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Sud Sudan: l’ultimo saluto ad “Abuna Bernard Victor”. La sua vita, una poesia

Mentre papa Francesco lasciava il Sud Sudan per rientrare a Roma anche p. Bernard Victor si preparava a tornare a casa, dopo 24 anni trascorsi lì. Ne aveva 81, era gesuita da 63 e sacerdote da 49 quando ha ricevuto la sua ultima chiamata. “Abuna”, lo chiamavano,tutti, un titolo onorifico per un sacerdote tra i sudanesi e i sudanesi del Sud.

Era nato nel 1941 a Hamrun, Malta, in una famiglia di dieci fratelli. Suo padre, John Baptist, era un conduttore radiofonico di un programma cattolico, assisteva i malati e suonava il violino. Sua madre Lucy era donna di grande preghiera e pianista.

Un tempo di prova

Entra in Compagnia nel 1959 a Naxxar, si laurea in Letteratura Inglese, studia Filosofia nel Regno Unito, poi teologia a Lovanio, in Belgio, dopo l’ordinazione anche a Napoli. A 20 anni gli era stato diagnosticato un tumore al cervello. A Londra per tre mesi si sottopone ad un intervento chirurgico e alla chemioterapia. Una sfida vinta, che non ha mai scosso la sua vocazione e la sua fiducia in Dio.

Tanzania, Colombia, Sudan, Sud Sudan

Arriva per la prima volta in Africa nel 1974, in Tanzania. Sei mesi per imparare la lingua. Poi è nella parrocchia di Ipuli, alla periferia della città di Tabora, viceparroco e cappellano di carceri e ospedali. Terz’Anno a Medellin, in Colombia. Al ritorno è in Tanzania, inviato al Seminario Maggiore di Segerea a Dar es Salaam per insegnare teologia. Parroco a Dodoma, quindi a Juba, per insegnare teologia, bibliotecario al Seminario Maggiore di San Paolo, impegnato nella pastorale con i rifugiati e negli ospedali. Nel 1990, con il seminario, si trasferisce a Khartoum dove realizza una biblioteca dal nulla. Resta sedici anni come cappellano nella più grande prigione, supporto nelle parrocchie, celebrando la Messa e predicando in arabo.

Nel 2006, viene inviato nel Sudan meridionale, ora Sud Sudan, presso la parrocchia di Santa Teresa nella città di Rumbek. Insegna religione, è cappellano della scuola secondaria, anima la vita liturgica della grande cappella che appartiene alla scuola. È a Wau e infine ad Arusha nel noviziato, la sua ultima tappa della missione sulla terra.

Con i giovani, verso Dio, con gli esclusi

“I suoi nove anni di servizio in noviziato sono un’esperienza di continuo incoraggiamento per la sua vocazione di gesuita” racconta p. P. Binamungu Faustine Mukasa, Socio della Provincia dell’Africa Orientale. “Ogni giorno recitava il rosario mentre camminava. Teneva ritiri a molte religiose e compagni gesuiti, soprattutto quelli giovani che venivano al noviziato per il loro ritiro annuale. Era disponibile, celebrava la Messa nella parrocchia di Santa Bakhita e si impegnava particolarmente per la Messa dei bambini. confessore di molti giovani compagni, sempre disponibile per le Figlie della Carità di Canossa, vicine al nostro noviziato e cappellano della loro scuola elementare, .

Lavoratore duro e tranquillo, ma molto gioviale, che esprimeva la sua gioia nell’incontrare i compagni con emozione. Umile, serviva con amore e impegno.

Pronto per qualunque missione. L’amore per la sua comunità

Nonostante l’età avanzata, partecipava a tutti gli eventi della comunità: le preghiere, i compleanni, le riunioni, le gite. Era anche un musicista, poeta di grande talento, parlava maltese, inglese, italiano, spagnolo, kiswahili, francese e arabo. Gentile e disponibile e sprigionava energia positiva. Obbediente, come mostra la varietà di missioni ricevute durante la sua vita da gesuita, era sempre pronto a muoversi ovunque fosse inviato. Abuna era un vero missionario, pronto a fare qualsiasi cosa per la missione che gli era stata affidata”.

Poeta e musicista per condividere l’esperienza di Dio

Era noto per la sua mente acuta, nonostante l’età avanzata, e per le sue letture. Componeva molte canzoni e poesie, in occasione delle ordinazioni dei confratelli, per giornate di ringraziamento, feste liturgiche. Tre le raccolte che restano: All for free, He shone through bright as day, St. Ignatius of Loyola. Raccontano l’amore per il creato, la gratitudine a Dio e a Sant’Ignazio, il desiderio di scandagliare la profondità del suo cuore. Le sue traduzioni in maltese delle canzoni dei St Louis Jesuits sono ancora popolari. In tutto esprimeva una profonda esperienza personale di fede, speranza e amore che trasmetteva a tutti coloro che lo conoscevano.

Ricoverato all’Ospedale Copto giovedì 2 febbraio, si è spento sabato 4. È tornato alla casa del Padre proprio dopo la celebrazione della Festa della Presentazione del Signore, Giornata Mondiale della Vita Consacrata.

Così scriveva in una delle sue poesie:

…..Non vediamo l’ora di andare a raccontare a tutto il mondo
Il sole della pace e della giustizia che sicuramente durerà
È spuntato, allontanando tutte le nostre ombre.
Perché nel Bambino possiamo tutti riporre la nostra fiducia
Che dalla polvere
I poveri risorgeranno
Come a lui nella croce e nella gloria tutti
a lui si aggrapperanno.

Una sua raccolta di poesie “Tra un urlo e l’altro”

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