nel nostro odierno ministero, noi rispettiamo e apprezziamo ciò che vi è di buono nella cultura contemporanea, pur rimanendo critici e proponendo alternative agli aspetti negativi della stessa cultura. Fare questo, a fronte della complessità delle sfide e delle opportunità offerte dal mondo contemporaneo, richiede tutte le doti di cultura e intelligenza, immaginazione e semplicità, studi solidi e analisi rigorose di cui siamo capaci. Vincere l’ignoranza e i pregiudizi con la cultura e l’insegnamento, fare del Vangelo – con la riflessione teologica – una vera “Buona Notizia” in un mondo così confuso e turbato, è un modo tipico di procedere da gesuiti.

Uomini inviati, sempre pronti per nuove missioni

[555] 21. Se non ottenevano il permesso di stabilirsi a Gerusalemme, tornati a Roma si sarebbero presentati al Vicario di Cristo perché si servisse di loro dove giudicava che lo richiedesse la maggiore gloria di Dio e il bene delle anime.

[556] 22. Nadal, promulgando le Costituzioni, si chiede perché ci sono i gesuiti. Ci sono già sacerdoti diocesani e vescovi… E risponde semplicemente che il nostro carisma, cioè la nostra ragione di esistere, è che noi possiamo andare dove ci sono esigenze cui nessuno risponde. Il nostro modo dì procedere favorisce questa mobilità.

[557] 23. Il gesuita è essenzialmente un uomo in missione: missione che riceve dal Santo Padre e dal proprio superiore religioso, e, alla fin fine, da Cristo stesso, colui che è stato inviato dal Padre. I gesuiti sono “sempre pronti ad andare in questa o in quell’altra parte del mondo, dove fossero mandati dal Sommo Pontefice o dai loro superiori”.

[558] 24. È perciò una caratteristica del nostro modo di procedere il vivere una grande libertà d’azione: aperti, adattabili, persino desiderosi di qualsiasi missione ci possa essere affidata. L’ideale è veramente quello dì essere dediti senza condizioni alla missione, liberi da ogni interesse mondano, liberi di servire tutta l’umanità. E fa anche parte della nostra missione il trasmettere agli altri lo stesso spirito missionario.

Sempre alla ricerca del magis

[559] 25. Quelli che si vorranno dedicare e distinguere in ogni servizio del loro re eterno e signore universale, non solo impegneranno le loro persone nella fatica, ma […] faranno offerte di maggior valore e di maggiore importanza.

[560] 26. Il magis non è semplicemente una realtà tra le altre nella lista delle caratteristiche dì un gesuita, ma le pervade tutte. L’intera vita di Ignazio fu un pellegrinaggio alla ricerca del magis, la sempre più grande gloria di Dio, il servizio sempre più pieno dei prossimi, il bene più universale, i mezzi apostolici maggiormente efficaci. “Nella visione ignaziana del mondo non c’è posto per la mediocrità”.

[561] 27. I gesuiti non sono mai contenti dello status quo, del noto, del provato, di ciò che già esiste: siamo continuamente portati a scoprire, ridefinire e raggiungere il magis. Per noi frontiere e confini non sono ostacoli o punti di arrivo, ma nuove sfide da affrontare, nuove occasioni da cogliere. Veramente è tipica del nostro modo di procedere una santa audacia, “una certa aggressività apostolica”.

Conclusione

[562] 28. Il nostro modo di procedere è una sorta di sfida. Ma è ad esso che si deve “che ciascun figlio della Compagnia agisca e reagisca, nelle situazioni più impreviste, in un modo coerentemente ignaziano e gesuitico”.

[563] 29. Che noi possiamo vivere con sempre maggior fedeltà questo modo di agire di Cristo modellato da S. Ignazio. Per questo preghiamo con una preghiera del P. Pedro Arrupe:

“Signore, meditando sul “nostro modo di procedere”, ho scoperto che l’ideale del nostro modo di agire è il tuo modo di agire.
Dammi, soprattutto, il sensus Christi, affinché io possa sentire con i tuoi sentimenti, i sentimenti del tuo Cuore, con cui ami il Padre e gli uomini.
Insegnami ad essere compassionevole con chi soffre: con i poveri, con i ciechi, con i lebbrosi, con i paralitici.
Insegnaci il tuo “modo” affinché esso divenga, oggi, il nostro “modo”, e noi possiamo realizzare l’ideale di Ignazio: essere compagni tuoi, “alter Christus”, tuoi collaboratori nell’opera della redenzione”.

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