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Roma. Draghi e i gesuiti

“Sarebbe un errore pensare che nella stima che Draghi si è guadagnato ovunque nel mondo il nostro Paese non c’entri nulla. C’entra anche l’Italia, quella migliore: quella della sua formazione negli istituti dei gesuiti che gli ha dato spessore culturale, equilibrio e coerenza di pensiero; c’entra il ruolo svolto in un decennio al Tesoro nel periodo del parziale risanamento della finanza pubblica, dell’ingresso dell’Italia nell’euro e di un processo di privatizzazioni che ha cambiato la cultura del mercato nel nostro Paese”. Numerosi sono stati nelle ultime settimane i profili di Mario Draghi, neo Presidente della Banca Centrale Europea, comparsi in diversi giornali, in cui non si è trascurato di menzionare la sua formazione presso l’Istituto Massimiliano Massimo a Roma. Nell’articolo  pubblicato il 25 giugno dal Corriere della Sera si sottolinea il particolare beneficio che questa ha esercitato sulla sua crescita umana e professionale, ottima base per l’intera sua prestigiosa carriera. In un ricordo di Draghi che sullo stesso giornale fa Luigi Abete, Presidente della BNL e di Assonime, suo compagno di scuola, emergono alcune sue qualità: diligente, studioso, bravo, molto sportivo. Abete descrive quel collegio degli anni cinquanta come “una scuola con una forte identità”. E continua: “L’insegnamento più forte che i gesuiti hanno inculcato ai loro studenti era che ‘il fine anche nobile non giustifica mai i mezzi’. La correttezza deve essere sostanziale.  Ci hanno insegnato che se tu sei nella parte di società fortunata devi anche pensare agli altri”. Dare lezione ai ragazzini poveri delle borgate romane: questa una delle esperienze condivise con Draghi e che Abete racconta, identificandola come occasione in cui si è “formato il senso del dovere, uno dei valori fondamentali trasmessi dai gesuiti”.

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