Gaetano Piccolo SJ
Quel vizio di porsi domande
Una soprattutto era presente dentro di me da diversi anni, da quando avevo cominciato a rendermi conto di quanta povertà ci fosse intorno a me, nelle strade, nel mio quartiere.
Mi piace fare domande, ma non ho la pretesa di ricevere risposte. È un gusto, una curiosità, che comincia da me stesso. Le prime, “serie”, le ho rivolte a 14 anni provocate dalla testimonianza generosa di 4 suore alle prese con una massa di scugnizzi a Napoli: “come si fa a diventare cristiani?”, chiedo.
“Serve una direzione spirituale” risponde la madre Superiora, dandomi riferimenti. Così incontro p. Rotelli che mi affida un programma: “preghiera e servizio”. Un lungo discernimento fatto anche di rifiuti. Sono state le tante povertà del mio quartiere abitate con impegno insieme ad altri giovani a generare un’altra domanda: “e se il Signore mi chiedesse sul serio di fare il prete”?
Le domande degli altri
La filosofia è il luogo privilegiato dove ho esercitato quest’arte degli interrogativi. Dopo la laurea sono entrato in noviziato, tempo privilegiato di una relazione con Dio faccia a faccia. Poi il magistero in Albania, esperienza preziosa di un amore ricevuto. Ancora la teologia a Napoli, quella “incarnata” che nasce anch’essa dalle domande, questa volta poste dalla gente, per strada, in parrocchia, alle feste, nei pranzi, negli incontri di gruppo. Così si è aperto un varco che solo Cristo, linguaggio che si è fatto vita, è riuscito a colmare. Talvolta il vuoto ritorna a fare capolino…ma la promessa rimane.
L’oggi e le sue domande
Attualmente vivo a Roma, dove insegno presso la Pontificia Università Gregoriana, dedicandomi soprattutto a indagare la relazione tra le parole e le cose, al linguaggio che mette ordine e alla scoperta di non poter dire tutto.Tre le domande che mi stanno accompagnando in questo tempo. Come costruire canali di informazione più liberi? É sempre più evidente che il modo di comunicare le notizie fondamentali sia fortemente segnato da scopi politici. È difficile reperire un’informazione libera e critica. Il modo di diffondere le notizie sembra perseguire il tentativo di confermare le azioni dei governi. Questo mi fa riflettere sulla rappresentazione della realtà, ma anche sul diritto del cittadino di ottenere informazioni obiettive. Come gesuiti dovremmo avere la forza di denunciare questo meccanismo e provare a generare nuove vie.
Qual è il momento favorevole dell’annuncio? Ho l’impressione che l’età giovanile non sia più il momento fecondo. Il Vangelo parla a una vita che ha vissuto l’esperienza del fallimento, delle ferite, parla a persone che hanno cercato le loro risposte e si ritrovano deluse. Tutto questo non avviene più nel tempo dell’età giovanile, dove invece si è ancora pienamente immersi in una sorta di delirio di onnipotenza, in un bagno di stimoli emotivamente molto pressanti, e si è particolarmente curati al punto da non vedere realmente le fatiche della vita. Questo mi porta a pensare che il momento favorevole in questa epoca sia spostato più avanti. Forse occorre rivolgersi a quelle fasce di adulti, singoli o giovani famiglie, che si portano un bagaglio esistenziale significativo e stanno riflettendo sul loro futuro.
Come favorire l’atteggiamento inevitabile del discernimento? Dopo aver approfondito questo argomento soprattutto sul piano della teoria e della prassi spirituale, sto cercando di affrontarlo anche nella mia ricerca accademica, sul piano filosofico Penso infatti che il discernimento sia fondato sulla struttura stessa del reale. È come la realtà è fatta, in termini metafisici, a richiedere inevitabilmente il discernimento da parte dell’uomo. La realtà ha i tratti dell’incertezza, della complessità e della temporalità: elementi che richiedono non solo una valutazione articolata, ma anche una scelta. Anzi, decidere è l’atteggiamento fondamentale e inevitabile dell’esistenza umana.