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Fe y alegria e il Sinodo: educare a una nuova cittadinanza ecologica

Il lavoro svolto in Fe y Alegría a partire dalla proposta panamazzonica è significativo in quanto è una risposta concreta a quanto chiesto dal Sinodo appena concluso: la promozione e la difesa della vita e la salvaguardia dei saperi e delle tradizioni indigene.

Si è appena conclusa in Vaticano l’assemblea sinodale «Amazzonia, nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale». Questo incontro convocato da Papa Francesco ha tra i suoi antefatti la visita a Puerto Maldonado (Perù, gennaio 2108), e l’ascolto delle popolazioni indigene amazzoniche, che hanno espresso la loro preoccupazione per l’estrattivismo e i danni subiti dai loro territori e dalle culture originarie, discriminate e violate nel corso della storia, una situazione che aumenta il rischio di una loro scomparsa.

L’obiettivo principale del Sinodo è stato quello di trovare nuovi cammini per la Chiesa da percorrere soprattutto insieme alle popolazioni indigene, che subiscono le conseguenze dirette della crisi socio-ambientale in Amazzonia, che ha ripercussioni su scala globale. In questo contesto, il lavoro svolto in Fe y Alegría a partire dalla proposta panamazzonica è significativo in quanto è una risposta concreta a quanto ci si aspetta dal Sinodo: la promozione e la difesa della vita e la salvaguardia dei saperi e delle tradizioni indigene. Gli assi dell’iniziativa rispondono all’appello e alle rivendicazioni dei popoli indigeni che vogliono avere accesso a una istruzione di qualità senza perdere la propria sapienza e alla promozione di un’educazione che sia voce profetica e testimonianza di una nuova cittadinanza ecologica, come richiesto dalla Laudato si’, in cui la gratitudine e la gratuità sono al centro del processo di conversione di questa nuova giovane cittadinanza.

Fe y Alegría come organizzazione della Chiesa ha riflettuto sul suo ruolo nel processo sinodale e post-sinodale. Nel febbraio 2019, durante l’incontro della rete di scuole panamazzoniche, è stata sottolineata la preoccupazione di lavorare con i giovani affinché non perdano la loro cultura e le loro radici, e di generare ponti e alternative in relazione ad altre culture, dato che viviamo in un mondo interconnesso.

Dobbiamo promuovere una pedagogia amazzonica basata sulla spiritualità, sul rispetto della diversità e aperta all’interculturalità che aiuti a stimolare un senso critico ed emancipatorio. La missione di Fe y Alegría è promuovere un’educazione di qualità ma anche un’educazione critica che incoraggi la trasformazione delle realtà attraverso la conversione individuale e collettiva come esercizio di advocacy. Fe y Alegría si è mossa verso questo orizzonte e continuerà a promuovere altri modi di essere e trasformare la realtà dei popoli amazzonici.

In Perù, il Progetto Panamazzonia cerca di rispondere a una situazione educativa con un approccio basato sui diritti. I centri educativi che partecipano alla proposta sono ubicati nelle zone più vulnerabili e trascurate dell’Amazzonia in campo educativo e, più in generale, relativamente all’attenzione all’aspetto sociale integrale che consente che le condizioni di educabilità garantiscano un apprendimento di qualità.

I diversi enti governativi chiamati a occuparsi delle regioni amazzoniche assicurano una “presenza” senza aver prima studiato la loro cultura, la loro lingua, i loro costumi, il che comporta che sono le popolazioni indigene a doversi adattare alla modernità con la sensazione di sradicamento dalla loro cultura. Non si tratta solo di fornire più servizi, ma anche di garantire che i servizi previsti siano rispettosi del contesto, della cultura e della lingua. L’istruzione non è adeguata al contesto locale, metodologie e programmi curricolari non sono compatibili con la vita nelle foreste e la cultura delle popolazioni indigene. Ci sono molte difficoltà nella realizzazione di programmi educativi interculturali e bilingue, che integrino i valori culturali nella proposta educativa, e non c’è materiale educativo che si adatti alle dinamiche locali. Di fronte a queste sfide, il presente progetto propone la costruzione di una proposta interculturale bilingue che parta dal contesto proprio per le lingue Awuajun e Shipibo, che valorizzi, recuperi e promuova nei diversi attori sul territorio pratiche culturali e di coesistenza armoniosa con la natura e con una prospettiva di genere. L’obiettivo è la partecipazione attiva di insegnanti, presidi, studenti e genitori in una proposta interculturale bilingue che stimoli le famiglie e gli studenti a terminare la scuola primaria e secondaria, in modo che sentano nel processo educativo che la loro cultura è riflessa e rivalutata.

Il nostro progetto mira a contribuire, da un lato, che gli studenti realizzino cambiamenti e radicamento a partire dai loro stessi interrogativi e dal rafforzamento della propria identità; dall’altro, che gli insegnanti di queste scuole abbiano una proposta educativa interculturale bilingue con cui orientare il loro lavoro pedagogico in classe e nell’educazione di ragazze e ragazzi che si valorizzino e che chiedano di essere valorizzati in tutte le loro dimensioni.

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«Sono nata qui. Che fortuna!». La testimonianza di Aydée

L’intervista con Aydée Roca Samaren, studentessa del quinto anno di Fe y Alegría 62-Chiriaco School, ci aiuta a capire cosa pensano e cercano gli studenti e come a partire dal progetto possiamo collaborare al cambiamento e rafforzare la loro identità.

È possibile essere cittadini del mondo preservando la propria cultura?
Ovunque andremo, porteremo sempre con noi la nostra cultura. Siamo nati da essa… Dobbiamo imparare di più, crescere, conoscere un’altra realtà. Posso andare in posti diversi, ma non direi mai: “No, non sono di là”. Sono orgogliosa di essere awajún.

Cos’è che ti rende più orgogliosa?
Essere una donna awajún è….. (Aydée apre gli occhi, respira profondamente) le usanze, le tradizioni, l’abbigliamento, i piatti tipici…. il nostro artigianato! Tutto questo fa sì che mi senta valorizzata. Io dico: “Wow, sono nata qui. Che fortuna!”

Credi che la tua cultura sia apprezzata o ci sono ancora pregiudizi?
Sì, è mi successo. A Jaén frequentavo una scuola e le ragazze di là mi dicevano: “Oh, vieni dalla giungla…” e non so che altro. Mi sono sentita molto sminuita Ma mi sono detta: “Aydée, sei come qualsiasi altra persona”. Ne sono convinta. Essere awajún non significa che tu sia da meno di nessuno.

Qual è il problema principale a Chiriaco, nella vostra comunità?
La mancanza di dignità, di identità. Molti Awajún non si accettano, vogliono imitare altre culture. Dobbiamo dare valore a noi stessi. E qui abbiamo tutto: ci sono alberi, animali, natura, oro… Oh, no, di questo non si parla! (ride)

Di cosa non si parla?
Del fatto che altri vogliono approfittare di queste risorse naturali. Ecco perché c’è stato “El Baguazo“! Qualcuno voleva invadere il nostro territorio, quindi dovevamo difenderlo. L’awajún ha sempre avuto un rapporto molto stretto e armonioso con la terra.

È possibile il progresso nel rispetto della natura o dobbiamo scegliere?
Tutti i peruviani lo vogliono, il progresso. È possibile, ma a patto che ci sia rispetto. E che ci sia un dialogo. Se mi chiedi un po’ del mio oro e poi ne prendi la metà, allora no.

José Rubén Yerén
Fe y Alegría – Perù

 

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