Renato Colizzi SJ
La vocazione tra medicina e cura delle anime
A 17 anni una crisi di fede e un periodo di ricerca e di “esilio”. 7 anni dopo, studente di medicina, mi sono riavvicinato, con l’aiuto dei gesuiti della Cappella Universitaria
La strada che mi ha condotto nella Compagnia è stata lunga e seminata di svolte qualche volta difficili e impreviste. I miei primi ricordi mi portano in quelle città che la mia famiglia ha abitato per seguire mio padre nel suo lavoro. Con le mie due sorelle più piccole, prima siamo stati a Pisa, poi a Londra e infine a Roma dove dall’età di dieci anni sono cresciuto. Questo periodo di itineranza è rimasto dentro di me e oggi sento questo amore per le distanze e per il diverso continuano a caratterizzare la mia vita di gesuita.
Lo scoutismo, l’esilio e la ricerca
Durante la mia adolescenza ho potuto conoscere la vita di parrocchia e di quartiere, fra le attività che più mi hanno segnato e insegnato c’è lo scoutismo. A diciassette anni ho vissuto una crisi della fede che ha aperto un lungo e difficile periodo di ricerca e di “esilio”. Solo sette anni dopo a ventitré anni, durante i miei studi in medicina mi sono riavvicinato al Signore e alla sua Chiesa, non senza l’aiuto e l’accompagnamento dei gesuiti della Cappella Universitaria. Finiti gli studi e dopo una esperienza profonda di catechesi presso i francescani di San Lorenzo al Verano chiesi proprio ai gesuiti di essere accompagnato nel mio discernimento vocazionale. Questo cammino di ricerca mi ha portato prima a Villa San Giuseppe e infine in noviziato.
L’ingresso in Compagnia. In Africa la vocazione al sacerdozio
Con profonda gioia ho iniziato a ventotto anni la mia vita di religioso nella Compagnia. Dopo il noviziato, che per me è stato un periodo sereno di crescita e approfondimento della mia vocazione, ho cominciato gli studi di filosofia prestando servizio con il gruppo del Centro Giovanile Antonianum “Medici per la Bosnia”. Ho potuto così avvicinarmi a quella chiamata alla missione che mi ha portato a partire in Ciad per il magistero. In Africa ho lavorato due anni come medico, e fra i malati e le grandi povertà che ho incontrato è nata la mia vocazione al sacerdozio. Proprio quando mi accorgevo che nulla più potevano le forze umane allora cominciavo ad abbandonarmi alla dolcezza e alla forza del Signore che mai abbandona i suoi poveri. In ospedale, nell’assistere quei corpi colpiti dalla sofferenze e dalla umiliazione della malattia, si è approfondito la mia comprensione e il mio amore per l’eucarestia, il mistero del corpo morto e risorto del Servo Gesù.
Lo studio e la forza vita fraterna
Tornato dal Ciad cominciai gli studi in teologia al Centre Sèvres a Parigi. L’esperienza degli studi ha significato per me entrare in una dimensione di abnegazione e di rinuncia a quel servizio diretto dei poveri. Provvidenzialmente nella comunità di inserzione a Saint Denis ho potuto sperimentare uno stile di vita semplice e fraterno che mi ha permesso di tenere un contatto con la gente e con le comunità migranti. È la loro fede che mi ha permesso di superare con gioia le inevitabili aridità degli anni di teologia.
Dopo il mio servizio al MAGIS sono stato destinato al Centro Ignaziano di Spiritualità dove ho potuto dedicarmi alla predicazione degli Esercizi Spirituali. Questo ministero ha segnato un’altro punto di svolta nella mia vocazione di gesuita: ho capito che la guarigione che tanto avevo cercato di arrecare ai corpi avrei potuto invece darle alle anime, facendomi povero strumento della Parola. Ultimamente sono stato incaricato di animare la Rete Mondiale di Preghiera per il Papa per l’Italia, si tratta di una comunità di preghiera molto radicata nelle diocesi e nelle famiglie italiane e che vuole portare nel cuore le intenzioni di Papa Francesco per guardare con compassione e speranza le grandi sfide del mondo e della Chiesa di oggi.