Leonardo Vezzani SJ
Alla ricerca di un posto, il mio
GMG 2000: 2 milioni di ragazzi avevano un posto nella Chiesa, dove ciascuno era insostituibile e atteso. E, nonostante tutto, liberi di sceglierlo oppure no. Qual era il mio?
Sono nato a Prato nel 1978 e da sempre ho avuto una grande passione per la chimica. Se all’inizio ciò che mi affascinava era il modo in cui le sostanze mescolandosi cambiavano colore, con il tempo questa passione si è spostata sullo studio di come questi cambiamenti si manifestassero e secondo quali leggi e regole si realizzassero. La stessa curiosità che mi spingeva ad andare sempre più a fondo nell’investigare la materia, piano piano mi ha portato nelle profondità del mio cuore.
La GMG del 2000
Ho passato una buona parte della mia adolescenza nell’oratorio parrocchiale, che in fondo ho sempre frequentato perché tutti i miei amici erano là: è stato il caso (chiamiamolo così…) a darmi la spinta per iniziare il cammino che sto percorrendo ancora oggi. Tutto è iniziato nell’estate del 2000: i miei amici erano tutti decisissimi a partecipare alla GMG di Roma, mentre io l’avevo scartata a priori. I dieci giorni centrali di agosto passati nell’afa romana con una marea di ragazzi sudati e appiccicaticci? Ma anche no! Alla fine mi sono reso conto che a questo raduno ci andavano proprio tutti, quindi o andavo anche io o sarei rimasto a casa da solo. Fu così che un giorno di agosto arrivai a Roma. Mi colpirono molte cose di quell’esperienza, ma quella che mi segnò fu la presa di coscienza che tutti i due milioni di ragazzi (sudatissimi e appiccicosissimi) avevano un posto nella Chiesa, un posto dove ciascuno era insostituibile e atteso. E, nonostante tutto, liberi di sceglierlo oppure no.
Il mio posto nella Chiesa
A quel punto arrivò la grande questione. “Qual è il mio posto nella Chiesa?”. Questa domanda divenne come una goccia d’acqua che piano piano ha bucato la roccia. Anche se ci sono voluti tre anni prima che l’interrogativo si ripresentasse, con tutta la forza che portava con sé… Fu l’incontro con don Luigi Ciotti, il fondatore di Libera, che mi portò a una svolta: ascoltare un prete parlare della sua lotta contro la mafia fu l’occasione per chiedermi quale fosse il mio ruolo nella Chiesa. E quella volta arrivò anche la risposta. Qualcosa dentro di me disse: “Fai il prete!”. Devo dire che al sacerdozio non avevo mai pensato, perché proprio non vedevo niente di più distante di un prete dal Leonardo ventunenne. Stranamente, sul momento l’idea non mi dispiacque neanche tanto: fu il giorno dopo, a sangue freddo, che facendo due conti mi accorsi che quella vita mi avrebbe chiesto delle rinunce che non stavano né in cielo né in terra e quindi decisi di lasciar cadere questa idea etichettandola come il frutto di un momento di entusiasmo religioso, o qualcosa di simile.
La lotta con la vocazione
Iniziò così uno dei periodi più brutti della mia vita. Ormai avevo preso coscienza di dove stava il mio cuore, anche se non avevo nessuna voglia di accettarlo. Per un anno e mezzo ho cercato di fare di tutto per dimostrare a me stesso che la vita del prete non era adatta a me, ma la cosa ritornava sempre con maggiore forza. Ero arrivato anche a pensare a delle forme di “equilibrismo spirituale”, che potessero trovare un compromesso tra quello che mi attraeva e una serie di esigenze alle quali pensavo di non poter rinunciare. Ad esempio, ero disposto a diventare diacono permanente: da una parte riuscivo a salvare la possibilità di avere una famiglia, dall’altra facevo il servizio che si avvicinava di più a quello del prete. Ma non funzionava.
Il dio di me stesso e la caduta
Intanto, la mia vita proseguiva. I miei studi di chimica continuavano, riuscivo a rimanere in pari con gli esami pur svolgendo un’attività di borsista presso la Provincia di Prato, nel settore Tutela Ambientale. Questa attività mi piaceva e nell’ufficio mi sentivo stimato. Nonostante tutto sentivo che c’era una sensazione di inquietudine e di vuoto che non mi dava serenità, ma in fondo mi sentivo realizzato. Non avevo bisogno di Dio, perché ero il dio di me stesso. E come dio, mi aspettavo di “salvare” le persone. Ma fu proprio un momento difficile a mostrarmi che non ero capace di salvare nessuno, anzi, più mettevo le mani nella vita degli altri più le cose peggioravano. Caddi quindi dal piedistallo su cui mi ero messo, e siccome ero molto in alto, mi feci malissimo.
Accolto come sono e un libro mi fa sentire “a casa”
Fu l’occasione per affidarmi all’ultima speranza che mi era rimasta: il Signore. Mi sentii accolto per quello che ero, con tutti i miei limiti e con tutti i miei atteggiamenti da presunto salvatore. E questa serenità fu l’occasione per riprendere in mano l’idea del sacerdozio e accoglierla. Per me l’unica maniera di vivere il sacerdozio era quella diocesana, ma non ero a mio agio, mi sentivo un po’ bloccato all’interno di una realtà che avvertivo troppo stretta. La svolta che mi ha portato alla Compagnia fu un libro che mi fu dato dalla mia guida spirituale, “Sull’amore” di Pierre Teilhard de Chardin. Mi colpì moltissimo la sua capacità di vedere nella scienza stessa il luogo in cui vedere Dio all’opera. Leggere questo libro mi diede l’impressione di essere a casa, di aver trovato il mio posto.
Il tempo del discernimento e quello della formazione
A questo punto dovevo solo conoscere un gesuita vivo, in carne e ossa, perciò contattai p. Paolo Bizzeti, che mi invitò a vivere un periodo di discernimento a Bologna. Il 12 marzo 2002 sono andato a Bologna, e il 1 novembre sono entrato in noviziato. La mia vita ricominciò da capo. A Genova ebbi l’occasione di avere come compagni delle persone con le quali sono ancora in grande amicizia, un’amicizia che abbiamo costruito negli anni. Dopo gli studi a Padova e l’apostolato presso gli studenti universitari, ho fatto il magistero a L’Aquila, presso il Collegio Universitario e la Cappella Universitaria. Qui l’esperienza non è stata semplice, soprattutto perché l’inizio del mio secondo anno è stato segnato dall’annuncio della chiusura dell’opera e dall’organizzazione del trasloco: la fatica e la sofferenza vissute nel vedere qualcosa di bello che finisce non sono state però che l’occasione per riscoprire il senso profondo di quel difficile voto che è l’obbedienza. Ho proseguito la mia formazione con la teologia a Roma e la licenza a Parigi, per poi essere mandato alla Cappella Universitaria della Sapienza a Roma.
Tra gratitudine e sana inquietudine, la missione continua
Dopo aver fatto il Terz’Anno a Cuba sono stato mandato a Genova, dove adesso sono il direttore di un centro giovanile. Il Signore ancora non ha perso la fiducia in me, e a distanza di molti anni dall’inizio del mio cammino sento una grande gratitudine, senza perdere quella sana inquietudine che non mi fa smettere di cercare.