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Gesuiti
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Storie di vocazione

Giacomo Andreetta SJ

Un bravo “tosatel”

Mi hanno sempre dato del bravo “tosatel” (bambino), soprattutto le nonne del paese, ma la vita interiore è assai più sfaccettata.

Giacomo Andreetta SJ, gesuita

A contatto con la natura

Sono nato e cresciuto in una piccola porzione del Veneto: piccolo paese in mezzo alla campagna con le prealpi che si ergono sull’orizzonte. Nessun idillio bucolico, soprattutto se ogni domenica vai a dare una mano a pulire la stalla delle vacche del nonno. Ma questo contatto con la natura, per famiglia e per scout, è stato fondamentale. E lo è ancora.

La ricerca della propria missione

Da bambino sapevo cosa avrei fatto da grande: il contadino. Poi la curiosità per ogni conoscenza, le letture, i LEGO, la matematica. Sono finito a fare il liceo scientifico e poi ingegneria meccanica. E non solo questo: ero parte del gruppo scout del paese, attivissimo in parrocchia, aiutante nel negozio di famiglia, musicista, servizio agli altri (ad esempio a Lourdes)… Tantissime sfaccettature, tantissimi frammenti di me sparsi nel mondo e nelle relazioni, con capacità e limiti. Che farne? Forse donare agli altri del tempo come faccio nel servizio, forse continuare a fare scautismo. Oppure…

Qualcuno bussa alla mia porta

A dodici anni mi è stato proposto il seminario, ma non avevo ben chiaro cosa fosse e in famiglia l’idea era stata bocciata: se il Signore vuole, torni dopo. Ed è tornato! Durante gli anni dell’università a Padova, mentre fuori sembrava tutto ordinario, dentro mi sentivo piuttosto irrequieto, non sapendo bene cosa fare della mia vita. Ho conosciuto i gesuiti nel servizio con i rifugiati, la loro spiritualità con una guida diocesana. Ho avuto anche una relazione bella con una ragazza. Ma l’inquietudine, ormai evidente, mi spingeva altrove. E non senza ferire.

Attratto dalla Compagnia

Sono entrato quindi nel propedeutico della mia diocesi, davvero un tempo e un luogo di grazia, anche se sono stato costretto a frenare i ritmi intensi. Stavo così bene che sono riuscito a capire che il mio cuore mi spingeva verso la Compagnia. Quelli reali, non tanto quelli dei bei libri eroici che mi affascinavano. È stato anche un momento di riconciliazione con la mia famiglia e con altre persone, oltre che con me stesso. E di gratitudine verso un mondo di amore che è sempre stato presente: ora saremmo stati fisicamente lontani.

Una vocazione nella vocazione

Entrato in noviziato, dopo il Mese di Esercizi Spirituali, una nuova spinta: perché non “fratello” gesuita? Il discernimento nel tempo successivo mi ha permesso di gustare una forma più affine alla mia storia e alla mia vita. Servire il Signore, con gli altri, alla pari, fare da ponte. E nel tempo successivo di formazione (erano anni che non c’era un fratello!) ho sentito sempre più confermata questa via all’interno della Compagnia. Ho studiato filosofia, mi sono lanciato nel mondo della scuola a Palermo e poi a Roma dove ho ripreso a studiare.

Non so se ancora le signore del paese mi direbbero “che bravo tosatel”. Di sicuro ho trovato un modo per unificare le tante sfaccettature della mia vita. O perlomeno ci provo!

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