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Padre Puggioni, aperta a Cagliari la causa di beatificazione

Giovanni Puggioni SJ, gesuita

L’arcivescovo di Cagliari, monsignor Giuseppe Baturi, ha nominato il postulatore che seguirà l’iter della causa di beatificazione di padre Giovanni Puggioni. Padre Guglielmo Pireddu, Superiore della Comunità di Cagliari e docente di storia della Chiesa, racconta la santità di questo gesuita, “autentico testimone della misericordia e della bontà di Cristo”.

Perché l’arcivescovo di Cagliari, monsignor Giuseppe Baturi, ha “ritenuto opportuno dare l’avvio alla causa diocesana di beatificazione e canonizzazione del servo di Dio Giovanni Puggioni SJ”?

Innanzitutto una precisazione, lo scorso gennaio mons. Baturi ha nominato il postulatore che seguirà l’iter della causa di beatificazione; per cui possiamo sostenere che stia prendendo avvio la fase diocesana, ma non che la causa sia già ufficialmente aperta, lo sarà solo quando l’arcivescovo firmerà il decreto di apertura. Considerata la tempistica, e se tutto dovesse filare liscio, possiamo prevederlo entro la fine dell’anno in corso. Ma sino a quel momento bisogna attendere.

Circa l’opportunità di questa apertura bisogna considerare la notorietà di p. Puggioni, per oltre cinquant’anni ha battuto in lungo ed in largo tutto il territorio isolano, nelle diverse mansioni, da promotore vocazionale, da Responsabile della LMS e poi di Operazione Africa, ma soprattutto da apostolo del S. Cuore, creando decine di gruppi di preghiera, suscitando un’ondata di vocazioni religiose, in primis femminili. Ma, con ciò, ancora non abbiamo detto niente; la sua poliedricità apostolica e la personalità indubbiamente “carismatica”, lo ha reso autentico testimone della misericordia e della bontà di Cristo, che in lui non era un concetto teologico, astratto, ma una realtà che faceva sperimentare di persona. E poiché stiamo parlando di decine di migliaia di persone che hanno sperimentato la vicinanza di Dio, grazie a questo gesuita, non mi sorprende che mons. Baturi abbia acconsentito a esplorare le possibilità di un’inchiesta diocesana.

Lei che lo ha conosciuto ci racconta chi era padre Puggioni? Quali sono i tratti della santità nella sua vita?

Direi un “Uomo di Dio”, e avrei già risposto in toto alla domanda. Ma tralasciando le virtù ordinarie, che dovrei scrivere un trattato, e limitandomi alle virtù eroiche più manifeste, direi:

– una straordinaria capacità di carità e vicinanza nei confronti del mondo della sofferenza, dei malati, in primis dei lebbrosi (mobilitò l’isola tutta negli anni settanta in vista di alcune realizzazioni a favore dei lebbrosi dell’ex Zaire).

– una enorme abnegazione nello svolgimento delle mansioni di confessore e direttore spirituale. Grazie alla sua bontà, al suo sorriso, alla sua pacatezza, ha permesso a migliaia di persone (arrotondo per difetto) di percepire la presenza di Dio nelle loro vite.

– una fortezza incredibile, eppure per tutta la sua vita fu continuamente ostacolato da vicini e lontani. Non si arrese mai, ma continuò sulla sua strada, manifestando anche discrete doti di equilibrista per scansare i pericoli. Uno dei suoi motti preferiti era: «quando va tutto storto, è allora che va bene!». Personalmente, ho qualche difficoltà a deglutirlo ancora oggi …

– un maestro di preghiera. Anche in questo caso non mi riferisco a insegnamenti teorici; la preghiera la imparavi pregando a fianco a lui (vedendola in opera, non sentendola); in modalità diverse, con perseveranza e costanza. Migliaia di giovani sono giunti alla messa quotidiana, e hanno impostato cristianamente le loro vite. Direi che la proposta fu seguita, gli fu data fiducia, perché il proponente era credibile.

– un datore di speranza. Non si usciva mai a mani vuote dal suo studio di via Ospedale 8. Lo sguardo verso la vita cambiava, in meglio naturalmente. Sapevi che non eri solo, che Dio era al tuo fianco e che la Madonna ti avrebbe accompagnato. Rimase emblematico un episodio, quando dei ragazzi del suo paese d’origine avevano costituito una setta, e vi erano già stati due suicidi. Le madri dei restanti ragazzi li portarono a Cagliari da p. Giovanni. Ebbero tutti un colloquio con lui, uscirono col rosario in tasca, e, naturalmente, la catena dei suicidi si interruppe.

– dall’esterno poteva essere confuso per un propagatore di facili devozionalismi, ma la fede di p. Giovanni era altro. Oggi sulla sua lapide campeggia la scritta “Apostolo dei cuori di Gesù e di Maria”. Questa frase dice tutta l’essenza di ciò che è stato; in primis perché lui lo visse, e secondariamente perché non tenne nascosto il tesoro, ma lo trasmise fedelmente.

– Non mi dilungo poi sulla capacità di intercessione per risolvere (già in vita) situazioni di malattia. Se la causa andrà avanti, spetterà all’autorità della Chiesa esplorare questo capitolo.

Quale testimonianza ha dato in particolare come gesuita?

Sentiva molto l’unità di corpo; che si facesse parte di un corpo unico e che si era tenuti a dei particolari vincoli tra confratelli. Poi, ovviamente, non era un ingenuo; non occultava le incrinature esistenti. Ma aveva uno sguardo superiore che gli permetteva di andare avanti. La storia della sua vocazione sarebbe un po’ particolare; ma, di fatto, era orgoglioso di appartenere alla minima Compagnia di Gesù e lo faceva percepire.

E cosa testimonia in particolare alla Compagnia, ai gesuiti?

Era affascinato dalla spiritualità del S. Cuore. Per qualche confratello anche esageratamente. Ci teneva particolarmente al testo del p. Arrupe “In lui solo la speranza”. Di fatto orientò tutta la sua vita nella diffusione di questa spiritualità.

Però, onestamente, se dovessi dire cosa oggi ci testimonia, direi: la capacità di sognare in grande, di uscire fuori dal piccolo cabotaggio sottocosta, di osare, pronti anche a pagare un prezzo personale, di incomprensioni e di fatica, pur di lavorare per il Regno di Dio e non per il nostro piccolo impero terreno. Non si poneva limite nel sognare grandi progetti. Le sue realizzazioni africane (scuole, ospedali, pozzi, acquedotti e altro ancora) umanamente parlando erano impossibili (ndr: in basso una foto nel lebbrosario di Mosango – RD Congo). La sua caparbietà (traduzione edulcorata di cocciutaggine sarda) gli fece realizzare l’impensabile.

Quali le attenzioni nel suo servizio pastorale?

La totale disponibilità. Grandi doti di abnegazione e di sacrificio. Era un grande comunicatore, e manteneva i contatti a distanza di anni. La mattina era dedicata alla preghiera personale e a questioni più tecniche o burocratiche. Poi, dal primo pomeriggio incontrava a oltranza le persone sino a concludere tutti gli appuntamenti, facendo anche notte. Quando incontrava qualcuno per la prima volta lo metteva a suo agio facendolo sentire una persona importante: non un groviglio di nodi da sciogliere, ma una persona “attesa”.

Certo, evidenzierei vicinanza, accoglienza e far gustare il senso della paternità di Dio.

La formazione impartita era poi a 360 gradi. Ovviamente era presente la catechetica, importantissima la liturgia, ma anche la proiezione sociale della vita di preghiera. Tutto ruotava dalla vita eucaristica, o meglio dalla sua qualità. Su questo perno si innestava tutto il resto. Non possiamo capire p. Giovanni omettendo il ruolo dell’adorazione eucaristica e del rosario.

A una Chiesa in fase sinodale cosa dice padre Puggioni?

Pur ammettendo una discreta capacità “direttiva”, devo riconoscere che p. Puggioni fu anche un grande motivatore, capace di trasmettere le sue intuizioni e far sì che venissero fatte proprie. Fin dai tempi della LMS riuscì a captare l’attenzione di tanti studenti perché li faceva sentire responsabili in prima persona di quello che si costruiva insieme.

Le stesse riunioni organizzative erano aperte, certo p. Giovanni aveva in mente una scaletta, ma poi la sua attuazione nasceva dal confronto aperto coi ragazzi. Trasformò l’organizzazione di volontariato in una onlus, dunque trasferendo il potere decisionale al Consiglio Direttivo; e anche relativamente al Movimento Mariano si inventò un organo direttivo, molto curioso (simpaticamente definito “Gruppo dei G9), composto da lui e da altri 8 ragazzi, non scelti da lui, ma eletti democraticamente dal gruppo degli animatori. Direi, un bell’esempio di confronto e di sinodalità. Certo, non posso dire che fosse questa la sua caratteristica principale, ma per certi versi, precorse i tempi.

In ultimo, p. Puggioni chi fu realmente?

In conclusione p. Puggioni fu un gesuita autentico, nell’accezione della nostra Formula Instituti; completamente dedito alla salvezza delle anime, interamente orientato sulla maggior gloria di Dio (annusava subito laddove vi fossero altre motivazioni terrene e le scansava). Era una persona affidata a Cristo. Dalle sue agende (quasi una sessantina) traspare che per lui la preghiera non era una pratica quotidiana da assolvere prima di tuffarsi nel lavoro, ma un tempo di ascolto della volontà di Dio, che percepiva, e che poi cercava di attuare, non da solo, ma con l’aiuto di quanti si facevano suoi compagni di cammino.

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